Maria Cristina Mannocchi: Tempeste e Approdi - La letteratura del naufragio come ricerca di salvezza

Maria Cristina Mannocchi
Ed.Ensemble Roma 2012
Pag.250

Chi non si è mai sentito in balia delle tempeste della vita, perso, naufrago, incapace di trovare un possibile approdo, di sperare in una salvezza? A volte, coloro che hanno provato questo smarrimento hanno avuto l’intuizione che da lì, oltre le onde, potesse iniziare la rinascita. S’impara molto dall’esperienza di una perdita totale. La letteratura del naufragio tratta proprio di questo, della vita, e s’interroga su quesiti mai risolti: il perché della morte, del dolore, dell’esistenza o meno di Dio." Così, l’autrice, Maria Cristina Mannocchi, insegnante in un Liceo Scientifico di Roma, nell’introduzione, ci fa capire che il mare, mediante le narrazioni di filosofi, scrittori e poeti, è il protagonista assoluto di questo libro, le cui pagine attraversano i secoli.

Le narrazioni sono il luogo dell’incontro tra le esperienze umane. I naviganti seminano storie in ogni angolo della terra. Il mare raccoglie i loro racconti, le loro gioie e disperazioni che divengono simbolo del nostro affannarci quotidiano alla ricerca di una rotta.

Si parte dal mare degli antichi, un mare che faceva paura in quanto, secondo il mito, gli dei lo avevano usato come arma di distruzione di massa; un mare solcato da persone poco raccomandabili, i mercanti. “La navigazione era sentita come un atto proditorio che andava contro le leggi della natura perché l’uomo era nato per stare sulla terra ferma.

C’è poi Socrate che “si ritrova a dover compiere una navigazione difficoltosa nel mare della conoscenza, costretto ad andare a remi per uscire dalla bonaccia.” Gilgamesh, personaggio della mitologia mesopotamica, inizia, invece, il suo viaggio per mare alla ricerca dell’immortalità, rappresentata da un fiore che egli coglie negli abissi ma che gli verrà sottratto da un serpente. “Stanco e sconfitto Gilgamesh abbandona la barca sulla riva e incomincia a incidere la sua storia su una pietra. È interessante questo sostituire la navigazione con la scrittura con cui si chiude l’epopea mesopotamica, perché è la metafora di un passaggio obbligato per l’umanità: dalla ricerca di una eterna giovinezza, impossibile da raggiungere, all’immortalità data dall’attività intellettuale, dalla scrittura.

Nella Bibbia, dove troviamo un mare personificato, Gesù è il personaggio che ha il maggior potere di pacificazione su di esso. “Chi è costui a cui sia il vento sia il mare obbediscono? Si chiedono subito gli apostoli davanti al miracolo della tempesta sedata.” La furia del mare, se non controllata, può generare naufraghi. Virtuoso è il naufrago che sopporta, con pazienza, le avversità. Ulisse è l’esempio principe. Chi invece non sa affrontare i flutti con saggezza diventa l’ultimo della società. “L’intellettuale si distingue dalla massa questuante proprio perché il naufragio non gli reca alcun danno”, infatti, come dice Fedro, l’uomo colto ha sempre in se le sue ricchezze. Un mare i cui eventi, a volte, possono essere compresi solo da pochi iniziati. La predicazione di Gesù inizia proprio in riva al mare e “ la tempesta sedata, il camminare sulle acque, la pesca miracolosa sono prodigi marini che Gesù mostrerà solo ai più stretti discepoli.” Le tempeste possono essere anche interiori.

Per Seneca il saggio non cerca la tempesta. “Ma se lo scontro è inevitabile, il saggio saprà mantenersi saldo al timone con l’aiuto della filosofia.” Per Sant’Agostino, invece, “un bel naufragio è quanto di meglio possa accadere ad un individuo per capire se stesso, gli altri ed il proprio rapporto con Dio.” E la nave solida, su cui attraversare il mare della vita, egli la troverà solo nel Cristo, utilizzando, per la sua navigazione, il legno della Croce.

Come nel mondo classico, anche nel Medioevo si usa paragonare la composizione letteraria ad un viaggio per mare, dove “il poeta viene assimilato al navigante e la barca rappresenta il suo intelletto, la sua opera,” tant’è vero che Dante ricorda “ai suoi lettori che in fatto di navigazione testuale egli ha una sorta di 'patente nautica' ineccepibile.” Nel Convivio egli invoca l’artimone della ragione, dove con artimone, nel linguaggio nautico, si intende una vela che viene utilizzata per mantenere una rotta stabile e non per dare velocità. Nella Divina Commedia, uscito dalla selva, Dante “è simile ad un naufrago: egli guarda dalla riva, ancora terrorizzato, la furia delle onde dalla quale non uscì mai persona viva.” Il suo incontro con il sacro, quindi, viene predisposto dall’aver sperimentato il naufragio. Poi l’autrice fa un salto in avanti, passando prima per Leopardi, dove “il naufragare dell’io nel grande mare dell’essere è l’inizio di una consapevolezza diversa”, poi per Defoe, con il suo Robinson Crusoe, l’Ulisse moderno, fino ad arrivare a “The Truman Show”, il film di Peter Weir del 1998, dove, nella scena finale, il protagonista, Truman, infrange la barriera della finzione televisiva, gettandosi, novello Cristoforo Colombo, verso l’ignoto.

Un libro, quindi, che, come scrive Antonio Tabucchi, è nutrito di un’eccezionale cultura,soprattutto classica, ma reso leggero da una prosa narrativa estremamente seducente, tanto da farci dimenticare la sua natura saggistica a favore del puro piacere del testo, della narrazione di una storia, la storia del naufragio interpretato come prova suprema che invece di travolgere il naufrago nei suoi flutti lo conduce a una sorta di rinascita o di rigenerazione.

Gianlorenzo Capano