Giuseppina Norcia: L’ultima notte di Achille

Giuseppina Norcia
Ed. Castelvecchi, Roma 2018
Pag. 157

Scrittrice, grecista, insegnante di Drammaturgia antica presso l’Accademia d’arte del Dramma Antico, l’autrice, in questo suo romanzo, scrive della vita di Achille, personaggio omerico noto ai più. Ne scrive con un linguaggio poetico in forma di prosa, utilizzando come voce narrante Thanatos. “Pensando di sconfiggermi, tua madre ti portò fra i morti.”

Figlio di Peleo e delle ninfa Teti, Achille, fu immerso, alla nascita, nello Stige, perché la madre non voleva un figlio mortale come il padre. Ma non bastò. “Così mentre affondava il tuo corpo in quella melma di morte, io dovetti instillarle l’oblio, perché dimenticasse il piede da cui ti teneva. Una parte del corpo sufficiente ad accogliere lo spazio di una freccia. Un tallone, o poco meno. Mentre lei tentava di ingannarmi, fui costretto a gettare la notte tra i suoi pensieri perché tornasse convinta di esserci riuscita.”

Poi ci fu l’incontro con l’amato Patroclo e con il suo maestro: il centauro Chirone. Fu a lui che Peleo lo affidò. “Fa che Achille sia il migliore,” gli disse. “Il fiero Chirone fece un cenno di assenso con il capo mentre ti stringeva al suo fianco caldo, sapendo che essere il migliore non ti avrebbe salvato.” Fu da lui che la madre, Teti, nel tentativo di nasconderlo e di sottrarlo al suo destino, lo portò via. “A un cenno di Teti un delfino emerse dalle acque e si avvicinò affinché lei potesse disporti sul suo dorso, a cavalcioni davanti a se, e sorreggerti con la destra stringendoti al petto.”

A Sciro, questo il nome della località dove giunsero, Achille, sotto la guida della madre, si nascose prendendo le sembianze di una donna e mutando il suo nome in Pirra. Trascorse il suo tempo insieme alla figlia del re Licomede, Deidamia. Lei scoprì il suo segreto, così i due divennero complici e amanti. “Il giorno era il teatro della menzogna, la notte il vostro giardino segreto, in cui guardarvi, per ore, in cui amarvi.”

Ma la guerra di Troia incombeva. “Sulle navi nere e negli accampamenti dei soldati greci,[…] cominciava già a serpeggiare il tuo nome. […] Iniziarono a cercarti. Si diceva che non avrebbero vinto senza di te. Non senza Achille, ripetevano i responsi. Soltanto con lui, giuravano i divinatori indicando i visceri degli animali, i voli disegnati nel cielo dagli stormi di uccelli.”

Fingersi Pirra, per Achille, diventava sempre più difficile. “Guardavi il mare, con insistenza. Come una vedetta controllavi quali navi entrassero in porto e chi percorreva la strada lunga e polverosa che si snodava sino all’acropoli.”

Finchè un giorno, guidati dall’indovino Calcante, approdarono a Sciro due falsi mercanti: Ulisse e Diomede. Ulisse, accolto alla corte del re, con uno stratagemma svelò la vera identità di Pirra, e Licomede scoprì di essere stato ingannato. “Gli inganni durano finchè lo vogliono gli dei”, disse Ulisse.“E questo è il momento della verità, Licomede. Io, re di Itaca, sono qui per conto di Agamennone e di tutta la Grecia, per riprendermi Achille e congiungerlo all’esercito di eroi che distruggerà Troia dalle alte mura, in una guerra giusta, inevitabile.”

Partì Achille, ma prima sposò Deidamia, che da lui aspettava un figlio. “Neottolemo. Lo avrebbero chiamato così tutti li altri. Ma per lei […]sarebbe stato Pirro, in memoria di suo padre.”

Arrivato in Aulide, fu ricevuto da Agamennone. “Eccoti finalmente, figlio di Peleo”, disse. “Adesso è al completo l’armata degli eroi.” In Aulide Achille rincontrò anche Patroclo, pronto anche lui per la spedizione contro Troia.

In Aulide si consumò la tragedia di Ifigenia, figlia di Agamennone e Clitennestra. Giunta all’accampamento con la madre, che era convinta di accompagnare la figlia per le nozze con Achille, Ifigenia trovò ad attenderla Thanatos e Artemide. “Il sacrificio di Ifigenia in cambio di quel vento maledetto che avrebbe condotto a Troia l’armata greca”, questo esigeva Artemide. Per un grave torto subito da parte di Agamennone, Achille decise di non combattere più. “I Troiani non mi hanno fatto niente, non mi hanno rubato il bestiame, non mi hanno sottratto i miei cari né mi hanno offeso, come fai tu adesso, Agamennone”, disse. Allora fu Patroclo, vestito con l’armatura di Achille, a recarsi in battaglia “Nella tua armatura fulgente i Troiani videro Achille, non Patroclo.” Morì per mano di Ettore. “Ettore, […] la morte ti è vicina, più di quanto non creda”, furono le sue ultime parole.

Nel loro ultimo incontro, Teti disse a suo figlio: “ascoltami bene, non lanciarti nella battaglia prima del mio ritorno. Verrò al sorgere del sole.” Poi arrivò l’evento tanto atteso: le scuse di Agamennone, che riparò alla grave offese restituendogli la sua Briseide, e poi si congedò. “Così ti stendesti vicino alle armi lucenti create da Efesto, che alle prime luci dell’alba tua madre aveva lasciato ai piedi del tuo letto. […] Sentivi già il cigolio dei carri, là fuori, i loro passi dentro un fragore di scudi, di corazze, di lance che oscillavano in aria sibilando. Il suono della guerra. Ares, la sua voce tremenda.”

I Troiani sentirono il suo urlo di guerriero: “era riapparso Achille, Achille l’eroe, Achille il vendicatore.” Ma lui cercava Ettore, che lo aspettava all’ingresso delle porte Scee. Quando lo vide, però, “il terrore gli dettò l’unica azione possibile: volgerti le spalle e fuggire, come un ragazzo alle prime armi.” Lo raggiunse e, con un colpo netto, Achille trafisse Ettore. Poi Thanatos si rivolse ad Achille: “Guarda soltanto me, dinanzi alle Porte Scee: il colpo fatale vibrerà nel suono di un dardo, nello spazio di una freccia.”

Tu eri il male più grande per i Troiani. Lui era il male più grande per i Greci. Avete lottato con ogni forza, con la stessa intensità avete amato. In modo diverso siete stati il baluardo della vostra gente. Vi porto va entrambi, prima che tutto si consumi in un grande fuoco.”

Gianlorenzo Capano