Fabio De Ninno: Fascisti sul mare. La Marina e gli ammiragli di Mussolini

Fabio De Ninno
Ed. Laterza, Bari 2017
pagg.241

L’autore, ricercatore universitario, si prefigge, in questo volume, lo scopo di "ricostruire lo sviluppo della marina tra la Prima e la Seconda Guerra mondiale, mostrando come l’influenza del regime fascista e la relazione politica che gli ammiragli costruirono con Mussolini siano state decisive nello sviluppo dell’istituzione."

Nel dopoguerra, tra armistizio e arrivo di Mussolini, l’Italia attraversò una crisi politica, economica e sociale che frustrò le ambizioni di potenza maturate dalla Marina nel periodo liberale. Solo Mussolini sembrava poter rilanciare lo sviluppo della flotta. Dopo la conferenza navale di Washington (12 novembre 1921 – 21 febbraio 1922), che vide la partecipazione di Regno Unito, Stati Uniti, Giappone, Francia e Italia e dove fu stabilito un rapporto fisso nel tonnellaggio delle flotte di navi da battaglia e portaerei delle cinque potenze e un limite del tonnellaggio del “ naviglio leggero”, il 10 ottobre 1922, "poche settimane prima della marcia su Roma, gli ammiragli ribadirono la necessità di costruire nuovi incrociatori leggeri, esploratori, cacciatorpediniere e sommergibili.[…] La ricerca di un nuovo attore politico che fosse in grado di dare respiro a queste ambizioni fu probabilmente il punto più importante dell’alleanza tra l’istituzione e Mussolini." Il Duce, infatti, pose la questione dell’espansione marittima al centro del suo programma.

Il Ministro della Marina Thaon di Revel, oltre a voler rafforzare le ricerche sull’impiego degli aerosiluranti e aumentare lo stanziamento per l’aviazione di marina, "voleva un programma di costruzioni di otto anni (1924 – 1932) che prevedeva 5 incrociatori, 43 cacciatorpediniere e 39 sommergibili," puntando anche molto su personale e preparazione, "attribuendo a questi priorità rispetto alla costruzione delle navi." I due ebbero aspri contrasti riguardo la spesa navale, anche perché "per l’ambiziosa politica navale desiderata dal ministro sarebbe stato necessario rivoluzionare tutta la spesa militare e con essa gli equilibri di potere che ne derivavano." Così, alla fine del 1924, quando i rapporti tra loro si deteriorarono irreversibilmente, il presidente del Consiglio iniziò a cercare un sostituto del ministro che, pur rappresentando per il Duce una spina nel fianco, era comunque "un personaggio molto prestigioso: era considerato pari al generale Diaz, essendo l’unico grande ammiraglio nella storia d’Italia e duca del mare."

La presentazione, il 1° maggio 1925, da parte di Mussolini, del decreto legge che istituiva la carica di capo di stato maggiore generale riservandola ai generali dell’esercito e, il 4 maggio, del nuovo ordinamento dell’aeronautica che assegnava solo 35 squadriglie all’aviazione navale, spinsero alle dimissioni Thaon di Revel e il capo di stato maggiore Ducci. Così, il 9 maggio Mussolini assunse il controllo del ministero della Marina, nominando il 10 maggio Giuseppe Sirianni sottosegretario alla marina e Acton capo di stato maggiore. A lui si deve l’affermazione che "la costruzione di portaerei per la Regia Marina non era né utile né necessaria." La sua visione, accettata dal Duce, era quella di puntare sulla costruzione di un maggior numero di unità leggere, avvantaggiando così la cantieristica nazionale. Pertanto, "sulla questione aeronavale gli ammiragli dimostrarono una notevole dose di miopia, barattando un vantaggio immediato con una necessità di lungo termine per lo sviluppo della marina." D’altronde Mussolini, "pur avendo acquisito la responsabilità politica della gestione delle forze armate, non aveva un suo programma da contrapporre a quello dei militari", e, pertanto, fu costretto a scendere a patti con i vertici della marina. Questi, nel 1926, ottennero anche una riforma che ribadiva la preminenza degli ufficiali di vascello sull’organizzazione della marina – relegando quindi i tecnici a ruoli di secondo piano – e sancendo così un accordo grazie al quale i vertici della marina contribuirono "a legittimare la posizione del duce proponendosi come una delle istituzioni che collaborarono con il fascismo e passarono da protagoniste nel governo del paese." Numerosi, infatti, furono, negli anni successivi, gli ammiragli nominati senatori. D’altronde, "la relazione tra ammiragli e politica anche nel caso del fascismo si spiega innanzitutto tenendo presente le ambizioni espansioniste di cui il gruppo dirigente della marina era imbevuto." Infatti, "in contrapposizione ad un esercito ancora legato ad un’ottica alpina e ad un’aeronautica che mancava persino di una dimensione militare chiara, gli ufficiali della marina furono protagonisti nell’elaborazione dei progetti imperiali del fascismo, rivendicando il ritorno al mare come premessa dell’espansione italiana."

Il Mediterraneo sarebbe tornato ad essere il mare di Roma, affermò Mussolini in un discorso tenuto, nel luglio 1926, sulla corazzata Cavour, agli ufficiali comandanti della flotta. Per essere considerata una grande potenza, però, l’Italia avrebbe dovuto avere un’adeguata presenza sugli oceani,pertanto la marina si sarebbe dovuta preparare ad operare fuori dal Mediterraneo.“Risolto il problema delle frontiere terrestri l’Italia, se vuole essere una potenza veramente mondiale, deve risolvere il problema delle sue frontiere marittime: la stessa sicurezza dell’Impero è legata alla soluzione di questo problema”, disse al Re, Mussolini, il 30 marzo 1940. Intanto l’obiettivo, però, era quello di ottenere la parità navale con la Francia.Con la nomina, nel 1927, degli ammiragli Burzagli e Bernotti, rispettivamente a Capo di Stato Maggiore e Vice, ci furono enormi progressi nella flotta, sia materiali che di efficienza, grazie a una razionalizzazione delle risorse operata dal primo. Nel 1932, con l’ammiraglio Ducci Capo di Stato Maggiore, "la situazione aveva raggiunto il punto critico e le nuove costruzioni attuate per seguire la parità navale stavano assorbendo praticamente tutte le risorse della marina."

Con l’emergere della Germania nazista e l’accelerazione totalitaria del regime, dopo il 1933 "Mussolini pose alla guida delle istituzioni uomini disposti a seguirlo fedelmente nelle guerre che si accingeva a cominciare." In quest’ottica,come sottosegretario nella marina, venne nominato, nel novembre 1933, l’ammiraglio Domenico Cavagnari, che,con la successiva nomina, nel 1934, a capo di stato maggiore, a unico ammiraglio d’armata e quindi a comandante della flotta in tempo di guerra, mantenne il controllo dell’istituzione fino alle prime sconfitte del 1940. Contrariamente a Sirianni, suo predecessore, Cavagnari era favorevole alla costruzione di corazzate, in quanto convinto che fossero alla base del potere navale e anche perché oramai il regime fascista si era avviato alla preparazione di una guerra di grandi proporzioni. Ma i fondi disponibili e le capacità industriali fecero in modo che la marina, nel 1940, arrivasse ad avere una flotta differente da quella ipotizzata nel 1936, vale a dire con molti più sommergibili e torpediniere e meno incrociatori e, soprattutto, senza la portaerei, da alcuni ritenuta necessaria per sopperire al problema della cooperazione aeronavale tra marina e aeronautica, anche se Cavagnari era scettico sulla necessità di questa tipologia di nave, credendo maggiormente nell’impiego di velivoli basati a terra, stesso pensiero del Duce. Questi era stato influenzato, nelle sue letture militari, da Douhet, il quale sosteneva che "il sommergibile era, assieme all’aereo, l’arma che avrebbe trasformato la guerra." La mancanza di una copertura aerea però fu un limite enorme per le navi da guerra italiane in quanto non permise loro di operare lontano dalle basi italiane del Mediterraneo centrale.

Con la nomina di Mussolini, il 30 marzo 1938, a primo maresciallo dell’impero, "i militari cedettero al dittatore la direzione totale delle forze armate." L’attacco degli aerosiluranti inglesi alla base navale di Taranto (11 – 12 novembre 1940), mostrando tutta la vulnerabilità della flotta italiana al potere aeronavale nemico e segnando la fine delle speranze della marina di poter infliggere danni decisivi alle forze nemiche, fu una conseguenza di una politica navale progressivamente e inesorabilmente piegata al dilettantismo militare del Duce."Parlare di una marina fascista sarebbe eccessivo, in quanto potrebbe far pensare che il regime abbia effettivamente fascistizzato l’istituzione e i suoi uomini. E’certo però che Mussolini, con la connivenza degli ammiragli che si trovarono alla guida della marina, ne influenzò in maniera decisiva la politica militare, costruendo una Marina di Mussolini, evoluzione e al tempo stesso diversa da quella del periodo liberale."

Gianlorenzo Capano