Camilla Poesio: Tutto è ritmo, tutto è swing. Il jazz, il fascismo e la società italiana

Camilla Poesio
Ed. Le Monnier
Pag.175

L’autrice, ricercatrice presso l’Università Ca’Foscari di Venezia, in questo suo saggio analizza il jazz, ricostruendo “l’impatto che ebbero sulla società italiana sotto il fascismo questa nuova musica e tutto ciò che ruotò attorno ad essa.”

Arrivato in Europa - prima in Inghilterra e Francia - il jazz “si diffuse a macchia d’olio dopo la fine della prima guerra mondiale con l’arrivo dei soldati americani.” In Italia, dove arrivò nel 1924, il jazz ebbe quasi subito giudizi sempre più negativi, in quanto veniva associato “a situazioni di perversione sessuale, barbarie,  degenerazione dei costumi e della morale.”

Esso rappresentò anche una nuova immagine della donna, “più emancipata, o almeno, dai modi più anticonformisti e che spaventò non poco gli ambienti conservatori.” Inoltre “jazz divenne una parola per indicare,in senso lato, gli USA e, negli anni Trenta quando l’antiamericanismo diventò imperante, il termine jazz divenne quasi sinonimo di capitalismo spregiudicato.[…] Insomma il jazz era diventato agli occhi delle autorità fasciste la musica del capitalismo e, durante la guerra, quella del nemico.”

Le grandi navi che solcavano l’oceano Atlantico furono uno dei principali canali di diffusione di questa musica, grazie all’elevato numero di musicisti nelle orchestre jazz di bordo che erano di ottima qualità. Anche le tournee, in Italia, delle grandi orchestre americane, furono un altro mezzo che ne favorì la diffusione.

Ma fu “il ballo il mezzo principale con cui il jazz si fece conoscere al grande pubblico nelle città.” Quello più audace fu sicuramente “il charleston, da eseguire necessariamente con una gonna corta in modo da permettere alle ginocchia di muoversi liberamente.”

Parlando di mezzi di comunicazione, quello che contribuì fortemente alla sua conoscenza  fu la radio che, però, non fu diffusa su tutto il territorio, soprattutto perché “la stampa cattolica vide nella radio un pericolo ancora più insidioso del cinema perché quella entrava addirittura nelle case con il rischio […]di esporre i giovani a corruzione e scandalo.”

Jazz voleva dire anche mondanità. Nobili, ricchi borghesi e turisti stranieri, infatti, affollavano a Roma il Teatro Apollo,oggi Teatro Eliseo, per ascoltarlo e ballare il fox-trot. A Venezia lo si ascoltava e lo si ballava nei teatri e negli hotel di lusso.

“Chi davvero portò il jazz in laguna fu un musicista di fama internazionale: Cole Porter.” Ma furono soprattutto i giovani, appartenenti a un certo ceto sociale, a subire il fascino di questa musica e del ballo ad essa associato. Per loro lo swing funzionò da calamita: “esso significò un nuovo modo di ballare che presupponeva una nuova mobilità del corpo, fatta su misura per i ragazzi.” Per i più conservatori però, l’unico modo per proteggere i giovani da questa contaminazione era il manganello.

“Il 10 marzo 1943, fu lo stesso Mussolini a dichiarare la necessità di proteggere i giovani dalle influenze straniere e dalla moda americana e inglese, dal diventare 'zazù' ”, figura questa che in Italia fu chiamata “gagà”.

La Chiesa, nei confronti del ballo jazz,fu ancora più dura del fascismo, considerandolo “amorale, primitivo, selvaggio e non degno di un buon cristiano.”

Dopo l’invasione italiane dell’Etiopia, nel 1936, anche il comportamento della radio,nei suoi confronti, si modificò, favorendo un’incentivazione della musica italiana. Pertanto, “il jazz, che veniva in massima parte dell’estero, fu bandito.” Inoltre “numerosi spettacoli cominciarono a avere soggetto patriottico e nazionalistico e in quei lavori dove compariva la “razza negra” la censura si fece più attenta.”

Nel 1938 iniziò la campagna contro i nomi stranieri. “La campagna nazionalistica musicale contro il jazz si espresse anche dal punto di vista linguistico,” e così si sentì parlare di “gez”, “gezzi”, “giazzo”.

“Con l’entrata in guerra degli Stati Uniti, l’8 dicembre 1941 il rifiuto delle parole inglesi si accentuò. […]Questa politica di nazionalismo musicale non riuscì, tuttavia, a evitare l’arrivo e il diffondersi dei Victory – Discs, i dischi incisi esclusivamente per le truppe americane disposte sui vari fronti di guerra, quando gli alleati sbarcarono in Italia.”

Nel regime di Mussolini, quindi, il jazz non fu vietato totalmente, ma ci furono momenti di apertura. “Vietare il jazz sarebbe stato non solo impossibile ma controproducente, anche perché il jazz era amato dai giovani e il regime, per durare, doveva puntare proprio sui giovani.” Fu raggiunto,quindi, un compromesso, che prevedeva l’impiego di musicisti italiani e non stranieri, della fisarmonica al posto del sax e l’utilizzo solo di parole italiane.

“Ufficialmente si parlò di jazz all’italiana, ma di fatto il fascismo aprì definitivamente le porte a questa musica.”

Gianlorenzo Capano