La guerra in Ucraina ha mostrato quanto importante sia per un esercito poter disporre di un sistema di connessione a bassa latenza, banda larga e impronta radar abbattuta garantito da una capillare rete satellitare. Le tradizionali connessioni via cavo non sono più sicure, come dimostrano gli attacchi ed i sabotaggi alle infrastrutture di rete sottomarine. Ecco perché anche per la Difesa italiana l’utilizzo di una rete di connessione satellitare con queste caratteristiche non è più rimandabile.
Questo spiega parte delle priorità d’ordine militare legate alla vicenda SpaceX, con il ministro della Difesa, Guido Crosetto, che, facendo la “fotografia” dell’attuale situazione delle reti militari, ha spiegato che all’Europa di oggi “servono almeno dieci anni per arrivare ai livelli di SpaceX” e che il sistema di Starlink non ha concorrenti né al livello nazionale né a quello continentale in grado di garantire, sotto il profilo tecnologico e delle tempistiche, il servizio che l’azienda di Musk fornirebbe a Roma.
La questione è oggettiva: le Forze Armate italiane hanno una priorità – anche perché il quadro dottrinario di riferimento, quello delle operazioni multidominio, per essere efficacemente trasposto dalla teoria alla prassi ha nella connettività efficace, diffusa e sicura uno dei pilastri – che non possono attendere l’evoluzione del progetto europeo (a guida francese) Iris2, che sarà operativo dal 2030.
Attraverso l’operazione SpaceX-Starlink l’Italia potrebbe coprire i ritardi di Iris2, mantenendo anche la sovranità sui gateway, che è uno dei principali punti di contesa politica. La questione centrale sotto questo aspetto è legata alla mancanza di una alternativa reale a Starlink, figlia sia della miopia europea sulla costituzione di una rete di connessione satellitare, sia dell’impossibilità per il sistema industriale italiano di rispondere autonomamente alle richieste statali in tal senso (senza contare che la rete di Telecom Italia è oggi di proprietà del fondo statunitense KKR, presieduto dall’ex generale e direttore della Cia, David Petraeus).
Se c’è un errore politico in tutta la vicenda, questo è legato alle modalità con cui il governo italiano sta comunicando con il Parlamento e con i media i suoi “approcci” con SpaceX, cercando di mostrare quanto poco centri una certa dose di “amichettismo” (che è termine spesso usato dalle opposizioni per sminuire e attaccare molte delle operazioni strategiche dell’esecutivo Meloni) con Musk più che evidenziare le necessità degli apparti della difesa e della sicurezza nazionale (non solo militare strictu sensu) emerse anche con l’evoluzione del quadro tattico e strategico di riferimento.
Ultimo aspetto da considerare è che l’evoluzione della space economy ha portato alla “commercializzazione” (dunque alla militarizzazione e politicizzazione) dello spazio extra-atmosferico, con società come SpaceX o Blue Origin che hanno capacità tecnologiche e finanziarie superiori a quelle degli Stati nazionali. Le ricadute “dual use” sono enormi e questo impone anche di considerare Elon Musk o Jeff Bezos come attori politici oltreché come imprenditori, dunque come interlocutori, anche al fine di tutelare la propria sicurezza nazionale attraverso un investimento tecnologico notevole.
Foto: presidenza del consiglio dei ministri