Libia: chi pecora si fa il lupo se lo mangia

(di Antonio Li Gobbi)
21/08/20

Gaius Julius Phaedrus (Fedro) ce lo aveva ben illustrato (con la favola del lupo e dell’agnello, ma sembra che nella Roma di duemila anni dopo non se ne siano resi conto: chi pecora si fa il lupo se lo mangia. Mi riferisco, purtroppo, alla “pecora” italiana e al “lupo“ turco.

I segnali ostili nei nostri confronti da parte del “Sultano” sono stati molteplici e ripetuti. Tutti accantonati con timidezza dai nostri “political masters”. Eclatante fu sicuramente il caso della piattaforma Saipem 12000, ma non è stato il solo!

D’altronde, visto che abbiamo sempre “abbozzato” (a differenza di altre nazioni, decisamente più ferme nella difesa dei propri interessi, quali Francia e Grecia) non ci si deve stupire se ad Ankara si siano convinti che ci possono sempre calpestare impunemente e che, anzi, continueremo ad essergli servilmente grati. Infatti, l’Italia è uno dei pochi paesi che ha votato contro le sanzioni nei confronti della politica energetica spregiudicata del Sultano nel Mediterraneo. Politica che peraltro danneggia anche gli interessi italiani.

L’ultimo “schiaffo” in ordine di tempo è stato quello di forzarci a spostare l’ospedale militare italiano a Misurata. “Schiaffo” passato come al solito abbastanza nel silenzio da parte della nostra stampa.

Il 17 agosto il viceministro della Difesa del GNA (Salah Al-Namroush), ovvero quel governo di Tripoli che è supportato anche da Roma, ha firmato un accordo con i ministri della difesa turco (Halusi Akar) e qatarino (Khalid al Attyha) che rafforza ancora di più la presa sulla Tripolitania di questi due paesi (e, per loro tramite, della Fratellanza Musulmana).

L’accordo non ha una valenza puramente tattico-operativa, ma ha una preoccupante natura politico-strategico. Siamo di fronte a un ulteriore passo nella colonizzazione della Libia da parte di Ankara. Passo che fa seguito all’accordo del febbraio scorso relativo ZEE (che già presenta una serie di conseguenze estremamente preoccupanti per lo sfruttamento dei giacimenti di gas off-shore del Mediterraneo Orientale).

Il nuovo accordo, per quanto si sa, prevede in sostanza che il ricco Qatar finanzi la ricostruzione delle forze di sicurezza libiche, che avverrà sotto stretta direzione di Ankara. Già questo appare preoccupante.

Ancora più rilevanti, almeno per noi italiani, sono le clausole relative alla città portuale di Misurata, il cui porto ospiterà (sulla base di una concessione di ben 99 anni!) quella che sarà la più importante base navale turca sulla sponda meridionale del Mediterraneo, mentre l'aviazione militare turca si installerà la base aerea di al-Watya nella Tripolitania Occidentale. È chiaro che qui non si tratta solo di aiutare il GNA a difendersi da Haftar! Viene realizzato nell’indifferenza generale un sistema aeronavale che sarà il “centro” da cui irradiare le attività militari turche, e non solo quelle militari, sia nell’intero bacino del Mediterraneo sia verso l’Africa sahariana. Viene di fatto posata una pietra importante per la realizzazione del progetto caro a Erdogan di ricostituzione della potenza ottomana anche nella sua dimensione geografica.

La base navale turca di Misurata potrà sicuramente supportare la prosecuzione dell’aggressiva politica di esplorazione di gas nel Mediterraneo portata avanti da Ankara. Cosa che forse non dovrebbe lasciarci indifferenti. L’accordo prevede anche l’istituzione di un centro di coordinamento militare tripartito (Turchia, Qatar e GNA) con sede proprio a Misurata. Ovviamente, tra i tre componenti del centro di coordinamento è facile immaginare chi darà le direttive e chi le eseguirà.

In pratica, il così detto “ Islam politico” ispirato alla “Fratellanza Musulmana” riesce a radicarsi, per il tramite delle due potenze statuali che più lo rappresentano (appunto Turchia e Qatar) in Tripolitania e farne il punto di partenza per una espansione politica e confessionale che non potrà essere indolore per i paesi limitrofi (e non mi riferisco solo a quelli a sud del Mediterraneo!)

L’insediamento permanente (99 anni!) a Misurata di assetti militari Turchi mi preoccupa molto sia per quello che ciò rappresenterà per la Libia sia per la pressione (in termini di pressione militare, di controllo delle fonti energetiche, di connivenze con il fondamentalismo sunnita, di gestione dei flussi migratori) che da lì Ankara verosimilmente eserciterà anche nei nostri confronti.

Mi rattrista (pur senza stupirmi) che ciò comporterà il rischieramento dell’ospedale militare italiano che da alcuni anni operava in città (uno dei pochi segnali di un aiuto militare che si è fornito al GNA, senza però mai decidere di impegnarsi davvero politicamente a favore del GNA stesso).

Indipendentemente dal fatto che fosse lungimirante o meno a suo tempo schierarci a favore di Fayez al-Sarraj e del GNA e che tale scelta di campo corrispondesse veramente agli interessi nazionali italiani, resta indubbio che il personale medico militare e quello (ben più numeroso) destinato alla sicurezza ed al supporto della nostra struttura sanitaria abbiano operato in modo eccellente, rappresentando al loro meglio una nazione che li ha mandati in zona di guerra senza però voler accettare l’idea di averli inviati in “guerra”.

Ciò detto, ritengo che la concessione fatta da al-Sarraj alla Turchia (per quanto pericolosa per noi) sia perfettamente logica. Misurata con i suoi 400 mila abitanti è la terza città di quel territorio disomogeneo che gli Italiani (nel trentennio di dominio coloniale) hanno pensato di poter unificare in un unico paese, che hanno chiamato Libia.

Misurata gode di una posizione strategicamente molto importante che si affaccia sul Golfo della Sirte ed è la patria della più importante comunità turco-fona di Libia.

A differenza dell’Italia, ingessata da vincoli che si è autoimposta, la Turchia non si è solo impegnata con uomini e risorse economiche a favore di quel governo fantoccio (riconosciuto dall’ONU ma non dalla maggioranza dei libici), ma politicamente “ci ha messo la faccia” e non ha avuto remore a “sporcarsi le mani”. E se le è sporcate un bel po’!

Per quanto siano bravi i nostri medici, per fronteggiare Haftar (e i suoi supporters russi, francesi, egiziani ed emiratini, che se ne fregavano alla grande dell’embargo ONU) il povero al Sarraj aveva bisogno di ben altro che guardia costiera, ospedale da campo e pacche sulle spalle! Aveva bisogno di quegli assetti (dalle forze speciali, alle batterie antiaeree, ai droni, ai mercenari siriani, eccetera) che Turchia e Qatar gli hanno fornito (ovviamente violando l’irrealistico embargo ONU).

Ormai è evidente che anche in Libia contiamo ben poco. Finché vi sarà una partizione di fatto del paese (e non sembrano esservi soluzioni diverse a breve) noi resteremo un “alleato” (inutile e sbeffeggiato) di GNA, Turchia, Qatar e Fratellanza Musulmana e un “nemico” (ben poco temibile ma pur sempre schierato sul fronte avverso) di chi si oppone ad un Mediterraneo neo-ottomano.

A quando uno scatto di dignità nazionale?

Foto: presidenza del consiglio dei ministri / Anadolu Agency / Türk Silahlı Kuvvetleri