Lo scorso weekend per la prima volta abbiamo invitato i lettori a “dire la loro” su un tema specifico di Geopolitica1: con grande piacere, possiamo dire che le risposte sono state, per quantità e qualità, superiori alle nostre aspettative. Per questo, ci è dispiaciuto, quasi, dover “selezionare”: i vostri spunti sul ruolo dell’IRI, l’approvvigionamento energetico e la mancanza di una seria cultura geopolitica in Italia meriterebbero, ognuno, una trattazione ben più lunga che 250 parole. Chi scrive ha scelto quattro articoli, diversi tra di loro, per offrire ai lettori altrettanti punti di vista sulla situazione di questo Paese che ha il potenziale per essere una potenza regionale, ma che -come detto da uno di voi - “non si applica”.
Il lettore Sergio Pession ci offre un’analisi dello Stato della Penisola, quando afferma che “in realtà siamo sempre stati una terra di facili conquiste da forze straniere” agevolate (anzi, spesso invitate) da fazioni interne. Pare di leggere le cronache del Belpaese dai tempi delle Signorie rinascimentali ai giorni nostri: tra due “papabili” italiani contrapposti, da noi la spunta spesso il “papa straniero”…
Per essere una potenza non occorre essere solo grandi, popolosi, ricchi o ipertecnologici. Una vera potenza deve essere coesa di fronte ad attori stranieri … tutti. Dissidi interni, panni sporchi e scheletri negli armadi li hanno tutte le potenze, ma saper mettere da parte questioni interne e fare un fronte unitario e solido è alla base dell’essere una potenza. Le prove di questo mio personale pensiero ce le forniscono Russia e Cina in ascesa, e Usa sempre più traballanti e spaccati da lotte e conflitti interni. L’Italia, intesa come una Repubblica nata da pochissimo, non è mai stata una potenza, in quanto non ha mai saputo far fronte a spaccature interne, non solo politiche, frutto di millenni di instabilità e non coesione. Nel bene o nel male, l’Italia è fatta dai singoli: patrioti illusi o voltagabbana opportunisti filo Usa/Urss/Impero/Papato. Che cosa cambia? Ci siamo illusi di essere una potenza all’epoca del Duce, come all’epoca del faccia a faccia Craxi-Usa sulla questione della Libia. Ma in realtà siamo sempre stati una terra di facili conquiste da forze straniere agevolate (no, invitate) da fazioni interne miopi di fronte al bene collettivo. Ci chiediamo ancora a cosa serva un esercito? L’industria meccanica italiana è quasi in mano alla Francia? Eni deve cavarsela da sola mentre il nostro governo ancora lotta contro sé stesso? E voi avete l’ardire di chiedere se siamo stati una potenza e se mai lo saremo di nuovo? “Franza o Spagna purché se magna.” Ecco la risposta.
Il lettore Gabriele Cerrato individua nel 1992 - col cambio della classe dirigente e la fine del pericolo sovietico - la cesura storica che ha condotto il nostro Paese a soffrire di quella che acutamente chiama una “sindrome da decadenza”, la quale a forza di essere temuta e paventata, alla fine è arrivata. Gli attuali leader paiono troppo distratti da questioni elettorali contingenti per arginare l’involuzione del Paese.
A partire dagli anni ’60 l’Italia, sebbene ancorata alla NATO e all’alleato americano, seppe ritagliarsi degli spazi di autonomia, implementando una politica estera intelligente che contribuì fortemente al ritorno sulla scena internazionale del Belpaese in un ruolo che, se non è stato certo quello del protagonista assoluto, sicuramente si è avvicinato a quello di un comprimario ineludibile. Ciò è potuto accadere grazie ad una fase storica, terminata nel 1992, che se all’interno è stata vissuta come una successione di governi traballanti, in politica estera è stata capace di portare avanti lungo interi decenni piani di ampio respiro. Da allora, e salvo pochissimi acuti, la politica estera italiana si è involuta, o forse sarebbe meglio dire che l’Italia stessa si è involuta, cadendo vittima di una sindrome da decadenza.
Langue del tutto, anzi può dirsi praticamente inesistente, qualsiasi dibattito che possa seriamente definirsi attinente a problematiche “strategiche”. La decadenza tanto temuta, è purtroppo arrivata ed è plasticamente riscontrabile nella levatura non certo titanica dell’attuale classe dirigente, che non è capace di esprimere leader di livello o, se per caso ci riesce, immediatamente li distrugge.
In definitiva quindi, l’Italia, nonostante tutti i limiti, grazie ad una classe politica intelligente per decenni ha ricoperto un ruolo di potenza in ambito internazionale, anche superiore alle sue reali possibilità.
Oggi invece, con una classe dirigente incapace d guardare un po' più in là del prossimo risultato elettorale, ricopriamo una posizione praticamente ininfluente, pur avendo tante potenzialità.
Cambieranno di nuovo le cose, se cambieranno gli uomini.
Il lettore Ugo Vercellio vede nell’Allenza atlantica un limite strutturale alla tutela degli interessi geopolitici dell’Italia e individua in un rapporto nuovo e diverso con Mosca e Washington l’unico modo per restare competitivi nei confronti della Francia di Emanuel Macron, percepito come il nostro principale concorrente geostrategico e geoeconomico.
Sicuramente l'Italia è stata ed è una potenza regionale. Il problema sta piuttosto nella limitazione di ruolo indotta dall'appartenenza alla NATO (vedasi ad esempio i bombardamenti assolutamente controproducenti, forzosamente richiesti e puntualmente eseguiti su Yugoslavia e Libia). Credo che da questo punto di vista la crisi del 2011 sia stata ininfluente. Esclusa la possibilità di porre in atto iniziative corpose e completamente autonome (siamo troppo deboli per questo, ricordiamoci anche dell'esito della vicenda Craxi/Sigonella), possiamo intraprendere una politica dei “due forni” USA/Russia approfittando della congiuntura attualmente favorevole in questo senso (gli interessi delle due potenze e i loro rapporti non sono così conflittuali, almeno in alcuni scenari); il tutto per cercare almeno di scalfire la posizione dominante della Francia, attualmente e che per chissà quanto tempo, il nostro principale competitor. In questo momento noi abbiamo la classe dirigente idonea allo scopo sia per i buoni rapporti con America e Russia, sia perché l'amministrazione Macron si trova in uno stato di apparente ostilità e/o contrapposizione, soprattutto nei confronti degli Americani. Bisogna però sottolineare che qualsiasi considerazione in merito rischia sempre di lasciare il tempo che trova: le questioni internazionali e quindi geopolitiche di rilievo vengono solitamente affrontate dalla diplomazia sotterranea della quale sappiamo poco o nulla.
Antonio Cortinovis è un lettore molto preparato. La sua analisi si concentra non su fasi storiche o competitor da arginare, ma sulla debolezza della cultura della pianificazione e dell’amor patrio sia del popolo sia dei leader.
L’European Consortium for Political Research definisce potenza regionale uno Stato appartenente ad una regione definita, che domina sotto l'aspetto economico e militare, capace di esercitare influenza egemonica nella regione ed una notevole influenza su scala mondiale, capace di esercitare la forza e riconosciuto o addirittura accettato come leader regionale da parte dei suoi vicini. L’Italia come esempio di potenza regionale? Ha grandi potenzialità, ma non si applica!
La Politica Estera viene molte volte considerata come fattore indipendente, a sé stante. Questa accezione è riduttiva ed imprecisa. Una nazione con ambizioni di leadership regionale necessita di esercitare influenza, e per farlo ci sono due modi: economico / industriale e militare. Propedeutica, quindi, si evince una capacità nazionale di pianificazione che sia fucina di sviluppo economico e culturale, con la conseguente Politica Interna dedita alla realizzazione di quanto strategicamente impostato.
Se l’economia, la politica e la forza di proiezione di influenza e deterrenza militare sono interdipendenti, la cultura e la conoscenza sono il collante che rende omogeneo il consenso popolare, la vera forza della democrazia.
Solo riscoprendo un amore per la Patria associato ad un bisogno di ‘’servire’’ delle classi dirigenti, si può pensare di arrivare alla definizione di obiettivi regionali importanti che necessariamente coinvolgono una legittimazione all'utilizzo delle forze armate e degli accordi economici internazionali, come strumenti di politica estera.
Ci sarebbero ritorni di beneficio molto importanti sia economici che culturali, rafforzando il senso di nazione e di appartenenza, volano di progetti e risultati sempre più ambiziosi.
A questo punto, in conclusione, anche chi scrive si riserva 250 parole, prima di congedarsi, in attesa di sentire i lettori su altri temi, nelle prossime settimane.
Siamo una ex potenza regionale in piena decadenza? Dipende dal punto di vista di chi - parafrasando il lettore Cortinovis - subisce - o dovrebbe subire - la nostra influenza egemonica nella Regione geopolitica italiana, che non è solo quella mediterranea ma comprende anche l’Europa centro-meridionale e adriatico-balcanica. Focalizziamoci per un momento sull’Albania, per fare un esempio: da un quarto di secolo esercitiamo un’influenza determinante, dal punto di vista economico, politico e strategico, sui destini della nostra ex colonia. Se chiedete a Teheran - ma anche a Cairo e Nicosia -, ai margini della regione di cui sopra, vi diranno che Roma è un soggetto internazionale di prim’ordine, per come tiene la propria posizione. Se guardate a Tunisia, Libia, Palestina e Iraq, noterete quanti passi indietro abbiamo fatto nei confronti di questi soggetti internazionali negli ultimi anni. Insomma, abbiamo perso una buona parte dei nostri migliori uffici nel Nord Africa e nel Vicino Oriente, ma abbiamo ottenuto - soprattutto attraverso ENI e quasi senza alcun merito della classe politica - una serie di vantaggi competitivi - leggi: risorse energetiche a portata di mano - nel Mediterraneo orientale. Il fatto che i politici non diano in questo una mano in modo significativo non deve stupirvi: ai lettori che ritengono i trattati europei - da Maastricht in poi - estorti con l’inganno o la coercizione, dico solo che i parlamentari italiani non hanno mai letto - né chiesto di farlo - i testi al momento del voto. No, nessuno li ha pagati: la negligenza viene spontanea ai nostri dirigenti di ieri e oggi.
"LA PAROLA AI LETTORI" DELLA PROSSIMA SETTIMANA:
Difesa Online offre ai lettori la possibilità di dire la loro su temi di Geopolitica e di Politica internazionale, proponendo un argomento specifico: se interessato, il lettore potrà scriverci una ricerca o un’analisi, in buon italiano (nota a piè di pagina: attenzione alla punteggiatura!), con un linguaggio serio e in forma ben strutturata, della lunghezza minima di 150 e massima di 300 parole, scrivendo alla email: geopolitica@difesaonline.it. Testi troppo brevi o troppo lunghi, che usano una terminologia volgare, che contengono offese o che incitano alla violazione della Legge, con link a siti terzi non istituzionali saranno ignorati. I testi selezionati, accompagnati da un sintetico articolo dello scrivente o di altro componente della redazione di Geopolitica di Difesa Online, saranno pubblicati sul sito nei successivi 7-10 giorni, indicando il nome dell’autore delle singole analisi o un alter ego di sua scelta.
Lo scrivente in passato si è sbizzarrito nell’analizzare il famoso Piano B di Paolo Savona2, nell’elencare casi concreti di secessione da una confederazione3 e, infine, nel presentare gli scenari di una possibile uscita dall’Italia dall’Unione europea4. Soffermiamoci un momento su un fatto: al netto dell’ipotesi dell’Europa a due velocità, non esistendo una clausola di recessione dall’Eurozona, chiunque volesse farlo, dovrebbe per forza di cose uscire anche dall’Unione europea. Al lettore, sia un convinto europeista sia un accanito euroscettico, è richiesto di illustrare lo scenario della così detta Italexit, l’uscita del nostro Paese dalla moneta unica e dall’Unione. Al di là degli aspetti propagandistici o allarmistici - che non ci interessano ai nostri fini - vorremmo che il lettore provasse a illustrarci la situazione dell’Italia dal momento della decisione fino a un anno dal “fattaccio”, tenendo buon conto della nostra Costituzione, dei trattati internazionali, delle (inevitabili) reazioni dei Paesi e delle decisioni delle istituzioni coinvolte.
1Leggendo i commenti di molti esponenti politici ma anche di parecchi internauti, si ha spesso l’impressione che l’Italia, dal punto di vista strategico, politico, militare ed economico, sia stata un soggetto di secondo, per non dire di terzo o quarto livello in Europa e nella politica globale durante il periodo tra il secondo dopo guerra e i giorni nostri. Invece, chi scrive fa notare, siamo stati membro fondatore della NATO con la firma del trattato di Washington nel 1949, membro fondatore delle comunità europee oltre che sede della firma del trattato di Roma nel 1957, indipendenti al punto da consentire intese tra l’URSS e colossi dell’industria italiana (ENI e FIAT) negli anni Sessanta, ammessi nel Gruppo dei grandi dell’economia mondiale (G6/G7) nel 1975, capaci di accettare di ospitare gli Euromissili prima della Germania (l’altro Paese interessato) nel 1983, coraggiosi e spregiudicati fino al punto di tenere testa agli USA (guidati da Reagan!) durante la crisi di Sigonella nel 1985, per alcuni mesi la quarta economia del mondo (davanti a Francia e Regno Unito) nel 1992, sponsor del riavvicinamento tra NATO e Russia durante il secondo gabinetto Berlusconi all’inizio degli anni Duemila ecc.
Secondo te, l’Italia ha rappresentato, almeno fino alla crisi del debito sovrano del 2011, un esempio di potenza regionale? Se sì, perché? Se no, perché? Come possiamo (ri)guadagnare forza dal punto di vista politico-strategico con le risorse e la classe dirigente che abbiamo al momento?
2 http://www.difesaonline.it/geopolitica/analisi/il-piano-b-di-savona-noi-...
3 http://www.difesaonline.it/geopolitica/analisi/continuiamo-lanalisi-del-...
4 http://www.difesaonline.it/geopolitica/analisi/il-piano-b-di-savona-e-gl...
(foto: U.S. Air Force)