La mente vince sulla spada!

(di Frank Montana)
07/02/18

“Basti pensare che, al vostro governo, cercare di prendermi è costato 130 milioni di dollari. Li ho trascinati per chilometri in territorio arido e collinoso, facendoli rimanere anche per cinquanta miglia senz'acqua, con nient'altro che sole e zanzare. ...E tutto questo per che cosa? Per niente” (Pancho Villa, 1878-1923)

I terroristi e i ribelli, in rapporto alle forze in gioco, vincono sempre! (anche quando perdono). Le guerre a bassa intensità o asimmetriche per le loro peculiarità vanno a vantaggio dei terroristi e guerriglieri. Iraq, Libia, Siria e Afghanistan hanno dimostrato tutta la fragilità (casuale o no) del sistema militare moderno e ipertecnologico in rapporto alla guerriglia.

Prendiamo ad esempio l'Afghanistan. Ormai da tempo si profila lo scenario dell'uscita di scena - continuamente rinviata - della coalizione dal Paese. Nella catena montuosa Hindu-Kush e le sue diramazioni la lezione è stata severissima. Sono stati totalmente inutili i cambi in corsa dei vari generali americani, soprattutto perché non hanno sostanzialmente risolto nulla in rapporto alle energie, ai soldi e alle vite sacrificate dei poveri soldati caduti o mutilati.

Perché tutto ciò è avvenuto? Perché i talebani e gli afgani in rapporto sono dei super guerrieri e di fatto quasi invincibili anche se scarsamente o male armati? Gli stessi quesiti si possono porre anche per gli altri scenari e combattenti dei Paesi sopra menzionati.

Le domande sono dure e mettono a nudo la realtà che purtroppo alcuni hanno sottovalutato, altri ne hanno avuto la percezione e pochi l'hanno appresa: i conflitti a bassa intensità, oggi come oggi, si combattono meglio e con più efficacia con le strutture Psyops e di propaganda che agiscono sull'opinione pubblica. È paradossale, ma prendendo una massima di Napoleone forse si chiarisce meglio il concetto: “Nel mondo ci sono soltanto due forze, la spada e lo spirito. Alla lunga, la spada viene sempre vinta dallo spirito”. Serve dunque uno studio sulla psicologia dei combattenti e dei terroristi, ovviamente intesi come appartenenti ad una certa etnia od eventuale razza. La polemologia, creazione del sociologo francese Gaston Bouthoul, è sempre stata orientata allo studio della guerra in chiave sociale per arrivare al pacifismo scientifico.

La forza bruta

“Se vuoi dire menzogne che siano credute, non dire verità che non siano credibili” (Tokugawa Ieyasu, shogun del Giappone, XVII secolo*).

Prendiamo a modello l'Afghanistan. La forza bruta, la dimostrazione di superiorità numerica e tecnologica, che rientrano nella tipica dottrina militare, non hanno effetto alcuno in questo fiero Paese, perché la mentalità non si può azzerare di colpo ma solo diluire col tempo. Infatti, da sempre l'Afghanistan è dentro a guerre feudali e in una maniera o nell'altra ha sempre combattuto accanitamente. Le armi antiche hanno subito una trasformazione per la necessità, oggettiva e soggettiva, di modernizzarsi, perché il colonizzatore (invasore) non ha tempo da perdere. Siamo tutti propensi a credere che gli afgani facciano faville solo grazie alla conoscenza del territorio, ma è un errore. Forse è una possibilità, ma non l'unica.

Si può dunque ipotizzare che i combattenti autoctoni sfruttino meglio degli occupanti le risorse tecniche di quei luoghi. Charles Wingate già nel 1943 capì che la “giungla è neutra” e che gli autoctoni non hanno maggiore capacità di analisi del territorio di uno straniero adeguatamente addestrato. Ad esempio, Vo Nguyen Giap, prima di cimentarsi nel campo militare era un ex studente di diritto di Hanoi. Questo a dimostrazione che non era uno che conoscesse la giungla indocinese più dei parà francesi, suoi diretti avversari.

La stessa cosa è per la morfologia territoriale in Afghanistan. La chiave di lettura, per nulla scontata nella sua accettazione, è che invece tutto ruota attorno al perno che gli occidentali sono assuefatti di tecnica. È logico dunque constatare che la tecnica sia uno strumento, non un fine. Purtroppo l'abitudine porta allo stato di trance meccanica che poi pian piano abbandona l'attenzione alle cose. L'attenzione in questi casi gioca il ruolo primario.

L'attenzione

“Considerate più coraggioso non farvi coinvolgere in un conflitto che vincere in battaglia, e laddove c'è già uno stupido che interferisce, fate in modo che non ve ne siano due” (Baltasar Gracián, 1601-1658*)

Gli afgani sono attentissimi perché non hanno grandi disponibilità di mezzi tecnici. Da sempre si sono impegnati in lavori prettamente manuali e per di più semplici. Tutta la loro povera economia è supportata da questa manovalanza e proprio per questo hanno sviluppato, per senso di sopravvivenza, una caratteristica interiore strettamente tecnica.

Attualmente la guerriglia la possiamo definire come una sorta di campo di battaglia tra professionalità, ove spicca, nel caso afgano, l'azione tecnica che non si scolla da quella umana ed individuale (ideologica) ma anzi si antepone sul piedistallo più alto. Secoli di guerre tribali hanno spinto gli autoctoni a studiare con attenzione, appunto, il gap esistente tra le parti in gioco. È sicuramente la scoperta dell'acqua calda, ma gli afgani stanno dimostrando di non avere uguali come capacità di resistenza e di logoramento con una guerra a bassa intensità. La forza dunque consiste nel grado di massima attenzione che il combattente impegna sull'oggetto, qualunque esso sia: sostentamento, apparato, armi, ecc. Questo percorso trasforma l'impegno tecnico nel non tecnico: la vittoria anche senza l'annientamento dell'occupante. Secondo il generale Beaufre la strategia è “L'arte di scegliere opportunamente tra diverse dottrine e i procedimenti possibili quelli che meglio si applicano al caso considerato”. Infatti secondo Beaufre, nella sua analisi sulle strategie, nel caso specifico si riscontra grande libertà di azione ma deboli mezzi, pertanto ci sarà lotta prolungata di debole intensità.

Il ruolo della povertà

“Non dobbiamo mai essere troppo diretti. Guardiamo la foresta: sono gli alberi dritti quelli che si tagliano per primi, quelli contorti rimangono intatti” (Kautilya, filosofo indiano , III° secolo a.C.*)

È la povertà che permette questo miracolo. La povertà che priva tutto ma esalta l'attenzione, soprattutto quando tutto diventa urgente. L'attenzione così arricchisce la povertà dei mezzi. La galassia politica tribale, culturale e religiosa fanno il resto.

L'ambito di applicazione è tutto il territorio nazionale, ma Kabul ne è parzialmente esente, perché più ricca del resto del paese e dunque più povera di attenzione. Sono le aree rurali che si possono dunque considerare le fabbricatrici dell'attenzione.

Le armi da pochi dollari e i principii della guerriglia vincono sui ricchi eserciti

“Quando ho sistemato l'esca per i cervi, non sparerò al primo cervo che s'avvicina ad annusare, ma aspetterò fino a che l'intero branco si raduni intorno” (Otto von Bismarck, 1815-1898*)

Mao Tze-Tung è stato profetico: “Le armi sono un fattore importante, ma non decisivo della guerra. Il fattore decisivo è l'uomo e non il materiale. Il rapporto di forze è determinato non soltanto dal rapporto di potenze militari ed economiche, ma anche dal rapporto di risorse umane e di forze morali. È l'uomo che dispone delle forze militari ed economiche” (Della guerra prolungata, maggio 1938).

Gli eserciti di oggi sono moderni, polivalenti e strutturati per affrontare situazioni e scenari disparati contro ogni tipo di nemico. Dalla struttura all'equipaggiamento tutto riconduce alla polivalenza. Sono l'immagine del potere e dello stato che servono in base al budget disponibile e alla tecnologia ultramoderna. La guerriglia, invece, è al suo opposto e fa appello ad un armamento improvvisato ed eteroclito raccattato durante le imboscate, col contrabbando o prodotto dall'ingegnosità dei combattenti. Un esempio su tutti: la coperta isotermica di emergenza, usata per sfuggire all'individuazione dei droni.

La guerriglia ha i suoi princìpi che risalgono già ai tempi della Bibbia. Ma rimanendo in epoche più o meno recenti possiamo citare interessanti spunti di analisi studiando Vercingetorige contro i Romani, Bertrand Du Guesclin (1320-1380) contro gli inglesi dopo la battaglia di Poitiers, oppure i Vandeani contro Hoche e soprattutto gli spagnoli che, nel 1812, condussero la guerilla, contro le armate di Napoleone.

Il trattato di Sun-Tzu, L'arte della guerra, ben si adatta alla guerriglia, perché le strategie e tattiche occidentali elaborate da Clausewitz nel suo trattato “Della guerra” invece vanno bene solo per gli eserciti delle nazioni ricche, ovvero con forti strutture tecnologiche ed industriali.

La guerriglia si divide in otto fasi distinte (contenute in tre macro processi) le quali possono essere interrotte con le dovute contromisure, ma più ci si avvicina alla ottava fase, più risulta difficile invertire il trend.

Ecco il percorso di crescita nel tempo.

Cristallizzazione: 1, selezione militanti; 2, corrosione dell'ordine sociale e inizio delle azioni terroristiche;

Installazione: 3, azione psicologica sul popolo, inizio delle formazione paramilitare; 4, attacchi sistematici; 5, creazione basi d'appoggio;

Edificazione: 6, Ingrandimento basi nelle aree liberate; 7, passaggio da guerriglia ad esercito popolare; 8, instaurazione del nuovo potere.

La guerriglia ha una sua specifica durata nel tempo che in media tende ad essere di circa sette anni a prescindere dall'esito. Solitamente si riscontra un effetto speculare tra impantanamento guerresco con impantamamento politico.

La veglia ipnotica

“Attraversare furtivamente l'oceano in pieno giorno. Questo significa creare un paravento che abbia un aspetto familiare, dietro al quale gli strateghi possano manovrare non visti, mentre tutti gli occhi sono abituati a puntare su qualcosa di noto” (I 36 stratagemmi citato in L'arte giapponese della guerra, Thomas Cleary, 1991*)

Tutto questo non è sufficiente a fare del guerriero afgano un super combattente, perché serve anche il condizionamento mentale in modo da farlo immolare alla causa. I kamikaze, parola giapponese ma ormai tristemente usata in tutto il mondo, subiscono un lavaggio del cervello attraverso un uso particolarmente aggressivo e distorto della religione. Sempre Napoleone può aiutare nella comprensione degli eventi: “Non vedo nella religione il mistero dell'Incarnazione, ma il mistero dell'ordine sociale”. A questo punto si potrebbe ipotizzare che arrivino ad uno stato di veglia ipnotica e così inviati al martirio. Questa particolare ipotesi darebbe la spiegazione al coraggio cieco, assoluto e senza tentennamenti che dimostrano nelle azioni di guerriglia e negli atti di terrorismo. Una forte vocazione alla difesa della propria patria non è sufficiente a convincere tutti a farsi saltare in aria, servirebbe appunto l'ipnosi.

Il tempo

“Il terreno, possiamo sempre riconquistarlo, il tempo mai” (Napoleone, 1769-1821*)

Il tempo gioca un ruolo importante. Per i talebani il tempo dei combattimenti è legato alla stagioni dell'anno. Quest'alternanza tra le stagioni è una vera e propria arma di logoramento al nemico. L'invasore, in questo caso l'Isaf, viene costretto al prolungamento del conflitto a bassa intensità.

Perché la mentalità afgana è così refrattaria alle novità e ai cambiamenti?

“L'esperienza dimostra che, se si prevede da lontano il disegno che si desidera intraprendere, si può agire con rapidità una volta venuto il momento di eseguirlo” (Cardinale Richelieu, 1585-1642*)

La mentalità locale è lenta nell'evolversi in quanto montanari e con un retaggio atavico all'insegna dell'isolamento. Secoli di semi isolamento montano hanno forgiato le 14 etnie locali. L'aspetto della mentalità montana è valida per qualsiasi Paese del mondo. La durezza nel carattere rende gli afgani molto combattivi e resistenti. Sono mussulmani e questo li rende poco malleabili e impermeabili alle emancipazioni veloci e più legati alle tradizioni. Anche se al primo impatto visivo si può essere tratti in inganno soprattutto se hanno internet, parabole e cellulari. Il popolo generalmente possiede irriducibili istinti conservatori, un rispetto feticista per le tradizioni e un orrore inconscio per tutte le novità. Gli afgani non fanno eccezione, perché il popolo viene forgiato dall'ambiente circostante di riferimento assieme all'ereditarietà. La somma, pertanto, costituisce l'anima stessa del popolo. I caratteri tipici, sempre riferiti al popolo, sono ancestrali e molto stabili. La vera storia non è quella che ci impressiona per la durata del conflitto o la particolare violenza, perché i veri cambiamenti vedono la luce attraverso le opinioni, i concetti e le credenze. Ma sono solo due i passaggi che generano novità e influenzano gli eventi: la fine delle credenze religiose, politiche e sociali di riferimento; produzione da parte della scienza e dell'industria di nuove scoperte che vanno a modificare le condizioni di vita e di pensiero precedenti. Ovviamente uno Stato che sta cambiando pelle deve avere regole fisse condivise da tutti e tese a portare disciplina, raziocinio finalizzato alla convivenza pacifica, preveggenza politica e una adeguata cultura. Tutte queste qualità al momento non sono presenti tutte assieme in Afghanistan e proprio per questo ci sono ancora problemi grossissimi.

Il fattore etnie è comunque preponderante nella questione afgana, perché tutti gli atti coscienti vengono elaborati da un substrato, peraltro inconscio, che subisce pesantemente le influenze ereditarie e i residui ancestrali appartenenti alle varie etnie di riferimento. Uomini della stessa etnia si assomigliano solo grazie al substrato in questione. È questo che determina l'anima della etnia e il conseguente senso di appartenenza. Ogni popolo ha origine da poche idee fondamentali e quasi mai rinnovate.

Ora l'Afghanistan è al centro del dilemma: rientra tra le idee create al momento da mode o influenze passeggere, oppure rientra nelle idee fondamentali e pertanto stabili grazie ai fattori ereditari e della pubblica opinione? Le idee democratiche e sociali rientrano nel secondo caso, ma quanto è vicino l'Afghanistan a queste?

È il tempo che fa da regolatore al dilemma. Ma il maggior rischio odierno è quello che gli afgani si siedano sugli aiuti esterni e non percorrano fino in fondo il cammino verso la democrazia più per pigrizia che per altro. Districarsi non è facile e sempre di più si capisce che la guerra a bassa intensità si può vincere con l'uso massiccio e mirato delle Psyops.

Volendo fare un confronto storico, le idee filosofiche che fecero maturare le condizioni che portarono alla Rivoluzione francese ci misero moltissimo per far breccia e radicarsi nell'anima popolare. Non ci fu nulla di veloce e immediato e il popolo solitamente, almeno per quanto riguarda la maturazione di certe idee, è sempre in ritardo di varie generazioni sugli scienziati, sugli artisti e sui filosofi.

Neppure i miliardi di euro e dollari spesi dall'Isaf per sostenere le operazioni sono stati sufficienti a portare totalmente la giovane democrazia a camminare con le sue gambe in tempi brevi. Evidentemente quello che non hanno funzionato non sono stati gli apparati operativi, in questo caso le FFAA, ma le idee politiche. Manca dunque lo Zweck di Clausewitz, ovvero la “strategia nazionale politica”. Ci sono ancora delle sacche della resistenza molto attive e non riconoscono gli occupanti. La polizia afgana ha paura di intervenire. Perché? Non c'è ancora una opinione pubblica radicata e questo i poliziotti lo sanno. Dunque in questo contesto non è assolutamente facile muoversi. Secondo il filosofo inglese David Hume, due eventi sono in relazione (associazione) costante (abituale) se uno è causa dell'altro quando si verificano entrambi (congiuntamente), con l'avvertenza che un evento dovrà sempre precedere l'evento successivo se fra i due elementi c'è un legame. Cioè:

  1. A è causa di B quando A e B si verificano sempre congiuntamente e mai separatamente,
  2. A dovrà verificarsi per primo
  3. e tra A e B dovrà esserci un legame causale costante.

Va da sé che la religione gioca un ruolo determinante in questa complicatissima scacchiera, pertanto possiamo arrivare alla conclusione che le moschee di fatto racchiudano una sottile strategia di controllo dello status quo, perché chi conquista il potere o uno stato deve per forza poggiare sull'immaginazione popolare (questo vale anche per le altre religioni). Le folle possono essere trascinate e anche il popolo, nel senso più vasto del termine, non fa eccezione. La storia d'altronde lo dimostra chiaramente: la creazione delle più importanti religioni, come di quelle minori, non sono altro che logiche conseguenze di impressioni, peraltro forti, prodotte dall'immaginazione degli uomini. Controllare una religione, o meglio usare il fattore religioso a scopi politici porta ad avere una obbedienza alla causa in certi casi assoluta. Se si pensa all'antica Roma, si percepisce allora la vera portata di questo potentissimo grimaldello psicologico. L'obbedienza assoluta a Roma la rese immensa. E tutto perché l'imperatore, che impersonava la grandezza dell'impero, era adorato come un Dio. Ecco, proprio su questo piano si colloca il problema delle Moschee. Anche se siamo nel 2018, di fatto la psicologia umana non è minimamente cambiata dalla nascita dell'uomo. Le folle, il popolo, gli uomini di tutte le razze ed etnie hanno assolutamente bisogno di una religione, ma questa può essere rappresentata sia da una religione nel senso classico del termine, sia da una dottrina politica assorbente quanto una religione vera e propria. Una causa, un credo, una dottrina si diffondono solo se rivestono una forma religiosa. Questo permette di metterle al riparo dalla discussione. Quest'ultima viene evitata come la peste in quanto potenzialmente demolitrice del potere stesso. Gli eventi storici in questione si possono capire bene solo se viene chiarito il grado di assorbimento religioso e delle idee cui sono portatrici. Il popolo, la gente comune, le folle spontanee solitamente ne sono pregne e le violenze delle guerre, le rivoluzioni, i massacri, i bisogni di propaganda si capiscono se vengono considerati come la manifestazione più evidente del diffondersi di una nuova credenza religiosa nell'animo umano.

Ecco perché le tradizioni sono tanto importanti e nel caso dell'Afghanistan le tradizioni hanno un valore altissimo, perché rappresentano le idee, i bisogni, i sentimenti del passato. Esse sono quello che si potrebbe definire la quintessenza della etnia di appartenenza e il loro peso crea una dipendenza psichica suggestionante. Ogni popolo è fondamentalmente un organismo che mantiene fortissimi legami con i suo creatore: il passato. Solamente lente cumulazioni ereditarie permettono la modificazione. Il popolo si nutre di tradizioni, perché sono esse stesse le sole che mantengono vive l'identità nazionale. Queste mutano facilmente ma solo nelle forme esteriori. Senza tradizioni, vale a dire senza l'anima nazionale, non vi è alcuna forma di civiltà.

La contesa politica in Afghanistan si gioca prevalentemente sotto quest'ottica. L'uomo da sempre ha avuto solo due grandi pensieri: creare le tradizioni e poi distruggerle, quando gli effetti benefici erano arrivati alla fine. Le tradizioni stabili nutrono la civiltà; il progresso arriva con la lenta eliminazione delle tradizioni. Ora L'Afghanistan a che punto si trova di questo particolarissimo percorso vitale? Da quanto si vede la difficoltà sta nel trovare il giusto mix tra la stabilità e la variabilità. È una lotta strisciante e lenta, come lenta è l'evoluzione e la presa di coscienza di un popolo. La soluzione del rebus non è per niente facile. Il rischio è la cristallizzazione: costumi che si stabilizzano troppo (varie generazioni), non permettono né il perfezionamento né l'evoluzione. Fondamentalmente sono inutili anche le rivoluzioni e i colpi di mano improvvisi, in quanto non incidono in maniera profonda e duratura nell'anima del popolo soggetto a tali sollecitazioni. Se le tradizioni vengono disperse creano il caos e l'anarchia. l'Afghanistan ha delle caste? Queste rappresentano il conservatorismo duro e puro. Le variabili in tal senso sono molteplici. Pensare che una diatriba di questo livello si possa risolvere solo con una manciata di militari posti fuori dai loro fortini e dalle loro caserme per qualche anno non è sicuramente l'idea vincente. I militari fanno sempre bene il loro lavoro, ma è la politica che in questo caso ha fallito il suo corso. Ecco perché un uso massiccio delle Psyops può fornire la soluzione. Solo il tempo può fare da regolatore, perché permette l'evolversi o la scomparsa di tutte le credenze con l'acquisizione o meno del potere necessario. Bisogna sempre risalire al passato per determinare la genesi del cambiamento in questione. Ci sono due memorie in uno Stato: quella del popolo con le sue credenze e quella diplomatica. La prima è più duratura, la seconda più evanescente. Sono passati diversi anni per poter trarre un bilancio accurato con questa chiave di lettura e proprio per questo si deve iniziare a studiare il problema dando priorità alla pubblica opinione.

Le organizzazioni politiche e sociali si formano attraverso i secoli e dopo questo percorso molto lungo trovano la loro regola. Bisogna sapere come è stato preparato il terreno per capire quanto succede oggi. Il tipo di insegnamento impartito oggi, soprattutto ai giovani, permette di fare una triangolazione sugli avvenimenti del futuro, dunque, una previsione abbastanza precisa. Ma rimane assodato che fin dalla notte dei tempi i popoli hanno sempre subito l'influenza delle illusioni. Statue, chiese, templi sono stati creati per onorare chi di dovere. L'unica maniera per distruggere le illusioni, magari diventate troppo pericolose per un determinato ordine sociale, è quello di distruggerle con l'esperienza. Di fatto è l'unico mezzo efficace per radicare solidamente una verità nella coscienza dei cittadini di un paese. C'è un problema, però: deve assolutamente rinnovarsi molte volte e soprattutto su vasta scala. È credenza comune che l'esperienza venga tramandata da una generazione all'altra, ma è vero parzialmente in quanto la generazione immediatamente successiva non ha, stranamente, capacità di apprendimento. Creare la fede religiosa o fede politica o fede sociale è compito dei grandi capi. La fede è dunque un'arma potentissima per i fini sociali, perché moltiplica la forza degli individui. Il lato curioso è che il contagio di questa forza arriva sempre senza il ragionamento. Cioè viene preso in blocco e mai messo in discussione.

Le etnie da analizzare dunque sono pregne di elementi psicologici di base oltre ad elementi mutevoli. Risulta fondamentale lo studio delle credenze popolari, nonché le opinioni del popolo. Perché tutto viaggia sul rapporto tra gli elementi. Un argomento passeggero viene spesso preso in considerazione dal popolo, ma è più difficile che venga radicalmente modificato la parte più dura e profonda. Le rivoluzioni cambiano le cose quando il popolo è già predisposto al cambiamento, perché così vengono cancellate o eliminate le credenze popolari già praticamente senza forza alcuna. Il quadro afgano va visto nell'ottica che l'intolleranza che manifestano altro non è che l'arma principale con cui viene giocata questa difficilissima partita, perché inconsciamente il popolo afgano usa l'intolleranza stessa come l'àncora di salvezza di se stessi, insomma una virtù da non perdere assolutamente e anzi da alimentare. In questo caso l'intolleranza rappresenta la virtù nella vita della galassia tribale.

Le Psyops per battere la guerriglia e il terrorismo

“...e sono tanto semplici li uomini, e tanto obediscano alle necessità presenti, che colui che inganna troverà sempre chi si lascerà ingannare” (Niccolò Machiavelli, 1469-1527*)

Le Psyops sono a questo punto la risposta adeguata ad una guerra a bassa intensità, perché permettono di fare presa nei cuori e nelle menti di quelle persone che altrimenti sarebbero i primi sostenitori dei talebani e dei terroristi. Il terrorismo ha bisogno di fare propaganda per esistere e la sua propaganda sono le stragi. I guerriglieri, invece, hanno comunque bisogno di sostegno popolare che altro non poggia sulla bontà delle loro idee propagandate attraverso le motivazioni e le azioni della guerriglia stessa. Di fatto i centri di reclutamento passano attraverso strutture che preparano in maniera adeguata lo spirito del combattente. Questa preparazione solitamente è un percorso che richiede un po' di tempo. Le Psyops hanno l'antidoto a questa situazione, perché creano delle spinte centripete che impediscono alle forze centrifughe delle propaganda avversaria di diramarsi e di fare presa. Quando inizierà il potenziamento delle Psyops? Speriamo presto, perché il tempo in questo genere di operazioni è prezioso e “nessun uomo deve disperare di riuscire a conquistare seguaci all'ipotesi più stravagante purché abbia arte sufficiente a rappresentarla sotto i colori più favorevoli” (David Hume, 1711-1776*).

[* citazioni prese dal libro “le 48 leggi del potere” di Robert Green, Baldini & Castoldi]

(foto: U.S. Air Force / U.S. Army / NATO / Operation Inherent Resolve / U.S. DoD)