La complicità dissenziente: un ossimoro per militari e magistrati

(di Nicolò Manca)
20/08/19

Open Arms, Sea Watch, Alan Kurdi... la musica non cambia: niente di nuovo sotto il sole e sopra i mari. Rispettando una liturgia riproposta fino alla nausea, sta giungendo alla fase conclusiva l'ennesimo sbarco a Lampedusa del carico di migranti “salvati” da una delle ong non italiane attive nel Mediterraneo.

Il cliché dell'immigrazione clandestina è scandito, come ormai tutto il mondo sa, da codificate procedure corrispondenti ad altrettanti anelli di una catena. Il primo anello è notoriamente costituito dai trafficanti di esseri umani, segue l'anello degli scafisti e dei titolari di pescherecci disposti a collaborare per mettere a punto, ancor prima di allontanarsi dalle coste libiche, il rendez-vous con il terzo anello: le imbarcazioni delle ong.

Trasbordati i migranti (in gran parte dichiarati malati o minori non accompagnati e comunque tutti “in fuga dalla fame e dalla guerra”, anche se non pochi sono sovrappeso, forniti di cellulari o catenine d'oro e con un taglio di capelli niente affatto fuori moda), si ripropone quindi la sceneggiata della ricerca del porto sicuro, che ovviamente non può essere individuato tra quelli africani, per quanto meta di turisti desiderosi di trascorrervi giorni di relax, né può essere Malta e tanto meno un approdo nel paese titolare dell'imbarcazione ong in gioco.

Il porto sicuro non può che essere in Italia, soluzione peraltro incredibilmente caldeggiata, come impietosamente reso di pubblico dominio dal web, da Presidenti del Consiglio italiani del passato e del presente. Eventuali intralci a questo scontato protocollo vengono superati da uffici giudiziari affidati alla frangia più illuminata della magistratura, della quale è peraltro succube anche quella componente che non ne condivide l'operato, ritenendo che per nessuno, e a maggior ragione per un magistrato, sia lecito infrangere le leggi votate dal Parlamento e promulgate dal Capo dello Stato.

A questo punto entra in scena il quarto anello della catena: le forze armate. Con il sottofondo del petulante canto delle sirene vaticane e del canonico “bella ciao” delle cooperative smaniose di mettere la mani su un nuovo stock di migranti, le navi della nostra marina collaborano per effettuare o concludere l'opera di “salvataggio”, con il concorso dell'esercito e dell'aeronautica per quanto concerne assistenza sanitaria, trasporto ecc.

Questo lo scontato protocollo (e sorprende che agli speculatori che l'hanno messo a punto riesca così facile metterlo in atto) in virtù del quale si continua a portare in Italia una parte delle decine di milioni di africani che anelano a sbarcare nel Bel Paese. Sarà poi la cronaca nera a ricordare ogni giorno che un numero significativo di queste “risorse” migratorie è costituito da delinquenti che preferiscono la magistratura italiana e le nostre variegate compagini democratiche a quelle meno permissive dei loro paesi di origine.

A completare il quadro, il consueto atteggiamento ambiguo dell'Europa che dopo 17 giorni di silenzio propone soluzioni ambigue, vaghe e contradditorie, rafforzando il convincimento che un'Europa così viscida e falsa sia meglio perderla che trovarla.

Poiché è indubbio che sotto il profilo etico questa liturgia sia vergognosa e inequivocabilmente censurabile, sorge spontanea una domanda: perché chi indossa una toga o una divisa non se ne dissocia, ma se ne rende addirittura collaboratore e complice? Al dissenso morale dovrebbe seguire un “non ci sto” senza se e senza ma. Niente di illecito, sia chiaro: nessuno vuole guerre intestine stile Trenta-Toninelli-Salvini anche nell'ambito della magistratura e tanto meno colpi di stato di matrice militare, ma semplicemente una presa di posizione da parte dei vertici di queste due istituzioni.

Come? Rendendo pubblico il proprio pensiero (valga il recente esempio del parroco di Sora, don Donato Piacentini) e dimettendosi, per coerenza, dall'incarico ricoperto.

E invece niente di tutto questo: solo silenzi e visi sorridenti a fare da cornice alla pentastellata Elisabetta Trenta, sacerdotessa della liturgia sopra delineata, nella sua veste di capitano della “Riserva selezionata” assurta al rango di ministro della Difesa. È inevitabile che questa immagine richiami alla memoria quella di un altro capitano della “riserva selezionata”, Massimo Ficuciello, caduto a Nassiriya il 12 novembre 2003. Massimo Ficuciello, giovane non attivista né simpatizzante di alcun partito, lasciò il suo lavoro di analista bancario di un istituto di credito milanese per entrare nei ranghi della Brigata Sassari. Mi chiedo quale potrebbe essere il giudizio di Ficuciello su questa sua collega della riserva selezionata che, ricoperto il ruolo ministeriale senza tradire l'assoluta fedeltà al partito di appartenenza, ha operato con incisività ed efficacia per affossare le forze armate, accettando che ne fosse mortificato il bilancio e promuovendo provvedimenti “epocali” quali la sindacalizzazione.

A coronare l'opera della Trenta è ora la posizione da lei assunta nell'affaire migrazione clandestina, e considerato il ruolo svolto nel settore anche da vari presidenti del consiglio e ministri dei governi succedutisi negli anni, non resta che tirare le somme e riconoscere che nessuna istituzione è immune dal rischio di allevarsi una serpe nel seno. Una presa di posizione, nel rispetto della legge, da parte dei vertici della magistratura e delle forze armate rappresenterebbe quanto meno un antidoto efficacia contro la proliferazione delle serpi.

Foto: RAI / ministero della Difesa