Il mare e l'Italia: solo una piatta distesa di ombrelloni?

(di Gino Lanzara)
27/08/18

Per quanto possa apparire bizzarro, la geopolitica interessa anche il nostro Paese. Il fatto che non rientri tra le discipline di maggior seguito nazional popolare, non impedisce che le dinamiche delle relazioni internazionali tocchino le nostre sponde lasciando segni tangibili. Il termine “sponde” è causale: l’Italia si protende nel Mediterraneo e, da sempre, ha intessuto un rapporto simbiotico con il mare nutrendosi, di fatto, di acqua salmastra, malgrado di ciò se ne avvedano in pochi.

Quello di cui siamo drammaticamente carenti è una strategia marittima, una mancanza che suona come un ossimoro per una Nazione che, dal mare, ha tratto fin dal passato più remoto le proprie fortune. Che piaccia o no, l’evoluzione di qualunque statualità istituzionalizzata non può che passare per la sua geografia fisica; il non assecondarla finisce per penalizzare strategicamente quella politica, privandola di preziose leadership potenzialmente sostenibili: nel corso della storia alcuni tra gli storicamente più rilevanti attori geopolitici italiani, come Venezia, hanno ben inteso il concetto di marittimità; i Savoia lo hanno capito (e male) con ampio ritardo; tutti gli altri, specie negli ultimi 40 anni, lo hanno semplicemente gettato nel dimenticatoio accantonando, di fatto, il concetto stesso di interesse nazionale, letto come una scomoda e “colpevole” eredità (strategica) del passato.

Con il mutamento del quadro geopolitico internazionale, il contesto mediterraneo ha richiamato tutte le potenze costiere a prendere atto di una diminuzione del ruolo egemonico dell’alleato americano, scientemente impegnato altrove; passare da un ruolo di pura mediazione ad una parte proattiva non ci ha però trovato fattivamente pronti, tanto da aver dovuto subire una condizione di instabilità che ha, in brevissimo tempo, dissolto le certezze che l’Italia aveva riposto nell’esercizio della sua influenza, Libia docet. L’assertività e l’intraprendenza di potenze estranee al bacino mediterraneo come Russia e Cina, e la ricerca di un bilanciamento di potenza tra Israele e Paesi mediorientali, non ha trovato sponda in una concreta e razionale strategia italiana, una strategia che avrebbe dovuto essere a largo spettro, complessiva, capace di compendiare i molteplici aspetti che, fisiologicamente, caratterizzano le relazioni internazionali.

Che piaccia o no, per il nostro Paese il mare era, è e sarà sempre vitale, e comporterà in ogni caso dei risvolti economici di primaria importanza; il fatto che la proiezione nazionale sul mare non riscuota particolari interessi, non vuol dire che la marittimità non sia importante. Per l’Italia il mare è commercio, è energia, è il punto di congiunzione tra un’idea strategica e l’esistenza stessa degli interessi nazionali; il Mediterraneo offre dunque all’Italia, pur nella sua percepibile fragilità politica di fondo, tutte le possibilità per assurgere ad un ruolo rilevante nelle relazioni tra i vari Stati costieri, consentendole di ipotizzare un’azione di decisa protezione degli interessi nazionali nel “suo” bacino, per poi proiettarsi verso acque si più distanti ma fondamentali per le sorti del Paese. Protezione e Proiezione, le basi di una naturale politica di potenza per un Paese fondato su di un’economia di trasformazione, e con imprese capaci di affermarsi anche in contesti particolarmente “difficili”, come l’ENI, e bisognose della protezione che solo una Marina efficiente può garantire.

Se è vero che la nostra blue economy non può prescindere dal ricercare fonti e risorse in ambiti oltremare, è altrettanto vero che non è più concepibile il non realizzare la costruzione concettuale di un complesso strategico di attività dedicate solo ed esclusivamente al mare, e che compendino sia gli aspetti economici sia quelli più operativi strettamente vincolati ad una Forza Navale moderna ed efficace posta a loro difesa. Dall’area mediterranea si può ampliare il concetto strategico italiano, dato che dal mare si innescano connessioni sempre più profonde ed articolate per una realtà globalizzata e multipolare che, per quanto ci riguarda, non può trovare compiutezza nella Politica Marittima Integrata di matrice europea.

L’Italia, mai come ora, ha bisogno di trovare il punto di giunzione tra geopolitica, geoeconomia e strategia; il Paese ha bisogno di una vera geopolitica marittima, alla stessa stregua delle maggiori talassocrazie che, alle loro fondamenta e senza ipocrisie, hanno posto la pietra angolare del potere marittimo quale concetto geopolitico e non solo strategico e militare. Economia, commercio, energia, investimenti con una valida componente navale a difesa rientrano dunque in una concezione geopolitica di più vasta portata che deve essere appresa completamente e, soprattutto, ora che le componenti infrastrutturali e logistiche marittime cominciano a manifestare la necessità di interventi decisi, magari sfruttando le economie di scala che il sistema offre.

Le relazioni internazionali, tuttavia, e come già più su visto, richiamano all’importanza delle “percezioni”, e la percezione che la classe politica ha del complesso marittimo è estremamente labile, bassa, assolutamente non tarata per la sua rilevanza sia in ambito politico interno che esterno ai confini.

La comunità italiana, dopo anni di colpevole auto annullamento culturale, non concepisce nemmeno lontanamente la possibilità di essere parte fondante di una potenza marittima, e questo ha condotto le classi dirigenti del sistema Paese a non avere nel proprio codice genetico neanche un allelo salmastro, neanche un grammo di quella cultura di popolo che, ancora oggi, anima le altre potenze continentali, un’intellighenzia che ha confuso la retorica passata con la realtà oggettiva che l’ha sottesa.

Manca, di fatto, un centro strategico del mare che sussuma le funzioni tecnico specifiche che, nelle ultime legislature, sono andate perdute e parcellizzate; manca un punto di coordinamento che integri olisticamente tutti i soggetti “del mare” sotto una governance politico – strategica che assicuri libertà di navigazione e di accesso alle destinazioni marittime in una cornice definita dal diritto internazionale, una “testa pensante” che consenta di vedere le spese per l’ammodernamento della flotta per ciò che sono: un investimento mirato a sostenere il complesso industriale e ad assicurare la protezione delle vie marittime dalle minacce asimmetriche portate da terrorismo e pirateria, e favorite da passaggi obbligati e rotte fisse.

La maggior porzione del globo è fatta di acqua; ridurre o, peggio, negare per un Paese peninsulare l’importanza di una Marina Militare efficiente significa andare contro realtà e ragione, significa privarsi di quello che, da sempre, è stato uno dei più efficaci strumenti di politica estera, significa pensare l’Italia come un immenso molo di arrivo, e non come un porto da cui partire e proiettarsi oltre un Mediterraneo sempre più territorializzato malgrado non sia diviso in Zone Economiche Esclusive, eccezion fatta per la Francia, forte del Secretariat pour la mer.

Ma l’Italia è in grado di pensare un Mare Nostrum che, a vantaggio della fragilità politica, non sia res communis? Come pensare di stabilire e difendere “territori” marittimi dai limiti più rigidi, se anche il richiamo al rispetto delle precostituite zone SAR pone dubbi interpretativi che sconcertano per la loro labilità concettuale? Il nostro, può essere un Paese capace di rileggere realisticamente le teorie strategico navali alla luce dell’evoluzione che ha condotto geopolitica e geoeconomia ad affiancarsi alla più pura strategia militare? L’Italia è in grado di accettare un ruolo sempre più centrale della propria Marina alla luce dei principi di controllo marittimo e proiezione verso terra? Il nostro Paese può accettare l’assunto che “whoever rules the waves rules the world”, e che la diplomazia navale si fonda su indiscutibili capacità militari?

La Marina, nel suo dinamico show the flag, è capace sia di soft che di hard power, ed è in grado di garantire una reale power projection ashore, ma è l’Italia stessa che deve prendere coscienza dei propri diritti data l’assertività degli altri attori internazionali.

La posta in gioco è rilevante, ma è necessario fissare obiettivi e seguire una chiara strategia operativa che abbia chiaro il quadro complessivo ed il suo valore senza porre limiti “sabaudi” alle potenzialità del Paese, che ricordi che il mare non è solo turismo ed una piatta distesa di ombrelloni.

(foto: web / U.S. Navy / EU NAVFOR Somalia - Operation Atalanta / Marina Militare)