Cristoforo Colombo e la lezione americana

(di Federico Castiglioni)
22/11/18

È accaduto nuovamente la settimana scorsa, come ultimo episodio di una lunga e preoccupante serie di iniziative intraprese negli ultimi anni per cambiare la memoria storica degli Stati Uniti. Anche la statua di Cristoforo Combo che fino a poco tempo fa ornava Grand Park a Los Angeles infatti ora non c’è più, alla fine rimossa, nonostante le polemiche, su richiesta di un’associazione per la difesa dei nativi americani. Al suo posto potrebbe sorgere un memoriale per la strage degli indiani d’America oppure, più probabilmente, un semplice spazio vuoto che provi a far dimenticare che in quel luogo prima era stato dedicato un omaggio all’ormai scomoda figura del navigatore genovese.

Colombo è stato accusato nel corso del tempo di diversi crimini e la sua reputazione come semplice scopritore dell’America, che in Italia perdura, proprio in quel continente è stata ormai compromessa da ritrovamenti storici che hanno confermato alcuni atti atroci compiuti su suo mandato nella colonia di Hispaniola (Haiti e Repubblica Domenicana). Al di là delle sue responsabilità individuali tuttavia non è tanto la biografia dell’italiano ad essere al centro del dibattito attualmente in corso negli Stati Uniti, ma ciò che esso rappresenta, ossia l’inizio dell’espansionismo europeo nelle Americhe e il conseguente sterminio delle popolazioni autoctone.

Secondo i suoi detrattori, in primis i discendenti dei popoli Nord Americani, Colombo e i suoi successori si sarebbero impadroniti del continente attraverso un genocidio organizzato e non avrebbero portato nulla nei luoghi da loro colonizzati, se non sostituzione etnica e culturale. Questa narrativa si sposa perfettamente con un dibattito pubblico inter-etnico statunitense sempre più polarizzato, ultimamente attento alle dinamiche razziali, sessuali e religiose più che a qualsiasi altra linea di demarcazione politica.

Questo nuovo processo di divisione della società americana tra diverse minoranze che si contendono lo spazio pubblico è solo la fine di un percorso iniziato con particolare virulenza durante il mandato di Barack Obama e che non sta di certo trovando una soluzione con Donald Trump. A farne le spese è, come spesso capita, la memoria storica, usata e strumentalizzata da diversi gruppi che non si riconoscono nell’identità WASP (White, Anglo-Saxon, Protestant) e che sono uniti nello scopo di ridimensionare e contestualizzare tutto ciò che è stato fatto dai discendenti degli europei negli Stati Uniti, per promuovere invece il ricordo degli attivisti per i diritti civili (come Martin Luther King) che dovrebbero diventare i nuovi “padri della Patria” americana. Cristoforo Colombo è quindi solo uno dei tanti personaggi scomodi, più o meno famosi, che non sono funzionali a questo progetto e di conseguenza oggetto di una furia iconoclasta senza precedenti.

Un caso ancora più palese di quello del genovese, per esempio, è quello delle statue dedicate ai caduti per gli Stati Confederati, che sono diventati da simbolo di ribellione contro il governo centrale (vera causa scatenante della guerra civile americana) a semplice metafora di oppressione schiavista e discriminazione razziale. La direzione verso la quale si sta andando è del resto chiaramente una rimozione della memoria storica statunitense per censurarne tutti gli elementi “vergognosi” o “spuri” secondo l’estabilishment: il colonialismo europeo, la storia del Sud, la prevalenza della cultura di stampo europeo ed illuminista sulle altre. Il passato diventa così un campo di battaglia per diversi gruppi minoritari, oppressi nel corso dei secoli e quindi automaticamente veri paladini del sogno americano; la comunità nero-americana, ovviamente, ma anche i discendenti dei nativi, i movimenti Lgbt, la minoranza musulmana e via dicendo.

Questa dinamica minoritaria è così radicata che anche la comunità italo-americana, per difendere la memoria di Colombo, si è dovuta negli ultimi anni sempre più appellare proprio alla discriminazione subita dagli immigrati italiani, presentando la rimozione delle statue e delle piazze a lui dedicate come un attentato alla propria identità culturale. L’esploratore genovese quindi è ormai diventato da scopritore dell’America a difensore della comunità italiana da una parte (emigrata 400 annni dopo la sua morte), e a primo oppressore degli indiani d’America dall’altra (popoli perseguitati 300 anni dopo la sua morte e che lui mai incontrò). La valutazione delle sue azioni, private del suo significato reale qualunque esso fosse, è dunque ora preda dei rapporti di forza tra questi due gruppi in conflitto.

Questo paradosso storico è possibile e legittimo in un mondo in cui solo le minoranze hanno, in quanto tali, diritto alla parola, mentre la maggioranza (o quella che era tale fino a poco tempo fa) ne è privata, moralmente inferiore perchè colpevole di crimini commessi, in qualche momento della storia, dai suoi antenati. La conseguenza è che gli eventi storici importanti per la comunità nel suo complesso vengono colorati politicamente e attualizzati privandoli del loro possibile significato per la collettività a favore di visioni opposte e conflittuali che mirano, ancora una volta, a rileggere gli avvenimenti a proprio vantaggio. La dinamica è perversa e purtroppo sta trovando una concretizzazione sempre più puntuale nella società statunitense, ormai entrata in una serie di paradossi difficili da risolvere. Alcune caratteristiche di queste contraddizioni sono proprie del mondo americano, come l’idea di dover rimuovere tutti i lati “oscuri” e “sbagliati” del passato, per rimanere coerenti con il destino manifesto che deve vedere, in ogni caso, gli Stati Uniti come avanguardia del mondo libero. Questa prospettiva porta naturalmente a condannare senza appello tutto ciò che è avvenuto nella storia del Paese che mal si sposa con la dicotomia bene/male moderna, e che deve essere sempre giudicato o in continuità o in rottura con gli ideali contemporanei.

Chiaramente questa ricerca di coerenza politica è esattamente il contrario di qualsiasi obiettività storiografica, la quale invece ci chiede di comprendere non solo il valore delle azioni compiute ma le cause scatenanti delle stesse, nonché di contestualizzare sempre il clima e il pensiero dell’epoca. Ancor più grave tuttavia, e qui il discorso è di estrema attualità perchè riguarda l’intero Occidente, è il tentativo costante e un poco subdolo fatto dalle minoranze di acquisire uno speciale privilegio di immunità dalle critiche solo in ragione dei torti subiti, sia nel presente che nel passato. Questa impostazione del dibattito infatti è antidemocratica, perchè tende a moralizzare il confronto pubblico a priopri e non a posteriori, ma è anche basata su un assunto sbagliato, ossia che basta aver subito un torto per stare dalla parte giusta della storia.

Nel nostro Paese, con i suoi tanti difetti, questo lo capiamo bene. Chi può dirsi innocente, infatti, tra i mille popoli che si sono fatti la guerra sul nostro territorio o tra i nostri stessi Comuni, in conflitto perenne tra loro? Come potremmo riscrivere la storia volendo giudicare, secondo i parametri di bene e male, gli ultimi millenni che ci hanno visti protagonisti?

La trappola americana che vede quindi il mondo diviso perennemente tra oppressi ed oppressori mal di attaglia alla nostra tradizione, e proprio la lezione di ciò che sta avvenendo oltreoceano dovrebbe farci giudicare attentamente tutti i tentativi fatti per eliminare riferimenti a politici, filosofi o pensatori che hanno contribuito, nel bene e nel male, a costuire la nostra identità nazionale ed europea.

(foto: Twitter, MitchOFarrell)