Colin Powell e le “Conseguenze dell’amore”

(di Giorgio Bianchi)
12/11/18

In un mondo dell’informazione fatto di notizie spesso trascurabili, ma che si susseguono alla velocità della luce, varrebbe la pena ogni tanto ritornare su storie dell’immediato passato e di chiedersi come siano andate a finire.

Si tratta di una specie di carotaggio da emeroteca attraverso il quale è possibile capire in fondo il senso di alcuni avvenimenti, apparentemente banali ma che hanno cambiato il corso della storia.
Ricordiamo tutti la storia dei presunti attacchi chimici di Assad secondo i quali decine di persone sarebbero state uccise dal presidente siriano a guerra praticamente vinta.
Ora non sto qui a dilungarmi su questo episodio ampiamente smentito anche su questa testata (v.articolo); quello che mi interessa è piuttosto riallacciarmi alla madre di tutte le bufale sulle armi chimiche.

Nell’immaginario collettivo di tutti noi è rimasta indelebile l’immagine dell’allora segretario di Stato degli USA Colin Powell mentre, durante un discorso al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, inizia ad agitare una fialetta dal dubbio contenuto.

Cosa contenesse quella provetta alla fine non si è mai saputo: bicarbonato, farina, antrace… E in effetti non fa molta differenza perché a quanto pare nessuno si premurò di verificare.

Allo stesso modo nessuno si prese neanche la briga di controllare se le affermazioni che Powell stava riferendo ai presenti e in second’ordine al mondo intero corrispondessero al vero.

Il segretario di Stato USA quel giorno aveva deciso di fare all-in e nessuno andò a vedere il suo bluff.

Per assicurarsi una buona riuscita, il bluff dev'essere condotto fino in fondo, fino all'esasperazione. Non c'è compromesso. Non si può bluffare fino a metà e poi dire la verità. Bisogna essere pronti ad esporsi al peggior rischio possibile: il rischio di apparire ridicoli.

Cit. Titta Di Girolamo ne "Le conseguenze dell'amore".

Da quel momento in poi la vita di milioni di iracheni non fu più la stessa.

A contribuire alla compilazione del dossier dell’intelligence statunitense sulle presunte armi di distruzione di massa in mano a Saddam Hussein e sui presunti legami del raìs con al-Quada, fu nel 2001 Ahmed Chalabi (foto).

Di religione sciita, appartenente ad una delle famiglie più in vista di Bagdad, Chalabi aveva completato brillantemente gli studi negli USA conseguendo la laurea al MIT e un dottorato di ricerca in matematica all’Università di Chicago.

Divenuto presto un importante uomo d’affari, prima della guerra del 2003 aderì al “Progetto per il Nuovo Secolo Americano”.

Il suo contributo al dossier dell’intelligence si basò sulle rivelazioni di un disertore iracheno il cui nome in codice era “Curveball” che riferiva di fabbriche di armi chimiche approntate su carrelli mobili su rotaia.

Le conseguenze di quel dossier furono presto visibili a tutti.

Meno noti sono i numeri impressionanti di quell’invasione, che oggi possiamo tranquillamente definire del tutto immotivata e arbitraria: 650000 vittime, tra civili e militari, nella popolazione irachena; circa 4500 vittime tra i soldati USA, cui vanno sommati circa 600000 unità registrate come disabili; 1700 miliardi di dollari spesi cui vanno aggiunti 590 miliardi di costi in assegni di invalidità e assistenza sanitaria ai veterani di guerra.

La domanda che sarebbe lecito porsi a questo punto è: chi ci dice che fu proprio Chalabi a fornire all’intelligence americana le false prove sulle armi di distruzione di massa?
La risposta è molto semplice: lui stesso.

Dopo essere stato indicato dagli USA come l’uomo del dopo Saddam, dopo una copertina su Time che lo definiva il “George Washington iracheno”, Chalabi aveva iniziato una lenta ma irreversibile parabola discendente che lo aveva portato dagli scranni del Bilderberg nel 2006 fino all’accusa da parte dell’intelligence francese di agire per conto dell’Iran nel 2012.

Depresso e demoralizzato per l’ascesa dell’ISIS nel suo Paese nel 2015 si convinse a vuotare il sacco in una intervista fiume rilasciata ad una giornalista di France 5.

A domanda precisa da parte della giornalista Chalabi rispose che aveva fornito all’intelligence USA nomi e riferimenti per costruire il dossier sulle armi chimiche di Saddam.

Il giorno successivo a quella intervista, Chalabi fu trovato morto nella sua stanza d’albergo. Il referto parlò di attacco cardiaco. Appena ricevuta la notizia la giornalista francese raccolse le sue carte in fretta e furia e saltò sul primo aereo per Parigi.

Magari il racconto del dossier era solo un assaggio di quello che Chalabi avrebbe potuto rivelare alla stampa straniera in merito alla storia recente del suo Paese; o forse si è trattato di una semplice coincidenza.

Anche se non sapremo mai cosa esattamente contenesse quella fialetta, così come nessuno ci dirà se Chalabi sia morto effettivamente per cause naturali una cosa oggi è certa: come disse Tarek Aziz gli USA avrebbero invaso l’Iraq anche se Saddam avesse consegnato l’ultimo dei kalashnikov.

(foto: web / U.S. Army)