Stupri di guerra: schegge di brutale follia

(di Gino Lanzara)
08/03/21

Il vento di guerra è un vento irrequieto, che porta con sé una polvere che acceca la ragione. L’argomento è di quelli che portano a volgere lo sguardo altrove: genocidio, pulizia etnica, stupri di guerra, violenza su vittime colpevoli solo di essere nel posto e nel momento sbagliati.

Chi pensa che la guerra sia solo la scienza di Clausewitz può interrompere qui: la guerra è un pacchetto che si acquista per intero. La ricerca non può limitarsi a far luce su singoli episodi, ma deve articolarsi nel quadro storico della violenza, occupandosi della concretezza delle azioni, dei modelli interpretativi riguardanti vittime ed esecutori, rendendo giustizia all’interno ed all’esterno del perimetro marcato dal diritto delle genti. L’analogia occidentale riguarda una liaison fondata su miti tramandati che portano a percepire uomini e donne secondo stereotipi che fanno assumere i ruoli del guerriero giusto e dell’anima bella1, lirismi che non hanno preservato i più deboli, destinandoli a divenire simbolo di conquista; non a caso, come emerso da diverse ricerche, lo stupro è un crimine perpetrato indifferentemente contro donne ed uomini, commesso sia da nemici che da forze amiche, visto quanto accaduto ad opera di membri ONU delle forze di peace-keeping, un inevitabile danno collaterale.

Nell’arte gli scenari bellici sono una delle più antiche forme espressive, specialmente quando celebrano trionfi; l’accettazione della rappresentazione della sofferenza ha richiesto molto più tempo e le pennellate di Goya2, Picasso, Giulio Aristide Sartorio, o le fotografie impietose della Secessione Americana, hanno messo fine alla glorificazione della guerra, mostrando uomini e donne intenti all’attesa, al combattimento.

Il 2° conflitto mondiale ha internazionalizzato i crimini sessuali: tedeschi contro russe, polacche, francesi; russi contro tedesche; giapponesi contro cinesi e coreane; liberatori contro italiane, quelle donne tratteggiate da Moravia ne “La ciociara”, romanzo tacciato anodinamente di dubbia moralità in un periodo che ha visto la Cassazione introdurre sconcertanti metri di giudizio, per cui la violenza di gruppo su una partigiana non ha costituito sevizia particolarmente efferata, e dunque non ha condotto ad alcuna condanna, lasciando gli stupratori liberi di fruire dell’amnistia Togliatti.

Lo stupro di guerra è l’atto sprezzante del vincitore, priva lo sconfitto del suo territorio privato, distrugge qualsiasi legame. È dal Medio Evo che lo stupro è un incentivo, uno strumento di guerra utile alla variazione etnica delle terre conquistate, un proposito sopravvissuto alle guerre mondiali.

Fino alla fine del secolo scorso, lo stupro ha trovato difficile collocazione nel diritto internazionale e più in particolare in quello umanitario, ed è stato funzionale a rammentare che la convinzione che attraverso il processo penale si possa raggiungere la verità assoluta, rappresenta un'illusione che, riapparendo nei periodi socialmente instabili, sancisce l’impossibilità illuminista di congiungere le due verità, quella oggettiva e quella processuale: la funzionalità del sistema dipende sia dall’indipendenza del potere giudiziario, sia dalla raccolta di informazioni sul reato, necessarie a permettere inizio e conclusione di qualsiasi procedimento. Ex Jugoslavia prima, e Ruanda poi, hanno condotto al riconoscimento dello stupro quale reato che colpisce integrità fisica e dignità umana; dunque un reato non semplicemente avverso alla moralità, non una condotta accettabile perché rientrante nello scenario di una guerra giusta, non il rifugio nell’obbedienza ad ordini superiori, problema riaffiorato a Norimberga: i crimini di guerra e contro l’umanità, che compendiano anche quelli sessuali, ricompresi lato sensu in quelli genocidari dallo Statuto di Roma del 2002, riconducono sempre a responsabilità personali, e si ripercuotono su gruppi etnici destinati a subire spesso il dramma di figli nati dalla violenza, una realtà a lungo censurata e vissuta anche in Italia al termine della Prima Guerra Mondiale nelle regioni nord orientali, teatro dei combattimenti di un conflitto descritto come l’ultimo cavalleresco; una realtà connotata ancora oggi da impunità, come nella Repubblica Democratica del Congo, o nei territori a suo tempo controllati dall’Isis, dove gli Yazidi sono stati oggetto di un piano genocida basato su un diritto religiosamente riconosciuto.

Versailles, nel 1919 decreta la fine della I Guerra Mondiale, e prevede un processo sovranazionale per il Kaiser e per i criminali di guerra, compresi i responsabili del massacro armeno3; storia e politica tuttavia lo impediscono, e consentono l’accantonamento del principio dei crimini contro l'umanità da parte di USA e Giappone. Bisognerà attendere il 2006 per riaccendere i riflettori sul genocidio armeno, sia grazie alle sanzioni previste dall’Assemblea nazionale francese in merito al negazionismo sul tema, sia per il conferimento del Premio Nobel per la letteratura ad Orhan Pamuk, processato poi in patria per le sue esternazioni giudicate lesive della nazionalità turca.

Durante la II Guerra Mondiale in molti, senza distinzione di uniforme, si macchiano di violenze inaccettabili, ed in Asia le valutazioni del Tribunale di Tokyo giungono a riguardare anche il massacro perpetrato dalle truppe nipponiche nella cinese Nanchino4, un atto sanzionabile secondo il diritto consuetudinario5, dove trova spazio il trattamento riservato alle donne di conforto (foto), provenienti dalle aree occupate, per le quali la Corea del Sud ha ancora in corso aspre relazioni con il governo di Tokyo.

Ad una prima lettura, e senza nulla togliere al contributo per l’affermazione dei principi sanzionatori dei crimini di guerra e contro l’umanità, l’azione penale esercitata dai Tribunali di Norimberga e Tokyo, caratterizzata da un’interpretazione inedita del concetto di irretroattività, e basata su quella che è stata definita la giustizia dei vincitori sui vinti come sintetizzato dal giudice indiano Pal, presenta un sistema in conflitto con il comune senso di giustizia che non ha potuto esentare i vincitori da precise responsabilità storiche e giuridiche, e che evocano i bombardamenti di Dresda, quelli atomici sul Giappone, gli stupri perpetrati dalle truppe coloniali francesi in Italia e Germania cosa che, per ironia della sorte, fa rammentare che l’unica attenzione manifestata a Norimberga per le violenze carnali, è stata proprio quella del pubblico ministero transalpino.

L’Italia non è stata immune ai drammi generati dal conflitto più violento della storia; mentre il nord est precipita nei crepacci carsici delle foibe, e Roma si prepara all’eccidio delle Fosse Ardeatine, a sud sbarcano le truppe coloniali francesi al comando del generale Juin, ufficiale dal passato quanto mai controverso6 la cui effigie, posta propria in Place d’Italie, è stata recentemente danneggiata dai gilets jaune... par ironie du sort (foto seguente).

I goumiers marocchini indossano djellaba7, turbante, sandali, e sono dotati di sciabola o daga; fanno parte del CEF8, e sbarcano in circa 12.000 in Sicilia. Gli stupri, a cui i siciliani reagiscono uccidendo diversi goumiers, cominciano nel luglio 43 a Licata ed a Capizzi.

Dopo lo sfondamento della linea Gustav, da Polleca, dove si trovano de Gaulle ed il ministro della Guerra André Diethelm, i francocoloniali si lanciano su Pontecorvo ed iniziano violenze inenarrabili che investono tutto il frusinate fino alle porte di Roma, fino a Tivoli, ed a cui partecipano anche francesi bianchi, come testimoniato anche da Norman Lewis, ufficiale britannico già presente a Montecassino. Cominciano decenni di sofferenze fisiche, psicologiche, accompagnate da centinaia di nascite indesiderate.

Addossare la responsabilità ai goumiers è limitativo visto che gli americani erano a conoscenza dei fatti9 e che, comunque, come gli ufficiali francesi, non sono intervenuti. Sembra, ma non ne esiste conferma, che Juin abbia promesso l’assoluta impunità per 50 ore, una promessa reiterata che porta a violenze protratte fino al 44, quando, nell’imminenza della partenza per la Francia, e dopo che de Gaulle ha ricevuto una dura lettera da parte di Pio XII, fa ritorno la disciplina, nuovamente dimenticata nella Germania meridionale.

Fino agli anni ’90 le storiografie francese ed anglosassone non riportano nulla, ma ad Esperia, ancora nel 1985, ad una manifestazione di riconciliazione tra reduci di guerra, i francesi sono dichiarati non graditi.

Gli abusi vengono riconosciuti da Juin, che, in un memorandum diretto al Comando Alleato, addebita tutto ai "sentimenti nei confronti di una Nazione che odiosamente tradì la Francia”, ad una rabbia ignota anche al presidente Macron che, in occasione del 75° anniversario dello sbarco in Provenza, chiede a Guinea e Costa d’Avorio di intitolare strade e piazze ai militari africani, peraltro ricordati nel film “Indigènes”, diretto nel 2006 da Rachid Bouchareb che dimentica di menzionare gli stupri di gruppo.

Nel 52 l’on. Maria Maddalena Rossi, del PCI, in Parlamento richiama alla memoria sia le violenze inflitte, sia le domande di indennità presentate alle autorità; tuttavia, non solo i libretti pensionistici ricevuti non danno per molto tempo, ed in alcuni casi mai, alcun diritto di riscossione, ma le norme in vigore non consentono il cumulo dell’indennizzo con la pensione di guerra. Di fatto, gli indennizzi, in larga misura riconosciuti dallo Stato francese, vengono incassati dallo Stato italiano.

E Juin? Bastone da Maresciallo di Francia e successivo ed eminente incarico alla NATO: per lui non ci sarà nessuna indagine, ma una gloriosa sepoltura a les Invalides.

È Malaparte che, con la Pelle, racconta l’agonia di un popolo; dalla Ciociaria si sposta a Napoli, tiene il conto del prezzo della carne umana che scende, mentre sale quello dei generi di prima necessità: è il dilagare della peste, una malattia di cui i liberatori sembrano essere portatori sani, un male che costringe a vendere l’anima mentre il buon colonnello Hamilton etichetta la massa come bastard people.

Ma si sa, i vincitori... “hanno l'anima chiara... sono buoni cristiani... Perché credono che è una cosa immorale aver torto... Perché credono che un popolo vinto è un popolo di colpevoli, che la sconfitta è una condanna morale, è un atto di giustizia divina10; che ne sanno di Elisabetta Rossi, o di Margherita Molinari che a Vallecorsa si fanno uccidere dai goumiers per difendere le proprie figlie? Nulla. Di sicuro nemmeno Juin, nonostante il suo bastone da Maresciallo di Francia.

1 J. Bethke Elshtain Donne e guerra, Bologna, 1991

2 Presence amere, 3 maggio 1808 – Guernica

3 600.000 vittime stimate

4 Stime attendibili riferiscono un numero di uccisi pari a 300.000

5 Convenzione dell’Aja del 1907 (rispetto degli onori familiari); art. 6 della Carta di Norimberga, che incrimina ogni “altro atto inumano commesso ai danni di una qualsiasi popolazione civile, prima e durante la guerra”, non facendo però esplicito riferimento allo stupro, e prodromici alla IV Convenzione di Ginevra per la protezione dei civili del 1949

6 Nel 1940 fu fatto prigioniero dai tedeschi a Dunkerque, e rilasciato grazie a Philippe Pétain. Al comando dell'armata coloniale di Vichy, nel 1942 si arrese alle truppe USA, per assumere successivamente poi il comando del corpo di spedizione francese in Italia.

7 tunica di lana grezza a righe grigie e di vari colori

8 Corp Expeditionnaire Français,

9 Eric Morris in “La guerra inutile” scrisse che vicino a Pico, gli uomini di un battaglione del 351° fanteria USA provarono a fermare gli stupri, ma il loro comandante di compagnia intervenne e dichiarò che “erano lì per combattere i tedeschi, non i goumiers”.

10 Curzio Malaparte, La pelle

Immagini: Le Martiri Bulgare di Konstantin Makovskij (1877) / fotogramma "La ciociara" (1960) / Imperial War Museums / web