Pozzuolo del Friuli, storia e memoria di una sconfitta vittoriosa

30/10/21

Storia o memoria, questo è il dilemma e vorrete scusarci se abusiamo ancora dell’inclito Shakespeare, ma tale quesito affligge gli “scienziati dal tempo” almeno da quando, in quell’illuminismo ante litteram che cambiò il modo greco e l’intero occidente l’Historien da semplice osservazione o indagine divenne analisi del passato nello spazio prima e poi, attraverso l’impiego costruttivo della testimonianza e il tentativo di una storia che fosse storia universale si offrì, fino ai giorni nostri come modello di riferimento per l’indagine dei fatti umani. Erodoto, Tacito e Polibio possono dirsi i padri di una scienza, la storia che ancora oggi appassiona e divide in quanto delle scienze dure detiene solo la fase ipotetica, senza mai consentire, a chi la studia, di giungere ad una sintesi universale, ripetibile, dimostrabile, questo perché l’umanità procede la sua marcia su di una linea retta attraverso processi sequenziali e talvolta consequenziali alle scelte degli individui e dei gruppi sociali che li associano.

Proprio dall’ultima frase del prologo di questa riflessione si vuole partire al fine di fornire un breve racconto dei fatti e degli avvenimenti che, il 30 ottobre del 1917, hanno segnato la storia di un gruppo di individui, i militari della 2^ Brigata di Cavalleria ed i fanti della Brigata Bergamo, ma anche i loro nemici appartenenti alla XIV armate austro-tedesca ed i cittadini di Pozzuolo del Friuli in provincia di Udine, gruppi di individui che, con le loro scelte, condizionarono il corso degli eventi e seppure in un piccolo angolo d’Italia ed in numero esiguo, rispetto alle stratosferiche cifre della Materialschlacht incisero in modo significativo, ma come sempre inconsapevolmente, sul corso della storia.

Erano trascorsi appena 6 giorni dalle ore 02:00 del mattino di quel fatidico 24 ottobre 1917, meglio noto ai più come “il giorno di Caporetto”, in questo esiguo lasso di tempo, gli uomini della XIV Armata tedesca ed imperial-regia, guidati dal Generale prussiano Otto Von Below, comandante d’armata proveniente direttamente dal fronte della Marna (Francia), avevano travolto tutte le linee di difesa italiane approntate per l’imminente sospensione invernale delle operazioni belliche dal margine inferiore del settore Carnia fino a Tolmino, località in cui, al di qua dell’Isonzo, per l’arte italiana, avveniva la saldatura tra il settore controllato dalla 2^ Armata è quello sotto la responsabilità della 3^.

Riversatisi nella pianura friulana con un duplice scopo, inseguire la 2^ Armata in ritirata verso il Fiume Tagliamento e tentare nel contempo un avvolgimento della 3^ Armata, anch’essa in ritirata ed inseguita da una prudente Isonzo Armeé, guidata dal Feldmaresciallo Borohevic, gli alleati germanici sembravano inarrestabili e le forze italiane non riuscivano a trovare il modo di arginare loro corsa retrograda.

Come detto l’avanzata della triplice, concepita e condotta con il nome in codice di “Fratellanza d’Armi” fu travolgente oltre ogni più rosea aspettativa ed in pochi giorni dilagò nella pianura friulana, tanto che raggiunti in poche ore obiettivi che si era pianificato avrebbero necessitato di diversi giorni di combattimento, si offrì al Comando della XIV Armata la possibilità, con parte delle forze avanzate, di avvolgere e neutralizzare la 3^ Armata italiana, comandata dal Duca d’Aosta, cugino di Vittorio Emanuele III re d’Italia.

Allo scopo di rallentare l’impeto nemico e con l’intento di salvaguardare l’integrità della 3^ Armata: molteplici saranno le ragioni di tale necessità, sia politiche che militari, che non si ha il tempo di indagare in questa riflessione. Il Comando Supremo italiano deciderà di inviare forze mobili di cavalleria a quella data destinate o già in marcia per i quartieri invernali con l’intento di creare dei capisaldi difensivi, sfruttando i centri abitati che punteggiavano ed ancora oggi caratterizzano la pianura friulana.

È opportuno osservare che alcune scelte di comando, fortemente condizionate dal rapido evolvere degli avvenimenti condurranno, nel corso della battaglia di Caporetto, ma anche in linea con scelte comuni a tutti gli eserciti belligeranti, a spostare e riarticolare forse troppo frequentemente i reparti di ogni livello ordinativo, per tale ragione si darà un quadro di massimo delle forze in campo al 29 ottobre del 1917, quando, in sostanza, la 2^ Brigata di Cavalleria ricevette l’ordine perentorio, di tenere Pozzuolo, tale ordine, come già accennato discendeva dall’imperativa esigenza di rallentare, sfruttando i centri abitati presenti lungo la direttrice Udine-Codroipo, l’apparente inarrestabile marcia avversaria verso i ponti sul Tagliamento e contemporaneamente impedire che la 3^ armata fosse presa sul fianco ed alle spalle dalla duplice forza della XIV e dell’ Isonzo Armeé.

La 2^ Brigata di Cavalleria giunse a Pozzuolo del Friuli tra le 16:00 e le 17:00 del 29 ottobre da sud est, secondo quanto riportato dai diari di guerra dei reggimenti Genova Cavalleria e Lancieri di Novara, con condizioni climatiche pessime, pioggia battente e freddo intenso, il che non doveva particolarmente favorire il morale e la coesione di soldati a cavallo che peraltro avevamo ed avrebbero in futuro subito la perdita di numerosi plotoni, ceduti in concorso ad altri Grandi Unità, secondo la logica delle riarticolazioni di cui si è detto.

Il paese all’arrivo dei cavalieri, contrariamente a quanto atteso, era libero dai nemici e dopo alcune attività finalizzate ad accertarsi che fosse effettivamente così fu suddiviso in settori destinati a presidio e difesa ad oltranza, in particolare il Reggimento Lancieri di Novara ricevette il compito di costituire delle difese a sud sud-est per fermare o contenere possibili infiltrazioni tipiche della tattica tedesca dello schwerpunkt, Genova fu invece posta a guardia del paese lungo quella che sarebbe stata la direzione dello sforzo principale austro-tedesco e che muoveva da Udine verso i ponti sul Tagliamento con il duplice scopo di sfiancare la II Armata in ritirata, impedendone il superamento dei ponti e tentare di accerchiare la III Armata, così da neutralizzare ogni possibile velleità di consolidamento e di riscossa dell’Esercito Italiano.

Per comprendere appieno il valore dei combattimenti di Pozzuolo occorre smontare in maniera quanto più determinata e documentata possibile la convinzione, radicatasi nella mente e nel cuore degli italiani che Caporetto sia stata una disfatta, una rotta disperata e disorganizzata condotta da soldati mossi dal tarlo della diserzione e da Ufficiali imbelli ed incapaci.

Di errori prima e durante i fatti di Caporetto se ne fecero, dal punto di vista militare, a tutti i livelli ed anche di assolutamente marchiani, tuttavia la ritirata strategica seguì un piano logicamente e strategicamente preordinato, sebbene accompagnato, a causa del troppo rapido susseguirsi degli eventi, da azioni concorrenti di alleggerimento della pressione avversaria non sempre efficaci e coerenti, ma coraggiose e degne di nota e di elogio e fu proprio nell’alveo di tali azioni si inquadra l’azione controffensiva pianificato la notte del 29 ottobre ed affidata al comandante della 7^ Divisone di Fanteria a cui cui vengono assegnati i resto della 46^ Divisione con lo scopo di sostenere il fianco destro della II Armata in ritirata ed evitate che questo venga definitivamente travolto.

Il piano operativamente valido, si mostrò tatticamente velleitario in quanto coinvolgeva reparti fiaccati da una ritirata troppo repentina e profonda e si basava su considerazioni errate relativamente al posizionamento delle proprie forze e del nemico.

Ricevuto l’ordine di battaglia all’alba del 30 ottobre il Generale Giorgio Emo Capodilista comunicò al comando della 7^ divisione la posizione della 2^ Brigata, ai suoi ordini, e lo stato delle forze a sua disposizione, ciò determinò una ridefinizione della linea di combattimento, più avanzata verso Udine, rispetto a quanto preventivamente pianificato, tuttavia non fu in alcun modo ridiscussa la controffensiva volta a difendere il fianco della II Armata ed impedire l’avvolgimento della III.

Ci sarebbe molto ancora da dire, ma la nostra riflessione oggi si concentra sui combattimenti della 2^ Brigata di cavalleria con l’intento di combinare storia e memoria nel giorno in cui l’Esercito tutto celebra la festa dell’ “Arma di Nobile”, senza inutile sciovinismo, ma nella consapevolezza che, quelle che poi furono ribattezzate Le mille lance di Pozzuolo, si ricoprirono di gloria con generosità e sprezzo del pericolo, contenendo per oltre otto ore gli attacchi di ben due divisioni nemiche, la 60^ Divisione imperial-regia del gruppo Kosak e la 117^ Divisione tedesca, mentre la 5^ Divisione germanica incontrava, circa 1km a nord di Pozzuolo, la Brigata Bergamo in marcia verso Campoformido ed in un’azione combinata con le avanguardie della 1^ Divisione austriaca neutralizzava il potenziale offensivo della Grande Unità Italiana.

Con una forza di circa 600 uomini del Reggimento Genova Cavalleria e 400 del Reggimento Lancieri di Novara, ma anche grazie al rinforzo, dalle ore 12:00 del giorno 30 ottobre, di ulteriori 100 unità della Brigata Bergamo, attestatatisi con il proprio stato maggiore proprio a Pozzuolo, tutto era pronto per affrontare il preponderante nemico.

Come già accennato il perimetro del paese fu affidato a nord-est ai dragoni di Genova, mentre la parte sud ovest venne presidiata dai lancieri di Novara. Già dalle prime ore dell’alba pattuglie dei due reggimenti presero contatto con sparute avanguardie avversarie, ma solo alle 12:00 le avanguardie della 117^ Divisione teutonica, supportate da mitragliatrici e artiglieria sferrarono il primo attacco, la difesa alla barricata fu tenace e drammatica, Genova resistette anche grazie ai rinforzi della Bergamo, rinforzi preziosi perché consentirono di imbastire addirittura un contrattacco alla baionetta, il nemico così contenuto e respinto non reiteró l’attacco, puntando piuttosto ad accerchiare l’abitato e avviando le proprie forze a sud ovest.

Conl’intenzione di evitare l’accerchiamento e forse anche per proteggere il Comando di Divisione il Generale Emo ordinò ai Lancieri di Novara di caricare il nemico allo scoperto mentre questi, colto alla sprovvista dall’impeto dei Lancieri, ripiegò in disordine lasciando sul campo diversi morti e nelle mani degli italiani 7 prigionieri i quali riferirono di un’intera Brigata giunta a Terenzano, circa 3 Km a nord e che altre Divisioni sarebbero sopraggiunte.

Pattuglie esploranti inviate con lo scopo di verificare quanto detto dai prigionieri confermarono la presenza di numerosi contingenti nemici e così alle ore 14:00 circa un nuovo attacco da nord investì, con maggiore vigore del precedente, le barricate di Genova che pur resistendo e improvvisando contrattacchi locali alla baionetta si dissanguó letteralmente, tanto che, dopo circa un’ora, il numero dei feriti fu drammatico, mentre circa 6000 austro-ungarici con artiglierie da montagna e mitragliatrici andavano ammassandosi attorno a quella che ormai si stava trasformando in una ridotta, al punto che il Generale Emo invierà alla 7^ Divisione una richiesta di soccorso, la risposta da parte del Comandante della Divisione fu un invito a resistere, facendo assegnamento sul valore e sullo spirito di sacrificio della Brigata.

Sotto l’ingente pressione nemica proveniente da nord-est Genova e i fanti della Bergamo arretrarono in due differenti fasi, la seconda delle quali fu agevolate da una carica di Novara in grado di disorientare un intero Battaglione bosniaco per il tempo necessario acché le mitragliatrici dei Dragoni potessero essere rimesse in linea per proseguire le azioni di difesa ad oltranza.

Dopo cinque ore di combattimento la 2^ Brigata era allo stremo, una sola mitragliatrice di Genova continuava a sparare mentre il nemico si muoveva all’interno del paese, riuscendo a bersagliare i difensori alle spalle, dopo avere piazzato le proprie mitragliatrici all’interno delle case, in tale condizione, esaurite le munizioni dell’unica mitragliatrice superstite il Comandante del II Gruppo di Genova, circondato dai superstiti del suo comando, pur avendo ricevuto l’ordine di ammassamento per il successivo ripiegamento mantenne la posizione e dopo aver sparato con il moschetto e la pistola lasciò l’ultimo proiettile per se.

All’ordine di ammassamento per il successivo ripiegamento alcune unità della Brigata restarono tagliate fuori e decisero di affrontare il nemico a viso aperto nella consapevolezza che mai sarebbero riusciti a raggiungere il punto di radunata, fu così che il Capitano Ettore Lajolo si lancerà alla testa dei suoi uomini contro le mitragliatrici sacrificando la propria vita e quella dei suoi uomini che ci slancio e senza esitazione lo seguirono, meritando la medaglia d’oro al valore militare, mentre il Comandante di Novara, Colonnello Campari, bersagliato persino da forze amiche che scambiarono il suo nutrito dispositivo per forze austriache sopravanzanti, dopo numerose cariche all’arma bianca cederà di fronte alla forza del nemico è verrà fatto prigioniero insieme a numerosi altri.

Pozzuolo del Friuli, vedendo impegnata una Brigata di cavalleria fu assurto al rango di evento catartico per l’intera arma a cavallo ed ancora oggi quella resistenza dinamica, coraggiosa, spregiudicata ed appassionata al tempo stesso resta il principale simbolo della generosità e del sacrificio.

Storia e memoria si fondono insieme in questo fatto d’arme poiché, se le azioni umane sono il sale della storia le scelte degli individui consolidano il ruolo di un evento nella memoria ed allora si lascia alle parole del bollettino di Guerra tedesco ed italiano di quei giorni il giudizio sui combattimenti di Pozzuolo:

«[Il nemico] su una linea di protezione che dal fiume [Tagliamento] va a Udine passando per Bertiolo-Pozzuolo-Lavariano, oppose una violenta resistenza per coprire la ritirata della 3a Armata sulla riva destra del Tagliamento.»

«La 1a e la 2a divisione di cavalleria, specie i Reggimenti ‘Genova’ e ‘Novara’, eroicamente sacrificatisi, e gli aviatori, prodigatisi instancabilmente, meritano soprattutto l’ammirazione e la gratitudine della patria».

Andrea Pastore