Lettera a Difesa Online: l'ultimo schiaffo all'etica militare da parte di Elisabetta Trenta

20/11/19

La telenovela paradossale della Signora (?) Trenta che si ostinava a non lasciare un alloggio demaniale ha riempito le pagine dei giornali negli ultimi giorni. Mi dispiace, sinceramente. Non per simpatia verso l’interessata (sarebbe difficile), ma perchè ritengo che tale enfatizzazione, dal tenore decisamente scandalistico, possa lasciare in secondo piano i danni ben più gravi e più duraturi che ha fatto alle nostre Forze Armate questa sedicente “esperta” in materia di Difesa e Sicurezza durante il suo mandato ministeriale.

Troppo lungo sarebbe elencarli tutti. Dal perdurante tentativo di neutralizzare qualsiasi aspetto peculiare della “militarità” , annacquandola di buonismo e di raffazzonato sindacalismo “fai da te”, al continuo tergiversare in merito agli impegni militari all’estero (lasciati troppo a lungo sospesi in termini sia di supporto finanziario che di chiara indicazione degli obiettivi strategici nazionali), dalla trasformazione del dual-use da effetto collaterale (quale giustamente deve essere) a ragion d’essere delle F.A., fino alla imbarazzante incapacità di assumere qualsiasi concreta decisione nel delicato settore dell’industria della difesa e all’ammodernamento di armamenti ed equipaggiamenti (ricordiamoci, tra i tanti, lo stallo nei programmi F-35 e CAMM-ER e la storia dei droni della Piaggio Aerospace). L’elenco potrebbe continuare, ma ormai che la carriera politica della Signora Trenta pare essere terminata sarebbe degno del “vile Maramaldo” proseguire in questo nefasto elenco.

Ciò che invece mi fa arrabbiare oggi è relativo all’ultimo “schiaffo” che la Signora Trenta ha dato alla credibilità delle istituzioni militari italiane.

Schiaffo peraltro involontario, questa volta! Schiaffo la cui responsabilità dovrebbe ricadere più su chi doveva controllare e non lo ha fatto che su chi (come la Trenta) ha tentato in maniera, a mio avviso meschina, di approfittare della sua posizione di potere.

La penosa vicenda dell’alloggio di via dell’Amba Aradam non ha posto in luce soltanto aspetti caratteriali della ex-ministra (e del consorte più o meno consapevole) che da molti vengono considerati per lo meno poco signorili.

La vicenda ha evidenziato anche che alcuni funzionari in divisa forse non sono all’altezza del proprio incarico.

Infatti, l'assegnazione degli “alloggi di servizio ad incarico” di area Centrale di FA e Interforze compete a specifiche sezioni, uffici e reparti di specifici Stati Maggiori. Sezioni, uffici e reparti retti da capi sezione, capi ufficio e capi reparto che non possono, a mio modesto avviso, non essersi resi conto che la riassegnazione dell’alloggio della Ministra al marito forse poteva porre qualche problema di regolarità. Peraltro, anche ammesso e non concesso che tale problema di regolarità amministrativa non sussistesse, vi era un problema di “opportunità politica” che, come evidenziato dal successivo clamore mediatico, non poteva essere trascurato e che ha nuociuto all’immagine della F.A..

Mi si dirà, “ma cosa potevano fare quegli Ufficiali se la Ministra, ormai “ex” ma ancora potente, pretendeva l’alloggio?”

È vero, ma l’Istituzione militare è e deve restare “diversa” dalle altre. Fare il “SOLDATO” non è e non può essere come lavorare in fabbrica (senza voler nulla togliere all’importanza del lavoro in fabbrica , sul quale si regge l’economia nazionale).

Ci viene insegnato nelle accademie che dobbiamo essere pronti a rischiare la nostra vita per la Patria e, ancora più importante, che possiamo dover chiedere (con l’esempio) agli uomini e alle donne che il Paese ci affida di essere pronti a rischiare la loro vita per la Patria.

Però, mi chiedo, se uno non ha neanche il coraggio morale di rappresentare al superiore del momento che ciò che gli viene chiesto non è regolare o, comunque, non è nell’interesse delle F.A., potrà mai una tale persona andare a combattere?

Come ci si può aspettare che sia pronto a rischiare la vita per la Patria chi non è disposto neanche a rischiare la carriera per la propria dignità?

Antonio Li Gobbi