Lettera a Difesa Online: "La scelta di Liliana"

12/10/20

Caro direttore, ho enorme rispetto per la senatrice Liliana Segre. Tuttavia, ascoltando la eco del suo recente discorso di commiato, qualcosa ha richiamato la mia attenzione. Non il ricordo delle infami leggi razziali o l'ipocrisia delle "amiche" di prima e di dopo. Nemmeno la descrizione della "non vita" ad Auschwitz, la pazzia, la barbarie, il dolore, e neanche l'impossibilità di perdonare, che personalmente condivido.

È stato ascoltando la sua frase di chiusura: "Dopo la lunga marcia della morte, era ormai arrivato il giorno della liberazione: una guardia davanti a noi, gettò la divisa e la pistola, vestiva abiti borghesi, aveva paura. La sua pistola era lì, a portata di mano. Avrei potuto prenderla e sparargli. Mi sembrava un giusto finale. Ma non lo feci. Io non sarei stata come il mio assassino. E da quel momento, scegliendo la vita, diventai quella donna libera con cui ho convissuto finora". Ecco.

Così mi sono ritrovato a pensare a quei ragazzi che si lanciarono la notte del 6 giugno del '44 sulla Normandia e a quelli che sbarcarono sulle spiagge quella stessa mattina, anche ai carristi e ai fanti russi che avanzando liberarono proprio il campo dove si trovava la piccola Liliana Segre, e che morirono a milioni combattendo e uccidendo proprio quegli aguzzini tedeschi che la imprigionavano, la torturavano, che la uccidevano, che però proprio grazie a quei ragazzi sovietici "senza scelta" poi scapparono via da lei.

A quei ragazzi, come detto, non fu concessa alcuna scelta, e che loro nemmeno chiesero di fare: gli fu semplicemente ordinato di combattere e uccidere, senza esitare, senza pensare al dopo, senza neanche spiegargli che la loro di vita, ammesso che fosse continuata, sarebbe poi cambiata per sempre.

Ma fu proprio grazie a quella loro "non scelta" che oggi possiamo ascoltare con rispetto il racconto e il monito di Liliana Segre. Quei ragazzi uccisero per poter permettere di fare una scelta, qualsiasi scelta, poi, a milioni di donne e uomini, ai loro figli e nipoti, senza pensare al fatto che a distanza di anni qualcuno durante un discorso pubblico, una lezione di storia, si ricordasse di loro, di quanto diedero senza chiedere, e senza scegliere, facendo ciò che gli veniva detto di fare, che andava fatto, perché così è e basta.

Si chiamava e si chiama ancora "fare il proprio dovere". Senza che sia anche solo doveroso, magari dignitoso, ricordarsi di ringraziarli.

La senatrice Segre dovrebbe ricordare che in quel preciso istante la scelta che decise di fare verso la vita, la sua e anche quella dei suoi aguzzini nazisti in fuga, che si rifiutò di togliere loro raccogliendo quella pistola, è stata resa possibile da quei ragazzi russi, americani, inglesi e tanti altri che hanno avuto il coraggio di combattere e uccidere proprio quei suoi carnefici e aguzzini, e che nel farlo sono morti a milioni, a loro volta.

Non erano angeli, non pensarono mai di esserlo ne di venire riconosciuti come tali dopo: erano solo uomini che fecero ciò che andava fatto, sperando di poter tornare un giorno a vivere la loro vita. Questo non andrebbe mai dimenticato, perché poi serve quando ci sono da rimettere insieme ed in ordine i ricordi che compongono la storia, il più coerentemente possibile, cosa che per tanti, troppi anni non è stata fatta in questo paese, forse di proposito.

Senza di loro non so come e dove rieccheggerebbero oggi le parole di tutte le donne che Liliana Segre è stata poi: la bambina ebrea, la prigioniera e poi la donna libera che abbiamo ascoltato, se non fosse stato che qualcuno "senza scelta" entrò nel campo dove tutte le Liliana, quelle di prima e di dopo, erano state mandate a morire, donando loro la possibilità di scegliere. Tutto.

Un cordiale saluto

Andrea Sapori

Foto: presidenza del consiglio dei ministri