Lettera a Difesa Online: cazziatoni ancestrali

05/06/22

Forse guidato da misteriosi messaggi genetici vivo le ricorrenze del 24 maggio, del 2 giugno e del 4 novembre in spirituale compagnia di Giovanni Loddo, mio nonno materno, caduto sul Piave sul finire della Prima Guerra Mondiale, e del suo fratello minore, Francesco, caduto due anni prima a Monte Zebio nello stesso giorno in cui fu ferito a morte il “suo” comandante della “Sassari”, il generale Eugenio Di Maria. Ma il 24 maggio scorso grande è stata la nostra delusione quando abbiamo constatato, i miei due antenati ed io, che nessuno … stampa, mondo politico, ambienti scolastici, forze armate… nessuno ha celebrato la giornata della “Fanteria regina delle battaglie”.

Quel Piave che mormorava dal 24 maggio del 1915, nel 2022 non mormora più. Eppure l'Italia di oggi, fatte salve alcune mutilazioni dovute al secondo conflitto mondiale, è quella nata da quel mormorio e dal sacrificio della vita di centinaia di migliaia di fanti Giovanni-Franceco-Loddo.

Delusi abbiamo atteso il 2 giugno e la sfilata dei Fori Imperiali per poter respirare l’antico clima patriottico che nei tempi andati accomunava popolo e forze armate. A dire il vero nel giorno della “Festa della Repubblica” più che di Patria si è parlato di Unione Europea, di Nato, di Usa, di Russia, di Ucraina e di politica anelante alla pace.

Qualche perplessità è sorta quando è stato sfiorato il tema del sostegno politico, economico e militare da parte dell’Italia ad uno dei contendenti. Inevitabile che nel corso della trasmissione della sfilata i miei due antenati mi ponessero domande sul perché si parlasse tanto di pace e perché l’Italia fosse coinvolta in vicende evocanti il rombo del cannone: “Chi ha attaccato l’Italia o l’Unione Europea o la Nato?”

“Nessuno, ma…”, ma ho rinunciato ad impelagarmi nell’analisi degli interessi in ballo per la Nato, per l’Unione Europea, per gli USA, per la Russia ecc. E così mi sono limitato a ripetere il mantra ufficiale: “L’Italia fa parte di un’alleanza militare che difende gli stati che ne fanno parte”, ma ho valutato senza alcuna speranza un mio eventuale tentativo di rispondere alla più ovvia delle obiezioni: “Ma l’Ucraina non fa parte della Nato!”. Infatti avrei dovuto divincolarmi tra tesi contrapposte una delle quali, sostenuta da autorevoli voci del mondo politico, culturale e militare, sostiene che la Nato sia diventata, sotto la spinta degli USA, un’organizzazione offensiva in costante espansione.

Accantonata ogni velleità di analisi politiche di respiro nazionale o globale, con i miei congiunti ho seguito le immagini della sfilata di uomini e donne in divisa e, novità assoluta, in camice bianco. Il nesso tra pandemia covid e forze armate è stato presto tradotto in numeri eloquenti: la popolazione italiana è stata, con il concorso fornito dalle forze armate, la più vaccinata d’Europa (il 90,08% degli over 12 ha completato il ciclo vaccinale), anche se tuttavia ha registrato il record di decessi per covid (circa 167.000 vittime). L’incongruente correlazione tra i due dati ha aleggiato nell’aria, restando tuttavia senza commenti, anche durante lo sfilamento dei rappresentanti dei 600.000 addetti alla sanità italiana, certamente delusi per l’assenza sulle tribune del loro “comandante in capo”: il ministro della sanità.

Un’assenza forse dovuta alla necessità di non evocare il segreto militare (già: il segreto militare!) voluto dal governo, in analogia a quanto disposto per le armi inviate in Ucraina, circa talune problematiche riguardanti la campagna vaccinale. Forse è stato ritenuto non giovevole alla politica vaccinale il fatto che parte dell’enorme quantitativo di dosi acquistate a livello UE, centinaia di milioni di dosi per un ammontare di decine di miliardi di euro, sia ormai in “in scadenza” e pertanto in procinto di essere riversato sul continente africano, in nome di una provvidenziale estemporanea beneficienza. Ma a rinfrancare i nostri cuori sono bastate subito dopo le immagini dei reparti che sfilavano in parata e, comprensibilmente, quelle della banda della “nostra” brigata Sassari che ha marciato sulle note dell’inno Dimonios.

Due le annotazioni d’obbligo: non è sfilata alcuna rappresentanza dei due reggimenti storici della “Sassari” né è stata spesa una parola, come fatto per le altre bande e reparti presenti, sulle origini sarde della brigata, sul fatto che la “Sassari” è la grande unità più decorata dell’esercito e con la più tragica percentuale di caduti. Forse per questo alla fine della trasmissione nonno Giovanni ha riassunto le sue perplessità in una solenne lavata di capo indirizzata a me, quasi fossi io il colpevole delle omissioni dei telecronisti e il responsabile della politica nazionale: “In pratica mi stai dicendo che se oggi fossi un soldato dell’esercito italiano mi potrebbero chiedere di rischiare di nuovo la vita solo perché Russia e America si fanno la guerra, per difendere i propri interessi, scegliendo come campo di battaglia una nazione con cui non siamo neanche alleati? Sarà perché noi sardi ci sentiamo molto italiani e poco europei, ma questo andazzo non mi trova d’accordo”.

Quindi ha rincarato: “Inoltre tu non hai detto una parola sul fatto che la “Sassari”, che hai avuto l’onore di comandare, durante la sfilata è stata appena citata. Non hanno detto neanche quando è nata, il 1° marzo del 1915, né dove è nata, un reggimento a Sinnai e uno a Tempio. Non hanno detto neppure quando è nato “Dimonios”, l’inno che hai voluto nascesse durante il tuo periodo di comando minacciando quel tuo capitano che si intendeva di musica, Luciano Sechi, di stroncargli la carriera se non ti avesse proposto “un inno come si deve”. E non hanno detto neanche, cosa a suo tempo “uscita” sui giornali, che se la Sassari esiste ancora è solo perché il figlio di mia figlia si rifiutò di obbedire all’ordine di scioglierla che era arrivato da Roma. Dovresti far sentire di più la tua voce, nipote mio”.

Mi sono tenuto il cazziatone, limitandomi a replicare a babbai Loddo (così nel nuorese si fa riferimento ai nonni per distinguere quelli materni da quelli paterni): “Babbai Loddo, fostede tenede arregione, ma giai d’ischidi ca noso seueu bregungiososo” (nonno avete ragione, ma lo sapete bene che noi siamo timidi).

Nicolò Manca