Lettera di un soldato

19/05/20

Vi leggo da diversi anni con molto interesse in quanto i vostri articoli approfondiscono temi importanti del mondo della Difesa, grazie alla competenza dei vostri redattori e grazie allo spirito critico che spesso vi consente di esprimere idee in contrasto con un pensiero politically correct, figlio di un tempo storico in cui ognuno può esprimere la propria idea su fatti che non conosce.

Tra gli articoli presenti in questi giorni sul vostro sito, uno in particolare ha destato la mia curiosità: il matrimonio da due militari italiani avvenuto in Libano (v.link). La notizia era subito trapelata diffondendosi con la velocità propria dei social network che in tempo reale hanno diffuso foto e video non “ufficiali”, che inquadrano i fatti da una prospettiva che non trapelerà mai dai canali informativi della stampa. La singolarità di questo evento non è certo che si tratti di un matrimonio tra due militari, cosa che non fa notizia ormai da vent’anni e per la quale non c’è assolutamente nulla di male.

Singolari sono invece la location ed il contesto in cui tale matrimonio si è svolto. I due militari in questione sono in servizio presso il contingente dislocato in Libano facente parte della missione UNIFIL e pertanto, al momento delle nozze i due facevano parte delle forze che hanno il compito di garantire la sicurezza di una vasta zona di territorio storicamente incline al conflitto. La domanda è come possa essere compatibile l’evento delle nozze con l’operatività richiesta in tale contesto.

Sin dalle prime missioni fuori area, le forze armate italiane hanno vissuto momenti molto travagliati in cui i soldati si sono adattati a condizioni difficili. Erano gli anni Novanta e prima in Somalia e poi nei Balcani i nostri mostravano il loro valore nonostante un equipaggiamento non sempre all’altezza, vivendo in edifici insicuri e privi dei servizi essenziali o riposando quando possibile nei VCC. Le nostre forze armate si sono dimostrate all’altezza del compito guadagnandosi la stima delle popolazioni locali e l’apprezzamento degli alleati che erano abituati a guardarci dall’alto in basso.

Poi sono arrivati i tempi delle missioni in medio oriente, dove il soldato italiano, già più maturo in termini di preparazione per le operazioni in contesti asimmetrici e meglio equipaggiato, ha sopportato il caldo asfissiante e le notti gelide del deserto, che rendono le tende degli accampamenti un ricovero quanto meno inadeguato. Tende piazzate in angoli di mondo ostile, protette da una cinta muraria in cestoni riempiti di sabbia che avevano il compito di assorbire la violenza delle esplosioni, diventate parte del quotidiano. E non importava se avevi dormito bene o no, perché comunque il giorno dopo i nostri eroici soldati e soldatesse uscivano in pattuglia con lo spirito indomito e sempre ottimista che contraddistingue il nostro popolo. Le lunghe colonne dei nostri mezzi affrontavano le insidie di un paesaggio lunare che nascondeva sotto il suo suolo trappole micidiali che hanno rubato alle nostre fila troppe vite preziose.

Questo spirito non è stato piegato a Nassiria e il nostro orgoglio ha raggiunto altissimi livelli con la battaglia dei ponti (foto), dove il valore e la preparazione dei nostri soldati ha ribaltato una situazione in cui il campo di battaglia, sede dello scontro, era sicuramente a nostro svantaggio.

Fino ad arrivare ai giorni nostri, dove uomini e donne delle forze armate sono impiegati in missioni in nord Africa per certi aspetti più complicate perché diversi sono gli accordi bilaterali con le host nations, ma che comunque richiedono un profondo spirito di adattamento del nostro personale a contesti scomodi e circondati da fazioni in lotta tra loro che si fronteggiano con equipaggiamenti pesanti, tra cui carri e artiglieria, senza dimenticare anche una minima, ma comunque potenzialmente pericolosa, capacità aerea.

Ma di tutto ciò cosa ne sa l’opinione pubblica e cosa ne pensa di tutto il nostro sacrificio? Quante volte abbiamo sentito frasi come “andate in missione per farvi i soldi”, oppure “ti sei comprato la casa grazie alle missioni” e anche “bella macchina nuova, grazie ai soldi delle missioni ovviamente!”. È sempre più difficile spiegare a chi non ha mai vissuto questi momenti che in missione lavori 24/7, senza feste, lontano dalle famiglie e in condizioni di disagio, facendo un lavoro che pochi sono disposti a fare. Quando parli dei morti e dei feriti, delle esplosioni vicino o dentro le basi, delle imboscate (li chiamano attacchi terroristici ma sono più semplicemente azioni di guerra, per quanto asimmetrica), i tuoi amici e parenti non capiscono, ti rispondono che sono cose che capitano solo agli americani, perché loro sono gli operativi e noi siamo lì giusto per fare presenza, siamo solo di contorno, senza un impegno reale.

Anni a spiegare quanto questa visione del soldato italiano debole, mal equipaggiato e peggio addestrato sia completamente sbagliata; anni di ragionamenti per dimostrare che il soldato italiano non vive alla giornata, non fa bagordi, non gioca a briscola nelle caserme, ma è un serio professionista che riesce a lavorare come, se non meglio, degli americani, se confrontiamo le risorse disponibili.

Ore sprecate a descrivere contesti di disagio con la fine polvere del deserto che sotto il sole cocente si trasforma in un borotalco che ti riempie i polmoni e si impasta col sudore, che dentro il Lince non riesci quasi a muoverti per l’ingombro dell’equipaggiamento e per le imbragature che ti devono salvare la vita, che le corazze e i vetri antiproiettile dei mezzi hanno evitato il peggio a tanti di noi e invece tanti altri sono stati trasportati con urgenza in elicottero in un estremo tentativo di salvargli la vita, sempre che non fosse orami troppo tardi.

Hai quasi convinto chi ti ha sempre visto come un parassita sociale e poi arriva la notizia che in missione l’ambiente è così rilassato che ti puoi anche sposare. Che la notte prima delle nozze puoi riempire il compound di cori e di urla gioiose per il lieto evento. Davvero nella FOB non potevi accendere neanche una luce durante la notte? Davvero dovevi cercare il bagno al buio per non essere avvistato da un cecchino nelle splendide notti senza luna del deserto? Davvero ti rimpatriavano se intrattenevi rapporti intimi con il/la collega? TUTTE BALLE! I militari italiani in missione si possono sposare, cantare a squarciagola, brindare, esultare! Il contesto operativo è una balla per giustificare i soldi che prendiamo oltre al nostro normale stipendio!

E quando accade tutto ciò? Quando in Italia e nel resto del mondo viviamo da reclusi, obbligati al distanziamento sociale, dove l’assembramento è punito con multe salate e dove gran parte della popolazione vede un futuro di fame a causa dell’economia ferma. Tutto ciò avviene in contrasto alle norme anti COVID-19, diversamente da quanto scritto nel vostro articolo del 5 maggio che descrive come in Libano il contingente italiano si sia adeguato alle stringenti misure di prevenzione.

Davvero siamo convinti che questo evento sia una buona pubblicità per le forze armate?

Ma poi, era così necessario? Non si poteva aspettare di tornare in Italia? Una missione dura 6 mesi, non era possibile attendere? O magari, se c’era davvero tutta questa urgenza, non sarebbe stato più corretto rinunciare alla missione e tornare in patria per celebrare le nozze? Forse i più maliziosi potrebbero pensare che in questo modo gli sposi avrebbero dovuto rinunciare ai famosi soldi di stipendio che servono a pagare il mutuo o comprare la macchina nuova…

A questo punto qualcuno potrebbe additare i comandanti di essere troppo permissivi nei confronti dei propri soldati. Io dico di no. È ormai da tempo che è in atto una vera e propria rivoluzione ideologica nelle forze armate, in cui l’istituzione è destinata a diventare sempre più borghese e perdere quindi la sua peculiarità di FORZA armata. Nei teatri operativi si è consolidato da tempo l’impiego degli RSPP per redigere il documento di valutazione dei rischi. Tutto bene, no? Certo, anche se appare quantomeno contraddittorio che questo documento abbia lo scopo di applicare il decreto 81/08 e ss.mm.ii. in un contesto che per sua natura è caratterizzato da rischi non mitigabili. Lo dice la definizione stessa di contingente, ovvero situazione precaria caratterizzata da adattamento a contesti in cui non puoi muoverti come se fossi sul territorio nazionale. Ed ecco che vengono segnalati con cartelli ammonitori di ogni genere tutti i gradini o spigoli “fuori norma”, vengono illuminati i piazzali per il rischio che qualche soldato inciampi di notte e tante altre cose su cui non mi dilungo per non andare fuori tema.

In questo mutato contesto che poco ha di operativo, i comandanti sono diventati datori di lavoro, castrati dagli effetti che potrebbe avere la slogatura alla caviglia di un soldato che inciampa su un “gradino non a norma” e che quindi potrebbe fare causa all’istituzione. Al magistrato poco interesserà se tale gradino è parte di un edificio costruito dai russi negli anni Settanta e che i nostri contingenti occupano perché la host nation gli ha detto di farlo.

E arriviamo al punto: il comandante avrebbe potuto opporsi a questa scelta quanto meno inopportuna di sposare due soldati in un contesto che li vuole pienamente operativi 24/7? Purtroppo la risposta è no.

Anche perché stanno nascendo i sindacati delle Forze Armate, e possiamo solo immaginare che in molti avrebbero mangiato vivo il povero comandante di turno qualora avesse provato a ricondurre alla ragione di opportunità i due sposini. Il gesto del comandante sarebbe stato visto come un sopruso, un tentativo di negare la libertà di espressione dei due innamorati. Avrebbe negato loro un diritto irrinunciabile e poco importa il contesto.

Le forze armate si stanno adattando ai tempi, trasformandosi lentamente da istituzione fondata su regole precise a contesto in cui chiunque può decidere secondo propria coscienza. E non credo sia una cosa sempre positiva per la nostra istituzione.

Questa rimane ovviamente solo una mia personale riflessione.

Distinti saluti.

Lettera firmata (richiesto anonimato)

Foto: NATO / web / stato maggiore difesa