I Mugiki dell’incrociatore Vladimir Monomàch e la “pietas” dimenticata...

09/02/21

Tsushima di Frank Thiess, dal Libro quarto – La battaglia : ...Sorge il mattino e dalla foschia dell’alba, sorge una nave. È la nave di linea Sisoj Velikij! Vengono scambiati i segnali, ma anche essa è già ferita a morte, non è più in condizioni di prendere a bordo l’equipaggio del Vladimir Monomàch. La Sisoj Velikij scompare di nuovo e al suo posto compare un’unità giovane e fresca: L’incrociatore ausiliario giapponese Sado Maru. Manovra svelto e abile e spara contro il Monomàch; ma esso è alla fine delle sue forze. Il comandante Popov ordina di fermare le macchine, di aprire i Kingston, di mettere in mare le imbarcazioni, e tutto è finito. L’incrociatore sprofonda lentamente davanti agli occhi di tutti.

È un’ora meravigliosa! Il disco del sole si alza sopra le nuvole dell’alba, colore del cromo e della porpora, e arrossa lievemente l’acqua mossa che sembra sangue uscito dalla nave morente. I giapponesi vedono come essa cominci ad immergersi con la prora, vedono le onde montare in coperta, vedono prima i fumaioli dai quali esce ancora un poco di fumo, poi soltanto gli alberi sporgere dalle onde inesorabili, e uno di loro preso da improvvisa commozione, intona un antichissimo canto di guerra: ”Con la spada in mano”. Altri si uniscono, e alla fine tutto l’equipaggio dell’incrociatore Sado Maru canta in coro l’inno del guerriero morente; lo canta mentre i suoi cannoni tacciono, sopra la tomba marina del Monomàch, fino a che non scompare e anche l’ultima cima d’albero con la bandiera sventolante mezzo stracciata. E i marinai russi, che sono in acqua e quelli che sono stati salvati dalle imbarcazioni, gridano l’ultimo hurrà al loro vecchio incrociatore. Il vecchio ebbe così un’onorata sepoltura… (pag 372 e 373)

Una storia di altri tempi, una tragedia greca ricca di pathos, descritta da un Thiess, gigante della letteratura.

Morirono 5.045 marinai russi, più di 800 furono feriti o contusi e recuperati, i quali assieme ad altri 6.106 superstiti presi sulle navi arrese e fumanti sul mare ostile, tutti caddero prigionieri dei giapponesi, che catturarono anche le due navi ospedale al seguito della Flotta russa a Tsushima. In navigazione con i fanali di “via” e luci di bordo accese, in ossequio alle convenzioni internazionali, furono proprio queste navi ospedale portatrici di soccorso e di vita, e nonostante gli ordini contrari dell’amm. Rosevenztkij, a rivelare alla Flotta dell’amm. Togo, la posizione di quella russa e a decretare anche la sua fine.

Due navi ospedale, tra le quali la Orjol che stazzava 6000 tonn. che già in partenza, all’inizio della loro lunghissima missione, erano per numero e dimensione inadeguate, a soddisfare il bisogno sanitario che seguiva in maniera sistematica già con la sola durata del viaggio e anche crudele dopo una battaglia cruenta come quella di Tsushima, sia sotto il profilo preventivo che curativo.

Prova del bisogno sanitario, ne sia l’ulteriore testimonianza che ci tramanda il capolavoro del Thiess: (pag. 376 - I giapponesi- n.d.r.) Si allontanarono ma non dimenticarono i naufraghi nemici e mandarono sul posto dell’affondamento l’America Maru. L’incrociatore ausiliario vi corre, e qualche ora più tardi vi trova ancora 291 superstiti. Gli uomini sono mezzi morti, diversi impazziti, molti feriti, di cui ventitré gravi. Sono fatti salire a bordo: guardate, muovono le braccia, le mani, come se fossero ancora uomini, ma non sono più uomini. …Poi uno comincia a raccontare, e racconta quanti erano e come uno dopo l’altro, adagio adagio, siano tutti annegati: fra grida, risate, preghiere, canti, dando morsi in giro, oppure aiutandosi sino alla morte. I salvatori si voltano dall’altra parte. Sono vecchi uomini di mare, ma cose simili non ne avevano mai viste. Qui è venuto fuori l’inferno dai suoi abissi, e con le sue lingue di fuoco ha inghiottito nelle sue fauci dei miseri esseri, che un tempo erano stati padri e fratelli che un tempo erano stati uomini come loro. E così di nave in nave.

E in Italia?

È proprio vero che spesso non siamo secondi proprio a nessuno. Purtroppo poi...

Qualcosa si era mosso negli anni eroici della seconda metà del 1800, tutti permeati da spirito risorgimentale, il dott. Cesare Castiglioni costituì il “Comitato Milanese della Associazione Medica Italiana per il soccorso ai malati e ai feriti in guerra” e ne divenne presidente il 15 giugno 1864. Il comitato aveva per intento di agire in accordo alle numerose associazioni nazionali formatesi in quel tempo con stesse finalità, in Europa che nacquero grazie all'opera di Henry Dunant, il quale sconvolto dall’orrore, in precedenza si era unito, durante la battaglia di Solferino nel 1859, ai tantissimi civili italiani del posto che prestarono soccorso come poterono ai feriti di ogni parte. Nasceva la Croce Rossa Internazionale.

In Italia, fu allestita nel 1866, anche la prima nave ospedale, la “Washington”, anche se l’ispettore Luigi Verde a capo del Corpo sanitario della Regia Marina, che si occupò di essa, perse la vita lo stesso anno, durante la battaglia di Lissa.

Tuttavia il concetto moderno di nave ospedale che presta soccorso, ufficialmente salvaguardata da regole e riconosciuta da apposite istituzioni internazionali, fu fissato solo con la Convenzione dell’Aia del 1907. Ma ancora non bastava a soddisfare i bisogni di primo aiuto, cure e sicurezza ..

Col passar degli anni, il bisogno di prevenire e contenere la perdita di vite umane in mare, non solo dopo uno scontro navale, dunque in conseguenza di una guerra, nel 1912, fu crudamente evidenziato agli occhi della opinione pubblica internazionale e dei governi, dalla tragedia del RMS Titanic, che nonostante l’uso della telegrafia Marconi , ebbe una grande perdita di vite umane.

Così nel 1914, a Londra venne approvata la prima convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare, volta a regolamentare ogni aspetto di vita a bordo alle navi che poteva comportare un rischio di vita umana, non solo dei passeggeri ma anche degli equipaggi. Le cose potevano iniziare a mutare…

In Italia, durante il primo conflitto mondiale - e maggiormente nel secondo conflitto mondiale essendo variato ed ampliato lo scacchiere operativo - la Regia Marina, prevenne il rischio di perdita di vite umane sul mare, allestendo 22 navi di diverso tonnellaggio, impiegando personale e risorse a disposizione medici, infermieri, crocerossine, sale operatorie, reparti per ammalati, feriti e naufraghi, reparti di isolamento e di disinfezione e disinfestazione. Esse operarono nei teatri di guerra spesso in vista del nemico, tra difficoltà di ogni genere, e comune denominatore basato su bombardamenti, mine, siluri e anche colpi di cannone volutamente loro indirizzati.

Avemmo così: Gradisca, Po (foto), Aquileia, Arno, California, Virgilio, Tevere, Toscana, Sicilia, Principessa Giovanna, Città di Trapani, Laurana, Orlando, Sorrento, San Giusto, Epomeo, Meta e Capri, ed i più grandi Vulcania, Saturnia, Giulio Cesare e Duilio; la loro livrea, secondo le convenzioni, fu bianca immacolata, con la Croce rossa dipinta sui fumaioli e sulle fiancate, su quest’ultime, anche assieme alla bandiera tricolore.

Per la cronaca, dopo lo scontro di Capo Matapan tra Royal Navy e Regia Marina concluso nella notte tra 28 e 29 marzo, oltre ai soccorritori, inglesi e greci che nell’immediatezza recuperarono circa 1.300 marinai, giunse in quelle acque anche Nave “Gradisca” vetusta e con poca velocità, bisognosa di lavori per un uso in quel momento, che definire frenetico è poco, visto i continui soccorsi che doveva portare. Giunse nel mare di Capo Matapan, durante la giornata del 30 aprile 1941,e in una sorta di missione impossibile, si trattenne in quel mare diversi giorni, per ricercare e salvare quel che rimaneva su miglia e miglia di acqua, di uomini sparpagliati, naufraghi, feriti, stressati, disidratati e digiuni, in condizioni di ipotermia e altro, e dei quali non si aveva idea di quanti fossero. Nave “Gradisca” tuttavia, fece il suo triste lavoro, perché strappò al mare ancora 161 superstiti del massacro, tutti in condizioni psicofisiche miserrime.

La Nave ospedale “Po”, che a differenza della Russa “Orjol”, viaggiava a luci spente in obbedienza agli ordini ricevuti e nonostante dovesse avere le luci del bordo accese secondo i regolamenti internazionali, venne sbattuta senza scampo sul fondo della baia di Valona alle ore 23 e 15 del 14 marzo 1941, da un siluro mollato da un aerosilurante inglese che colpì il piroscafo sulla fiancata destra. Fu l’ennesima Nave di quelle sopra ricordate, che se ne andò violentemente, per mano del nemico. Morirono ventidue persone tra marinai e crocerossine.

Nel 1941, quando le sorti della guerra cominciarono a delinearsi con l’occupazione dell’Africa orientale dei Britannici, costoro si resero disponibili a far rimpatriare i nostri connazionali residenti nelle ex colonie, quali: donne vecchi bambini ed invalidi. Fu organizzata allora, con pieno successo dall’Italia, una grandissima missione di soccorso a favore dei civili Italiani residenti nella ex colonia del Corno d’Africa, inviando i transatlantici Giulio Cesare e Duilio gemelli, e la coppia Saturnia e Vulcania; rapidamente tra mille difficoltà, essendo in guerra, le quattro vennero tutte allestite come navi ospedale con il meglio della tecnologia e logistica esistente, e lasciando ampi spazi del bordo alla vita dei civili. Dal 4 aprile 1942, la Flotta bianca iniziò un primo viaggio da Genova, con rotta attraverso Gibilterra, via Capo di Buona Speranza, Oceano Indiano, fino al Corno d’Africa, per migliaia e migliaia di miglia.

Fino al 1943, le quattro Navi Bianche fecero 3 viaggi, riportando in Patria 30.000 (trentamila) persone, compiendo un’impresa titanica permeata di rischi elevatissimi e da mille insidie dei nemici, che tuttavia, per tutta la durata dell’operazione rimpatrio, mantennero costante spirito collaborativo e parola data agli italiani sino alla fine; minacce vennero anche dagli “amici”, visto che il dittatore tedesco minacciò agli italiani di far risolvere ai suoi U-Boot, quello che per lui era un problema il loro comunicare con gli inglesi, con attacchi di sommergibili. Purtroppo di li a poco, ci riuscì con la RN Roma, R.I.P..

Fu evidente così, che con la Flotta Bianca, non si era trattato di spostare prigionieri di guerra o truppe da un oceano all’altro, come è tipico di un conflitto mondiale, ma di un recupero da un oceano all’altro di civili, di migliaia di persone prive della parte più attiva e protettiva dei loro nuclei familiari, nuclei dunque bisognosi delle migliori attenzioni alle loro persone e perchè in balia di un mondo, che in quel momento ormai li rifiutava, ed era diventato ostile e pericoloso per loro.

Quando fu tutto finito, al termine del conflitto, di ventidue Navi bianche, due sole si salvarono: i grandi transatlantici Saturnia e Vulcania. Almeno quelli. Qui viene da chiedersi, meno male che erano navi ospedale, altrimenti tra fuoco nemico ed “amico”, sa solo il Signore cosa, sarebbe successo loro.

Seguì il dopoguerra, con la rinascita del nostro Paese, ma le restrizioni dei trattati di pace, la giusta e comprensibile voglia di tornare a vivere della gente e la polvere della storia, coprirono gli insegnamenti della straordinaria, ineguagliata, esperienza fatta dalla Marina con l’operazione di recupero dei profughi italiani.

Cosa rimane oggi delle Navi Ospedale, dei loro echi lontani, di quei viaggi al limite dell’impossibile che comportarono il sacrificio della vita, di Uomini e Donne, che fossero della Regia Marina, o della Marina Mercantile, o personale sanitario, o crocerossine, o personale religioso, superstiti militari e civili, ammalati, naufraghi tutti imbarcati sulle Navi tratti dalle acque, spesso morti assieme e nello stesso momento, e del loro sacrificio che non è stato mai sufficientemente ricordato e ripagato?

Saranno stati mai ricordati, in qualche modo alle giovani generazioni? Di più, quante persone oggi avvertono la necessità che lo Stato, oggi abbia moderne navi ospedale? Sarà bastato a far capire questo allo Stato, al Parlamento al Governo che abbiamo a che fare con il COVID, i terremoti, i brontolii continui dei vulcani, per tacere del Marsili in fondo al Tirreno?

A proposito quante Navi ospedale, ha nei ruoli, oggi la nostra Marina? Nessuna vero?

È mai possibile che non si avverta nella pubblica opinione e non solo, la necessità di avere moderne unità, poco importa se più “bianche”, che “grigie”, pensate, progettate e costruite per ottenere una vasta versatilità d’impiego, in risposta e soccorso alla Gente, in caso di emergenze umanitarie, catastrofi naturali terremoti, salvaguardia dell’ambiente etc.. Navi impiegate in sinergia con SSN, SMOM, Protezione civile, Santa Sede etc.. e organizzate per l’aspetto sanitario da specialisti di Ministero della Salute, Ministero Ambiente e Tutela Territorio e Mare, che oltre a svolgere difesa CBRN, e tanto altro ancora, etc., che tutte assieme potrebbero compiere un reale rafforzamento della cooperazione civile-militare e internazionale oltre al considerevole ritorno in termini di visibilità e prestigio per l’Italia?.

Tutto ciò non dovrebbe essere di difficile attuazione, per quanto riguarda come farlo, abbiamo una cantieristica nostrana, perennemente bisognosa di ricevere commesse anche per mantenere i livelli di impiego di maestranze ben formate; è noto che essa basa il proprio sapere nei secoli andati come pochissimi altri al mondo, e può costruire perciò, navi per soddisfare in emergenza estrema, urgenti bisogni preventivi, curativi, riabilitativi, compreso il Covid. Nella Città X c’è il 50% della popolazione interessata positiva ad un virus? Mando una delle Navi nel luogo più vicino, raddoppio in un fiat tutti i posti letto e poi vediamo il da farsi.

Esse potrebbero essere realizzate e allestite con moduli specifici ad es: attrezzati a sala operatoria, per la radiologia, moduli per analisi di laboratorio, farmacie, moduli con impianti autonomi di produzione ossigeno, imbarcati o sbarcati di volta in volta, con brevissimo preavviso e a secondo della avversità da contenere od eliminare. Naturalmente tutti i moduli andrebbero standardizzati, resi rigorosamente uguali, per consentire se necessario una rapida manutenzione anche un modulo alla volta in maniera autonoma da altri moduli, compresa la disinfezione e disinfestazione degli stessi, oltre a ottenere un ragionevole contenimento delle spese sia di realizzazione che di gestione.

E i soldi? Non ci sono! Qualcuno subito dirà…

No! Dico io, i soldi si trovano, chi ha testa e soldi, se l’intendimento è serio lo capisce, e li scuce; ci vuole la volontà e credere in ciò che si fa, basta proporre un prodotto fatto e finito, in giro per il mondo e le commesse arriveranno, oggi c’è troppo bisogno di sicurezza nell’opinione pubblica mondiale in generale, e per le autorità civili è un ottimo e concreto modo per garantirla ai propri amministrati.

Po... una la chiamerei Nave “Po”, l’altra Nave “Gradisca”, per ricordare Tutte le Sorelle perdute.

Una preghiera per Tutti i Marinai che non sono mai tornati, quale che sia la Bandiera che hanno servito, in particolare una preghiera rivolta a Quelli caduti a Capo Matapan. R.I.P.

Lettera a firma: Dimitri del Don

P.S. diceva Confucio: non regalare pesce ma insegna a pescare