Giovanni Spadolini: un italiano

(di Walter Raleigh)
18/11/20

Viviamo inconsapevolmente in una bolla, dove il tempo fluisce secondo velocità diverse dalle consuete, dove gli ideali sono inariditi, e dove le attenzioni si rivolgono verso relativismi e piccinerie d’accatto; di tanto in tanto ci appoggiamo a pareti trasparenti, e guardiamo alle altre realtà che si dipanano parallelamente non comprendendo più il distacco che c’è: gli aneliti al miglioramento sono soffocati dai vantaggi ottenuti senza pagare alcun prezzo.

Montanelli diceva che un popolo che ignora il proprio passato, non saprà mai nulla del proprio presente. A capirlo...

Non esistono né tensione, né desiderio, né ragione: è tutto scontato. Parafrasando Hobsbawm: non si sa dove si sta andando, se non dove il futuro diventa un tunnel buio.

Sfugge l’intrinseca composizione del tessuto vivente del Paese; secondo Paul Ginsborg e Sylos Labini, già nel 2000, l’Italia era stata attraversata da una trasformazione sociale non meno vibrante di quella economica degli anni ’60; un Paese più ricco, più dinamico, più individualista, immemore della sua storia. È qui che batteremo: sulla coscienza di popolo, su di una storia né statica né polverosa, su di una capacità di comprensione frutto di studio e di umana compassione. Non rigida elencazione di fatti fine a sé stessa, ma ricordo volto alla modellazione di un futuro migliore; Marc Bloch ha scritto che “occorre che gli studi storici mantengano il contatto con il presente, fonte di ogni vita”. Noi desideriamo che leggere sia uno strumento dinamico per chi desidera essere cosciente che è solo dalla consapevolezza delle mani incrostate del fango dell’Irpinia, o coperte del sangue dei servitori dello Stato uccisi, o sporcate dal denaro delle tangenti, che si può pensare di ritornare a riveder le stelle.

Anni ’80. È il momento storico in cui lo scudo crociato di Luigi Sturzo, sempre più secolarizzato, deve cedere il passo, per due volte, ad una laicità nei cui confronti l’anima cattolica e popolare ha da sempre vissuto un forte contrasto; emerge la figura di Giovanni Spadolini, primo laico dopo l’azionista Ferruccio Parri nel 1945, e primo repubblicano alla guida del governo che fu di de Gasperi, una sorta di neoghibellinismo fiorito in pieno territorio guelfo, ed espresso con il suo “Papato socialista” del 1950, con cui intendeva trovare nel rapporto tra laicismo e religiosità, le basi di un fattivo rapporto tra stato e chiesa.

Proprio dagli anni 50 Spadolini diviene studioso della politica giolittiana, con la sua ricerca dell’apertura dello Stato liberale verso cattolici e socialisti riformisti, e del trasformismo di Depretis, fenomeno che andrebbe sicuramente rivisto ed attualizzato, a patto dell’incommensurabile fatica prima di studiarlo e poi magari anche di comprenderlo.

In piena onestà intellettuale, chi mai avrebbe scommesso sul Professore fiorentino, su un uomo di studio, cultura e giornalismo, privo del phisique du role televisivo? Nessuna agiografia, ma un’analisi spassionata e per questo forse più sentita di un coccodrillo da prima pagina.

L’eredità consegnata a Spadolini dal Presidente Pertini è onerosa, ingrata; un lascito di 4 emergenze che si protrarranno per i suoi due mandati: economica, morale, civile, internazionale, con dilagare del terrorismo nero e rosso, della malavita organizzata, degli omicidi eccellenti di Pio La Torre e del Generale Dalla Chiesa, dei missili di Comiso, della loggia massonica P2 e del suo radicamento nel tessuto dello Stato, del varo delle missioni militari Italcon, della liberazione del Generale americano Dozier. È qui che comincia il processo di decomposizione del sistema fondato sulla convergenza tra partiti ideologicamente distanti: si profilano i prodromi di mani pulite, cui si affiancano le richieste secessioniste invocate dai tribuni del nord.

Il profilo di Spadolini è diverso: figlio della città simbolo del Rinascimento si è fatto interprete di una cultura raffinata, liberale, laica mai scontatamente anticlericale o materialistica. Il terrorismo fu inizialmente debellato grazie agli interventi del suo governo, ed in campo economico il trend inflattivo e di debito pubblico principiò ad essere parzialmente invertito dalla programmazione finanziaria dei suoi due esecutivi, prassi smarrita con i governi successivi.

A 26 anni dalla sua morte il Paese è nuovamente ripiegato su sé stesso, avvinto ad una crisi che non è solo economica e politica, ma anche e soprattutto culturale e morale.

Spadolini ebbe personalità forte e multiforme; fu uomo ambizioso, vanitoso, ma anche generoso, dinamico, fiducioso nel merito e nella competizione culturale; fu animale politico abilissimo, anche se portato talvolta a visioni storiche funzionali alla legittimazione politica nel contesto laico.

Nella sua vita il Professore brucia le tappe; è uomo di talento, non rallenta mai; a 25 anni è ordinario di cattedra, senza esser mai stato assistente; diviene poi direttore di giornale senza esser mai stato redattore; Presidente del Consiglio senza esser mai stato sottosegretario.

La sua è stata un’epoca segnata dalla storia e dalla politica; non intendendo favorire alcun occultamento biografico, non si può non rimarcare la sua collaborazione alla rivista Augustea, legata al regime fascista. Dobbiamo però tener conto di due elementi non trascurabili: in primo luogo non fu certo l’unico, anzi: Eugenio Scalfari docet; secondo poi, come altri magari di minor spessore, in virtù del clima creato dalla lungimirante politica togliattiana, ebbe modo di reinserirsi nel contesto globale di una Nazione condannata, dalla storia e dal sangue, a risorgere dalle ceneri, avvicinandosi al pensiero di Croce e ad una sua personale religione della libertà, basata sul convincimento che nulla può essere dato per scontato, e che tutto deve sempre essere al centro di cure ed attenzioni costanti.

Al Corriere della Sera, dal ’68 a1 ’72, si ispira all’indipendenza ed alla cultura di Luigi Albertini1, predilige gli spiriti liberi a prescindere dalla loro formazione; intesse dialoghi profondi di politica estera che nel tempo spaziano da Israele ed il sequestro Klinghoffer, passano per l’assassinio di Sadat, giungono alla Polonia di Solidarnosc, interessano l’Atlantismo e lo scontro di Sigonella, ricuciono le ambiguità nazionali in occasione della posizione da assumere in occasione della guerra delle Falkland.

Da segretario del partito repubblicano, compagine in grado di fornire un equilibrio al sistema politico, rimane fedele sia alla politica estera, sia a quella di larghe intese e solidarietà nazionale di La Malfa, con il coinvolgimento di Enrico Berlinguer e malgrado il severo giudizio della falce e martello sul suo secondo esecutivo, al fine di giungere ad una stabilizzazione comunista verso una lealtà al sistema democratico e atlantico, rivolta contro le spinte eversive più estreme; Spadolini rimane coerente ad una forma di new deal italiano, di democrazia riformatrice così come immaginata dallo stesso La Malfa. Indro Montanelli scrisse che nell'aria si sentiva odore di pulito.

Ministro della Difesa tra l’83 e l’87, poi Senatore a vita nel ’91, Spadolini, tra i primi ad andare controcorrente nella valutazione dei rischi terroristici e di instabilità in coltura in ambito mediorientale2, rimase in ottimi rapporti con il contesto ebraico per la cui storia adottò un parallelo con quella risorgimentale, e dovette lasciare il passo ad una classe dirigente buona per ogni stagione e del tutto opposta a quella colta e sobria che lui aveva incarnato.

A lui seguì politicamente un socialismo rivisto sotto l’ottica di una forma di discontinuità socialdemocratica europea. Riuscì comunque a conseguire un risultato notevolissimo, se si tiene conto della situazione politica dell’inizio degli anni Ottanta, resa instabile dalla permanente conflittualità tra socialisti e democristiani nella loro corsa al potere; una situazione che, tuttavia, non aveva considerato né la caratura morale né l’integrità, né la fede di Spadolini nelle istituzioni, nella sovranità dello stato di diritto, un tema questo teoricamente di forte attualità ancora incompreso, ma che, se non fosse stato capace di dominare, non gli avrebbe consentito di timonare una maggioranza ampia e composita, destinata a rimanere sulla scena fino al 1992.

La sua interpretazione autentica della Costituzione, incarnata nel decalogo di governo, ha rappresentato non solo il mezzo indispensabile per il mantenimento della stabilità, ma anche l’opera volta a ricondurre i partiti nella dimensione loro più propria, anche se talvolta priva di vero senso dello Stato e spesso basata su patti molto fragili, sia salvaguardando il senso delle istituzioni, sia cercando di ridurre il divario tra Costituzione formale e Costituzione materiale, tra Paese legale e Paese reale.

L’esperienza di governo di Spadolini è indubbiamente anomala rispetto a quella delle tante altre susseguitesi, e per questo ha lasciato un segno nella storia politica italiana; è stata frutto di una scelta strategica, non solo di un compromesso politico, che ha condotto ad un esecutivo di coalizione in cui la forza risiedeva nei poteri istituzionali di un Presidente del Consiglio capace di rivendicare autonomia istituzionale nella preparazione e nella redazione delle proposte programmatiche da presentare al Parlamento non più espropriato delle sue funzioni: un bruciante richiamo alla Carta costituzionale.

Spadolini, è stato indubbiamente uomo della prima Repubblica ma, sostanzialmente privo dei suoi difetti, non è stato assimilabile alla cosiddetta seconda. Forse, il modo migliore per ricordarlo, è rammentare la scritta sul bianco della sua lapide: Un italiano, aggettivo quanto mai desueto nella sua accezione storicamente più positiva.

1 Mitico direttore del Corriere della Sera dal 1900 al 1921

2 Nel 1982 non incontrò Arafat in visita ufficiale in Italia

Foto: web / presidenza della repubblica / Sailko