Dal NO-VAX al NO-MORALE il passo è breve

09/08/21

L’accostamento no-vax / no-morale, nell’accezione attribuita dai militari anglosassoni a “morale” quale sinonimo di “esprit de corps” o di “unit cohesion”, nasce appunto dal fatto che per i nostri alleati “morale” equivale all’italico “spirito di corpo”.

Come noto il mondo militare è immerso fino al collo nelle problematiche connesse con il covid 19, tanto che gli italiani si sono assuefatti ad immagini dove l’uniforme del soldato compare immancabilmente accanto al camice dell’onnipresente virologo affiancato dal politico di turno. Non sorprende quindi che anche nella cerimonia celebrativa svoltasi il 2 agosto nel sacrario militare del Monte Grappa la commemorazione ufficiale sia scivolata nella campagna anti-covid con riferimenti al “60% delle persone da vaccinare che hanno completato il ciclo vaccinale”.

Comprensibile che qualche pastore sardo sepolto lassù un secolo fa insieme ad altri 23.000 caduti italiani e austro-ungarici abbia sussultato per quei riferimenti ai vaccini e all’immunità di gregge, ma è possibile che anche qualcuno dei militari presenti alla cerimonia sia andato con la mente al dilemma vaccino-sì/vaccino-no.

Nell’ambiente militare infatti c’è chi accetta di essere vaccinato e chi invece, anche se con l’esperienza dei non pochi vaccini fatti in funzione delle missioni fuori area, è contrario; scelte diverse che creano, come nel più ampio contesto sociale, una contrapposizione.

Da tempo nel mondo “borghese” questa contrapposizione, dovuta non solo a motivazioni sanitarie ma anche a interessi economici, finisce per sfociare in stucchevoli diatribe politiche incentrate sul rapporto rischi/benefici dei vaccini sperimentali in circolazione, di cui le fazioni contrapposte enfatizzano i pro e censurano i contro o viceversa.

Nel mondo militare tuttavia la contrapposizione rischia di intaccare lo spirito di corpo, cioè quel sottile legame che unisce tutti gli appartenenti a un reparto o a un corpo o all’intera forza armata. Il fenomeno ricalca il divide et impera già posto in essere dalla classe politica nel più ampio contesto sociale al fine di conseguire non sempre nobili fini.

Primo motivo di contrapposizione può nascere dalle paventate possibilità di contagio (inevitabile andare col pensiero alla “caccia all’untore” di manzoniana memoria), un’eventualità che tuttavia pare possa viaggiare dal cosiddetto no-vax verso il vaccinato sia in direzione opposta.

Altro motivo di attacco/ricatto nei confronti dei no-vax consiste nella proposta di far pesare su questi i costi delle terapie eventualmente necessarie nell’ipotesi che contraggano il covid. Il principio tirato in ballo è sintetizzabile nella formula: “te la sei voluta, peggio per te (in sermo castrensis, fottiti)”.

In realtà questo originale approccio appare accettabile solo a patto che venga esteso a tutte le circostanze in cui il singolo, militare o non, operi consapevolmente scelte dalle quali possano derivare danni per sé stesso e per gli altri. Il campo di applicazione dovrebbe quindi essere allargato dal NO-VAX al NO-SMOKE (se fumi e il tuo fumo può causare il cancro polmonare a te e a chi ti è vicino le conseguenti terapie devono essere a tuo carico), al NO-DRUG (se ti droghi e diventi tossicodipendente…) e al NO-ALCOL (se esageri nel bere e diventi alcolizzato…) e financo a un ipotetico NO-SEX, applicabile al latin-lover impenitente che, in ossequio al principio casanoviano “ogni lasciata è persa”, è fautore del fare sesso con chi capita-capita, snobbando le più elementari precauzioni per evitare di contrarre e diffondere aids e malattie similari. Infine potrebbe essere preso in esame (perché no?) anche un NO-SPEED dedicato ai decerebrati che si scatenano consapevolmente sulla pubblica via in corse da formula 1 mettendo a repentaglio la propria e l’altrui incolumità.

Questo il filo conduttore che può portare a quel NO-MORALE che rischia di intaccare lo spirito di corpo di un reparto. Ma anche prescindendo da queste considerazioni è convinzione di chi scrive che nell’attuale situazione sarebbe opportuno che le forze armate passassero in toto le consegne della campagna vaccinale a quel milione e passa di operatori a tempo pieno (giustamente citati anche in occasione della cerimonia sul Grappa) della Protezione Civile, della CRI, della galassia del volontariato e soprattutto del mondo sanitario, fatta eccezione ovviamente per quei medici che non accettano di vaccinarsi né di vaccinare i propri pazienti, in quanto favorevoli ad altri protocolli terapeutici nonché critici verso l’obbligatorietà di vaccini sperimentali e di modesta o quanto meno controversa efficacia; obbligo vaccinale che ritengono incompatibile con l’assunzione da parte del solo vaccinato di ogni responsabilità in fatto di effetti collaterali. Questa categoria di medici sembra condannata, unitamente agli insegnanti (e forse anche ai militari) contrari al vaccino, ad essere privata dello stipendio e quindi destinata ad ingrossare le robuste schiere dei percettori aventi diritto o abusivi del reddito di cittadinanza.

Altro motivo che potrebbe suggerire ai vertici delle forze armate di passare le consegne agli addetti ai lavori della sanità pubblica sta nel fatto che la drammatica fase emergenziale della pandemia è superata da tempo e il ricordo dei camion che trasportavano bare per il gran numero di decessi è lontano. I 20-30 decessi giornalieri attribuiti attualmente al covid 19 vanno infatti rapportati sia ai 6-700 decessi giornalieri dovuti ad altre cause sia all’ecatombe di inizio pandemia, ecatombe peraltro attribuita da voci autorevoli al famigerato protocollo “tachipirina e vigile attesa”, abbandonato il quale la curva dei decessi calò drasticamente.

In conclusione potrebbe essere una buona cosa che il soldato riprendesse a fare soprattutto il soldato, pur garantendo la sua scontata disponibilità per ogni emergenza, dai terremoti alle alluvioni, passando dagli incendi per arrivare al contenimento dell’immigrazione clandestina che oltretutto, e qui si chiude il cerchio, incide sia sulla diffusione del covid 19 sia sulla tenuta della traballante economia nazionale.

Nicolò Manca