Balli, marinai ed evanescenze istituzionali

16/08/20

Un assunto indiscutibile è che la pubblicazione delle notizie soggiace a più o meno evidenti manipolazioni; è un fatto, come è un fatto che la platea dei potenziali lettori alfabetizzati dovrebbe riuscire a scindere la sostanza della notizia dal resto. In un Paese dove un allenatore di calcio da bancone, in un tempo pari a quello della consumazione di un prosecco, riesce a riciclarsi in epidemiologo-economista passando per esplosivista, l’impresa diventa impossibile. Ed avvilente. Ma tant’è: ormai esiste la comodità dei pensieri unici che, forti di un passe partout neuronale elementare, imbevono di proprie facili convinzioni una massa che pigramente non aspetta altro.

Il problema è che spesso, nella loro unicità, i pensieri sono concettualmente piuttosto deboli, e si associano ad approfondimenti caratterizzati dal metodo spannometrico aperitivistico dei precitati tuttologi; vuoi perché lo spumantino non è di qualità, vuoi perché la facoltà universitaria “Cetto la Qualunque” non dispone sempre di un numero sufficiente di seggiole sul Viale del Tramonto del buon senso, inevitabilmente si cade nel vortice delle più esilaranti inesattezze.

Siccome la maggior parte dei vini, purché di qualità, abbisogna di un minimo di decantazione, si è preferito attendere un tempo ragionevole (ammesso che ci sia) per rivedere alla moviola i balletti che tanto hanno movimentato i giorni pre ferragostani; in fondo, venendo da un periodo grigio e privo di spunti ed eventi, una ventata di fresche ed attraenti novità ci voleva.

La notizia in sé è scarna: Ufficiale di Marina, al termine di cerimonia di giuramento, danza di fronte alla Compagnia di Marinai armati ai suoi ordini, e conduce ballo collettivo à la page. Fine. I problemi arrivano subito dopo; se volessimo fare un paragone giornalistico da provincia, leggeremmo la notizia (Cane morde bambino), e ci soffermeremmo sul seguito (Il cane muore di rabbia), la parte succosa.

Parte il profluvio di boutade (fesserie) e commenti, dove si impastano buonismo ecumenico parrocchiale, politica d’accatto, elargizione di consigli da parte di giornalisti che non hanno, né mai hanno avuto, la minima cognizione di vita militare e disciplina; perché, vedete, quello che accuratamente non si è detto, è che la vita militare è fatta di regole, di precetti, di una percettibile rete di obblighi che rimangono sempre e comunque addosso a chi indossa una divisa. L’uniforme il militare non se la leva mai, e chi lo fa non ha capito nulla, perché ha fatto solo una scelta pratica e di comodo.

Ammettiamolo: è cosa disagevolmente unica nel mondo del pensiero unico, dove domina il principio del “liberi tutti”, tranne il 27 del mese ed in discoteca; un mondo dove sindaci improvvisati parlano a spiovere ed a spiovere di dual use, di strade sicure ma da asfaltare, di guardie ai depositi di immondizia, di giovanissimi soldati che si suicidano nel bagno di una metropolitana o di graduati che si uccidono nei garage di casa, di barconi e presunti migranti.

Ce ne fosse stato uno, uno solo, che fosse stato capace di parlare o scrivere di quel che di operativo, per cui sono stati formati, fanno (e bene) i militari. Meglio di no, si correrebbe il rischio di passare per folli guerrafondai in un mondo di marzapane; del resto lo stesso legale del Comandante della Compagnia di Taranto, ha tenuto a precisare che le armi erano “scariche”, come il prontuario della burla tuttologica prescrive...

Il Tenente di Vascello, equivalente a Capitano, diventa un Tenente; la Compagnia diventa plotone; il giuramento diventa alzabandiera: insomma, chi più ne aveva più ne ha messo, così, alla buona; poi si sono aggiunti i fini commentatori, quelli che, come sempre, hanno trovato, alla stregua di un’Inquisizione Spagnola riveduta e corretta, peccato, dolo e malizia; e qui giù con disquisizioni sul fatto che il Comandante fosse una donna, che ormai era arrivato il momento di eliminare per sempre il battere ritmato degli stivali insieme al suono stentoreo di voci che, dal primo balcone che capita, chiamano immancabilmente a testimoni storia e destino.

A parte il fatto che in Marina di stivali se ne vedono davvero pochi, e che per dare gli ordini necessari a farsi sentire anche dall’ultimo in fondo a sinistra è per forza indispensabile alzare un po’ la voce, sorge il dubbio che siano proprio gli ispirati censori a continuare a battere su oleografie datate, ma che continuano a fare colpo sia su illuminati, spesso anche abbienti a differenza del militare medio ed onesto, loro malgrado costretti a condividere l’aria con torme di inconsapevoli deficienti che si ostinano a pensarla diversamente, sia sui celebri prosecchisti; in linea di massima ormai invale il principio per cui, se si vogliono evitare discussioni e picchi di pressione arteriosa, conviene declinare ogni spunto, anche perché il famoso pensiero unico relegherebbe il dissenziente in quanto tale tra le fila dei deficienti di cui sopra. Insomma, pensarla diversamente è impossibile.

Magari (anche a ragione), si può rimarcare la figura di un Ministro della Repubblica che, adipe e mojito, si dimena su spiagge italiche dall’improbabile nome esotico, ma non si può accettare il punto di vista di altri che, nel ballo collettivo di un reparto armato (peraltro eseguito anche male, frutto di una evidentemente scarsa preparazione preventiva), vedono lo svilimento di una serie di simboli (Lo giurate voi? E 1, 2, 3, 4, Jerusalema!). Che poi i simboli sviliti siano quelli che, bene o male, hanno permesso/costretto (in pochi) di tirare la carretta (di tutti) di un Paese in perenne difficoltà spesso a causa di chi di volta in volta lo ha diretto/governato (parole grossissime), poco importa, anche perché, salvo rare eccezioni, chi ha davvero fatto propri quei particolari simboli cui ha dedicato la vita, non ha trascorso il suo tempo tra prosecchi o nei costosi ritrovi alla moda di un’intellighenzia oligarchica e poco democratica per censo elevato e propensioni ideologiche.

Molto velocemente il primo presupposto, quello di una diffusa supponenza tale da permettere a chiunque di discutere di qualunque cosa pur non avendone le basi, grosso modo lo abbiamo visto; potremmo però andare a scoprire cosa c’è di più, il cosiddetto schiaffone di ritorno.

Il balletto, in fondo, non è che il piccolo segno di un malessere più profondo ed esteso di cui, proprio quelli che avrebbero dovuto prevenirlo perché designati custodi dei simboli e dei valori di cui sopra, non si sono minimamente accorti. Che ci sia sempre stata goliardia è acclarato, e nemmeno scandaloso se esercitata in limiti logici e di normale buon senso. È che sono mancati entrambi: logica e buon senso.

Ci si potrebbero porre moltissime domande; per esempio, quali sono i criteri selettivi del personale, dove evidentemente prevalgono valutazioni solo pratiche e poco o nulla ideali, o poco puntate alla certificazione della comprensione del ruolo futuro da andare a ricoprire? Quali sono state le direttive di vertice impartite quale correttivo negli anni? Sono state razionalmente sensate? Si è compreso quale strada stessero prendendo selezione e formazione del personale? Sembra di no, visti i risultati.

Qual è stato il controllo esercitato nella struttura ove è andata in scena la coreografia, considerato che evidentemente nessuno ha sentito o visto nulla nemmeno durante le prove? Quali sono stati gli esempi virtuosi forniti in senso discendente su tutta l’organizzazione per intervenire sul male in fondo così poco oscuro del personale? Pochi, pochissimi, praticamente assenti.

Se è vero che la danza si sarebbe potuta senz’altro evitare, non si può nemmeno non pensare alle vicende giudiziarie che ancora coinvolgono l’istituzione militare: qual è il fatto più grave tra i due? Siamo sinceri.

Possibile che non esistano persone mediamente oneste da poter, eventualmente e se le congiunzioni astrali lo permettono, essere impiegate con idonea gratificazione? Non potrebbe essere accaduto che il famoso personale “mediamente onesto”, visto l’andazzo, si sia ordinatamente ritirato, visto che tanto non c’era nulla da fare se non ammalarcisi? È vero che le soluzioni aventiniane non hanno mai risolto i problemi, ma quanto meno, in questo caso, hanno parzialmente evitato l’ulteriore fuoco “amico” alle spalle.

E qui ritorniamo ai valori alterati dal prosecco; ma il celeberrimo vertice, si è mai reso conto che, tutto sommato, nel diluvio di carte se l’organizzazione è andata comunque avanti, lo si è dovuto agli aventiniani che, fino a che il fegato ha retto, hanno creduto a quei valori ed a quei simboli che gli allegri danzatori di Taranto hanno dimenticato, permettendo alla politica di entrare dove mai avrebbe dovuto, vista la natura dell’istituzione militare?

Ed aggiungiamo, molto umanamente: ma se come al solito, tra danze, procedimenti giudiziari e comportamenti ampiamente ricompresi nel galateo primitivo della savana ma spesso tollerati in uffici e caserme, non succedesse nulla, chi mai potrebbe biasimare il definitivo Aventino di quelli che, veramente stanchi, hanno preferito contemplare i tramonti di sole ed ideali?

Walter Raleigh