Arlecchino servo di due padroni

08/04/19

La concezione del servire può seguire due filoni: quello agostiniano (“Coloro che esercitano un comando non fanno in realtà altro che prestare servizio a coloro cui sembrano comandare”-- De Civitate Dei 19.14) o quello più prosaico del capolavoro goldoniano “Arlecchino servo di due padroni”. Ogni ministro della Repubblica Italiana è costretto a portare inciso idealmente sul bavero dell'abito parlamentare il motto “servitore di due padroni”. Emulando Truffaldino, il personaggio creato da Goldoni, ciascun ministro deve infatti in primis rendere conto del proprio operato al partito che gli ha conferito l'ambito incarico e in secundis deve (o quanto meno dovrebbe) curare gli interessi derivanti dalle sue competenze. Quando uno dei due padroni prende il sopravvento, e quasi sempre si tratta del padrone-partito, per il padrone-ministero sono guai.

Gli esempi più eclatanti di questo assunto si sono sempre avuti, manco a dirlo, nell'ambito del Ministero Difesa. Fece scalpore la decisione del ministro Andreatta di destinare 206 miliardi di lire del bilancio delle Forze Armate ai partiti politici messi in difficoltà da una legge che ne riduceva drasticamente il finanziamento pubblico. Anche gli acquisti dei PC Olivetti, delle campagnole Fiat AR/76 e, più recentemente, degli aerei a guida remota P.1 HH della Piaggio, inutili per la nostra Aeronautica, sono serviti per soccorrere aziende in crisi, a danno ovviamente dei già miseri stanziamenti per la Difesa.

Per tener fede alla cannibalizzazione del bilancio militare la nuova classe politica ha elaborato il dual use, un inglesismo truffaldino che sta per “impiego duale” delle Forze Armate, una formula che prevede, tra l'altro, l'impegno permanente di 7000 uomini in una missione dalla denominazione accattivante: “Strade sicure”. È contemplato inoltre il rattoppo delle buche stradali della Capitale, il controllo dei campi rom e, infine, alcune incombenze connesse con la raccolta e lo stoccaggio dei rifiuti urbani.

Dio solo sa cosa abbiano a che fare queste attività con i compiti previsti per le Forze Armate dalla Costituzione e con le motivazioni che possono aver spinto un soldato a intraprendere la strada militare.

Suonando la gran cassa intorno a queste iniziative, è stata creata in realtà una cortina fumogena che nasconde il principe dei problemi: il bilancio militare. Sono soprattutto gli alleati europei della Nato che accusano l'Italia di destinare alla Difesa meno della metà, in termini percentuali del PIL, rispetto al loro impegno.

Per rendere ancor più fumogena una cortina già fumosa di suo sono state poi ideate la mistica riduzione dei cappellani militari (se necessario lo si faccia senza esibizionismi propagandistici) e l'enfatica esaltazione delle unioni omosessuali tra il personale in divisa (dati i miei trascorsi nella “Sassari” mi sono chiesto cosa ne avrebbero pensato il capitano Emilio Lussu e Raimondo Scintu, uno dei suoi soldati decorato di Medaglia d'Oro). Poi è stato proposto anche il poderoso problema dei militari sovrappeso (un inconveniente che ogni soldato ha il sacrosanto dovere di risolvere in proprio, mettendo ordine nelle sue abitudini alimentari, dedicando tempo all'attività fisica e, se necessario, ricorrendo al servizio sanitario nazionale); infine, buon'ultima, è nata l'epocale sindacalizzazione delle forze armate. In merito al nascente sindacato è da notare che per risolvere i problemi soprattutto retributivi dei militari, a cominciare dal vergognoso ritardo con cui vengono corrisposte le indennità per gli straordinari (spesso trasformati, obtorto collo, in riposi compensativi) sarebbe sufficiente la volontà di un ministro. Ma per risolvere sic et simpliciter questo problema sarebbe stato necessario che il ministro Trenta avesse fatto scudo col proprio corpo al taglio di 500 milioni di euro allo striminzito bilancio militare... ma anche in questo caso saremmo stati comunque lontani mille miglia da una ricerca perduta della credibilità delle Forze Armate. Queste dovranno invece continuare ad arrabattarsi con meno di 20 miliardi di euro, a fronte dei 43 dei francesi e dei 46 degli inglesi.

È evidente che nelle scelte ministeriali ha avuto la meglio l'obbedienza “rispettosa, pronta e assoluta” al padrone/partito, a scapito, ovviamente, del padrone/difesa. In merito al sindacato militare è da aggiungere inoltre che resta la curiosità di capire come il ministro intenda risolvere l'inconciliabilità di due ossimori: sindacato/divieto di sciopero oppure diritto di sciopero/esecuzione degli ordini. In altre parole: se manca una volontà politica favorevole, un sindacato senza diritto di sciopero è una presa per i fondelli; se invece la volontà politica c'è, il sindacato militare è a maggior ragione inutile.

La mancanza di credibilità delle nostre Forze Armate comporta l'impossibilità di difendere gli interessi nazionali ed è destinata a durare nel tempo, in quanto dipendente dalla necessità di destinare un fiume di denaro per l'agognato reddito di cittadinanza e per l'esigenza migranti. Soprattutto questa seconda esigenza comporterà infatti l'impossibilità di ridurre i costi per il vitto e l'alloggio dei migranti stessi, per la loro assistenza sanitaria e per quella legale “gratuita”,senza dimenticare il mantenimento nelle nostre carceri di quel 30% di detenuti non-italiani e i costi per arginare la delinquenza in fatto di spaccio di stupefacenti, commercio di manufatti contraffatti e i reati che l'informazione nazionale si sforza di minimizzare. Non è da dimenticare inoltre che i beneficiari del noto reddito di cittadinanza saranno per il 10% non-italiani.

Per quanto riguarda infine la difesa degli interessi nazionali e del prestigio dell'Italia può essere significativo porsi alcune domande che si rifanno a vicende internazionali e ipotizzare l'evoluzione di quei contrasti diplomatici se al posto dell'Italia si fosse trovato un paese militarmente credibile. Primo esempio: se i due marò Girone e Latorre fossero stati inglesi/francesi/israeliani come si sarebbe comportata l'India? Secondo caso: se al posto dell'Italia fossero stati il Regno Unito o Israele ad avere vitali interessi energetici in Libia, Il signor Sarkozy avrebbe ugualmente bombardato e destabilizzato la Libia mettendo in crisi l'ENI e lasciandoci l'eredità di un milione di potenziali migranti anelanti a raggiungere, con la connivenza di trafficanti, mondo cattolico, intraprendenti affaristi e cooperative di partito, il Bel Paese accogliente e tollerante? Altro esercizio: Sarkozy e Merkel avrebbero indirizzato lo storico sorrisetto di scherno anche ad un rappresentante del Regno Unito o di Israele? Ancora: se nel febbraio 2018 la Saipem 12000, la nave dell'ENI che, accingendosi ad una campagne di prospezioni petrolifere in acque internazionali, avesse battuto bandiera inglese/francese/israeliana, l'unità della marina militare turca le avrebbe comunque imposto, in barba al diritto internazionale, di fare dietro front e fare rotta verso casa? E così per i casi Regeni e la latitanza di Cesare Battisti. E perché la Francia ha definito “vomitevole” la politica italiana e non quelle talvolta altrettanto criticabili del Regno Unito o di Israele; e così pure come mai Il lussemburghese ministro Jean Asselborn si é permesso di indirizzare l'espressione “merde” all'italiano Salvini e non all'omologo francese/inglese/israeliano?

In realtà bisogna però ammettere che anche non pochi personaggi italiani, precursori di Fabio Fazio, hanno preso posizione contro il governo italiano, dimostrandosi conniventi con il contendente di turno, specie se francese, guadagnandosi comunque, oltre che una malcelata riconoscenza, un altrettanto malcelato disprezzo. In questo quadro merita qualche riflessione il conferimento della Legion d'Onore ai vari Prodi, Veltroni, D'Alema, Fassino, Franceschini, Letta, Pinotti ed altri.

Concludendo: è ormai evidente che le nostre Forze Armate sotto la gestione pentastellata hanno toccato il fondo. Nonostante il mondo sia in pericoloso subbuglio, con molte situazioni che rischiano di sfuggire completamente di mano ai contendenti, come nella “nostra” Libia, “servirà molto tempo e molto denaro per rimettere in piedi il nostro strumento militare”. Almeno così la pensava Winston Churchill. Ma a premessa di tutto appare indispensabile che la gestione della difesa passi al più presto in mani meno incompatibili col mondo militare.

Gen. Nicolò Manca (già comandante della “Sassari”)

Foto: ministero della Difesa