Ultima intervista al generale Chris Whitecross, primo comandante donna del NATO Defense College

(di Andrea Cucco)
17/07/20

Nella mattinata di ieri è avvenuto al NATO Defense College il passaggio di consegne tra il comandante uscente, generale di squadra aerea Chris Whitecross (Canada), ed il subentrante, generale di corpo d’armata, Olivier Rittimann (Francia).

Dal novembre del 2016 il generale Whitecross ha diretto il massimo Istituto di formazione dell'Alleanza con competenza, passione e capacità. Queste qualità, messe a dura prova durante l'emergenza sanitaria di quest'anno, non si evincono da freddi numeri, risultati positivi, o dalla retorica di discorsi di circostanza, lo ha testimoniato la sincera diffusa commozione tra il personale dell'Istituto al momento dei saluti di commiato.

Da molto tempo avevamo espresso il desiderio di intervistarla e, da buon militare, poco prima di partire, non se ne è dimenticata.

Generale Whitecross, qual è il bilancio di quattro anni al comando del NATO Defense College?

Quando sono arrivata ho scoperto qualcosa di straordinario all'interno dell'Alleanza: un elemento di coesione e formazione militare unico per insegnare principalmente ruolo, compiti e scopo della NATO in diverse aree geografiche. È stato un enorme onore esserne al comando e, dopo tre anni, la mia opinione è rimasta immutata.

L'insegnamento di nozioni destinate a rimanere per un'intera vita nei frequentatori è indispensabile.

Sono anche rimasta colpita dall'entusiasmo e dalla passione riscontrati nel personale.

Prima esperienza di servizio in Italia? Ci lusinghi con due pregi ma ammetta almeno un difetto degli italiani...

È stata la mia prima esperienza in questo Paese. Vivere a Roma è stato emozionante, per me e mio marito. Veniamo da una terra che ha appena 150 di storia ed arrivare in un luogo con un retaggio di millenni, materialmente visibile, è stato un privilegio. Ogni volta che passeggiamo in centro città scopriamo qualcosa di nuovo. Come ingegnere, vedere strutture ed edifici con migliaia d'anni alle spalle mi lascia sbalordita.

C'è un clima stupendo oltre a straordinarie sfumature di cibo, vini e paesaggi che cambiano a distanza di poche ore di viaggio.

Un difetto? Be', devo confessare che guidare l'auto è stato davvero, davvero molto stressante; l'unico neo di questa esperienza che, prossima alla partenza, ancora mi inquieta.

È stato complicato "gestire" frequentatori da Paesi con culture talvolta estremamente diverse?

La risposta è sì e no. È nostro dovere di alti dirigenti dell'Alleanza, militari e civili, di imparare da altre culture e di comprendere perché esistono differenti standard nella sicurezza in diverse aree territoriali, linguistiche o culturali. Tutto questo ci rafforza e ci permette di essere più efficaci.

Tuttavia questo processo di coesione richiede tempo. Non è sempre facile comprendere immediatamente le persone ed i loro particolari caratteri e credenze. Compito del Nato Defense College, attraverso la formazione, è arrivare a creare condivisione ed affiatamento.

Cosa avrà lasciato all'NDC?

Ogni comandante spera di aver lasciato qualcosa di positivo guardando negli occhi la gente che lascia.

Spero rimarrà un ricordo positivo, soprattutto in termini di trasparenza, fiducia, dignità e rispetto. Sono valori tanto personali quanto dell'Alleanza.

Che ricordi ha della Guerra Fredda, gli anni in cui si è arruolata?

Ho ricordi vividi di quel periodo perché negli anni '80 ho prestato servizio in Germania con esercitazioni mensili e annuali valutazioni tattiche dei reparti. Bisognava maturare costantemente nuove capacità e competenze. Come ingegnere dovevo occuparmi della difesa di piste di volo o del loro rapido ripristino per lo schieramento di caccia ed il mantenimento di operazioni aeree.

Il miglior ricordo di quell'era è tuttavia quando è terminata nel 1989! Ho assistito direttamente alle emozioni dei colleghi tedeschi. Ne ricordo uno in particolare che, con le lacrime agli occhi, mi disse che la riunificazione era il ritorno alla vita dopo il lungo lutto di una nazione.

Come ha affrontato l'Emergenza Covid al NATO Defense College?

Abbiamo costantemente seguito quanto avveniva a Wuhan, in Cina, e poi a Milano. Un generale del mio staff, durante una mia breve assenza, ha tempestivamente indetto una prima riunione per affrontare il problema. Al mio rientro con i collaboratori abbiamo tenuto costanti meeting "virtuali" per raggiungere l'obiettivo principale: la conclusione dei corsi. Ci siamo assicurati che i frequentatori avessero le dotazioni informatiche adatte per seguire le lezioni in sicurezza, da casa assieme alle proprie famiglie. I corsi sono così proseguiti collegando molti Paesi fino a quando le autorità italiane hanno permesso il ritorno al College in sicurezza.

Eravamo preparati, la pianificazione è nella natura del mondo militare e, da una iniziale di emergenza generale, ne è seguita una più specifica dopo solo sei settimane che ha permesso di riportare il personale al College con soluzioni anche ibride (presenza fisica e/o virtuale).

Se non ci fossimo esercitati a simili emergenze didattiche nell'ultimo anno, la gestione sarebbe stata sicuramente più complicata.

Toccando ferro, sono felice di dire che (ad eccezione di due ufficiali italiani che l'hanno contratto al di fuori del College) la diffusione del Covid è stata evitata all'interno dell'Istituto.

Anche grazie ai consigli di un medico italiano e delle autorità sanitarie militari abbiamo definito protocolli efficaci e risposto alle preoccupazioni di molti.

Imparare a lavorare facendo squadra è il fondamento del College.

Stiamo già lavorando per continuare la formazione anche in presenza di un eventuale ritorno del Covid in autunno.

Si è arruolata in anni in cui in Italia il servizio militare era ancora precluso alle donne. Il Canada è stato uno dei Paesi più moderni sotto questo aspetto. Era sempre tuttavia semplice lavorare in un ambiente tradizionalmente maschile?

Assolutamente no. Mi sono arruolata nel 1982 e le donne erano solo il 7-8% del totale. Oggi il personale femminile è il 17% con la speranza di raggiungere una quota del 25% nei prossimi 10 anni.

Sono stata la settima donna ad entrare nel Corpo del Genio militare. Non è stato facile ma ne è valsa la pena. Ogni cambiamento culturale ha bisogno di tempo per realizzarsi e maturare. In Italia sta avvenendo la stessa cosa, ho incontrato donne in divisa che stanno facendo un gran lavoro e sono molto apprezzate dai propri colleghi uomini.

Tuttavia credo che nessuno, in alcun Paese, possa fornire un quadro roseo del processo in corso, sia in campo militare che civile.

Come militare, credo sia importante fornire un esempio positivo al proprio Paese. Se le forze armate riescono a sfruttare la risorsa che il 50% della società mette a disposizione, l'economia di una nazione intera potrà progredire.

Ammetto che non è stato sempre facile, ma le frustrazioni sono valse la pena.

Oggi la situazione in Canada è migliore di un tempo, ma non bisogna campare sugli allori, c'è ancora del lavoro da fare.

Cosa consiglierebbe ad una ragazza che vuole intraprendere la carriera militare?

Prosegui! Non so in Italia ma in Canada esistono ben 105 specializzazioni militari che riflettono un ampio spettro di impiego paragonabile a quello civile.

Quando qualcuno me lo chiede rispondo che sicuramente c'è il lavoro che più appassiona nel mondo militare. Ma la vita in divisa non è per tutti: bisogna saper affrontare molte difficoltà, talvolta ambiguità, in una società estremamente strutturata.

Personalmente ho vissuto una carriera fantastica. Ho visto e fatto cose che non avrei potuto sperimentare al di fuori di questo mondo, talvolta meravigliose, talvolta difficili, ma che hanno realizzato ciò che sono oggi. Ne sono orgogliosa e non ho rimpianti.

Foto: Fabrizio Troccoli / NATO Defense College / NATO / Canadian Army