Libia e dintorni secondo il già capo di stato maggiore della Marina, ammiraglio Giuseppe De Giorgi

(di Andrea Cucco)
24/08/17

E' imbarazzante che in un Paese tanto importante per l'Italia ci sia una così scarsa copertura mediatica sul campo. Per lo più vengono elaborate e rielaborate agenzie e... veline. Per cercare di avere un quadro migliore della situazione abbiamo incontrato nuovamente un uomo che ha avuto un punto di osservazione privilegiato sul Paese nordafricano, l'ammiraglio Giuseppe De Giorgi.

Le notizie che ci giungono dall'altra sponda del Mediterraneo sono inquietanti: tremende per la vita ordinaria della stessa popolazione libica (ma non importa mai a nessuno un simile "dettaglio"!) e scandalose per i retroscena di un vero e proprio affaire.

Ammiraglio De Giorgi, cosa pensa delle notizie dalla Libia?

In Libia ci sono due partite in atto. La prima, tutta italo-italiana, si gioca sul tema elettorale dell’immigrazione, che avrà, insieme a quello della sicurezza in senso lato, un peso determinante sull’esito delle prossime elezioni politiche e sui rapporti di forza all’interno del PD. La seconda è quella strategica, della difesa dall’interesse nazionale in Libia. È appena il caso di notare come le due partite siano intrecciate e si condizionino a vicenda.

Il controllo dell’immigrazione andrebbe inquadrato nel più ampio contesto della normalizzazione della Libia. In quest’ottica si è sviluppata l’azione del Governo, guidata dal Ministro degli Interni Minniti. Forte della conoscenza della Libia maturata anche come Sottosegretario con delega ai Servizi e del suo coraggio politico si è di fatto sostituito agli Esteri e alla Difesa, avviando una serie di iniziative importanti fra cui, la firma di accordi di collaborazione con le Katibe del Fezzan, per la messa in sicurezza dei confini con il Niger.

Si era parlato del possibile invio di soldati italiani per pattugliare il confine sud della Libia, ipotesi immediatamente svanita, appena la Francia, ha fatto capire di non gradire un’eventuale presenza italiana, vicino ai confini di una sua così importante area d’influenza. Nonostante le difficoltà qualche risultato comincia tuttavia a vedersi.

Per quanto riguarda la situazione della frontiera marittima, dopo l’allontanamento delle navi di Mare Sicuro, disposto fra luglio e settembre 2016, le acque prospicienti la Libia, prive del controllo delle nostre Navi, erano tornate santuario dei trafficanti di esseri umani, che non rischiavano più l’arresto, né la distruzione dei barconi (recuperati impunemente per essere riutilizzati per altri trasporti).

L’aumento massiccio di morti in mare, conseguenza della minor tempestività dei soccorsi, per l’assenza del naviglio italiano, aveva fatto accorrere numerose le ONG di mezzo mondo, diventate in breve “braccio operativo avanzato” del SAR della Capitaneria di Porto che ne coordinava regolarmente gli interventi (ancorché senza titolo in quanto in un’area al di fuori della sua giurisdizione SAR), dirigendole poi verso i porti italiani per lo sbarco dei naufraghi.

Nel tempo, le navi di alcune ONG si avvicinavano sempre più alle coste libiche e, dal soccorso di naufraghi raccolti in mare o da natanti in procinto di affondare, si è passati in molti casi al semplice trasbordo di migranti direttamente dalle imbarcazioni degli scafisti, spesso nelle vicinanze dal luogo d’imbarco. Dal punto di vista delle ONG (non voglio considerare casi di malafede) si trattava comunque di azioni mirate a sottrarre alla sofferenza dei campi di concentramento nelle mani dei trafficanti, dei disperati in fuga da guerre e miseria. Spegnere l’AIS (Automatic Identification System), per avvicinarsi alla riva, senza essere visti dalle autorità italiane, doveva apparire ai volontari imbarcati sulle navi delle ONG, un peccato veniale, commesso per una buona causa.

Dal punto di vista italiano si trattava invece di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e in tal senso si sono attivate alcune Procure.

Visti i numeri in continua ascesa e l’orientamento dell’opinione pubblica, il Governo decideva l’inversione di rotta nella sua politica verso il tema immigrazione: dall’accoglienza, come valore assoluto da difendere con cristiana solidarietà, al blocco dell’emigrazione dalla Libia ad ogni costo.

Ad agitare le acque, interveniva nel frattempo Macron, che senza coordinarsi con l’Italia, convocava a Parigi un summit fra Al Sarraj e il signore della guerra Haftar. L’obiettivo tattico era di legittimare ulteriormente quest’ultimo, ponendolo anche formalmente sullo stesso piano di Al Sarraj, depotenziando di conseguenza il ruolo e il prestigio italiano nella gestione della crisi libica. Si trattava di un colpo basso, tirato all’Italia per metterne in discussione il primato in Libia con l’obiettivo strategico di avere libero il campo, per estendere alla Libia (e ai suoi immensi giacimenti di petrolio e di gas naturale) l’area d’influenza francese, costituita dai Paesi francofoni dell’Africa Occidentale (Senegal, Niger, Mali, Chad, Gabon) e Nord Occidentale (Marocco, Tunisia, Algeria).

La “provvidenziale” richiesta di Al Sarraj di far intervenire le nostre navi per garantire la sovranità delle acque libiche, proteggendo la Guardia Costiera (libica) dalle minacce delle organizzazioni criminali, rimescolava nuovamente le carte, creando un diversivo e un’opportunità di reazione per il Governo italiano.

La determinazione con cui il Presidente Gentiloni dichiarava la disponibilità all’intervento e la rapidità con cui il Parlamento concedeva l’autorizzazione, risollevavano, soprattutto agli occhi dell’opinione pubblica interna, l’orgoglio ferito dallo schiaffo francese. Almeno per qualche giorno. Giungeva infatti puntuale la prevedibile reazione di Haftar, sferrata in due tempi: inizialmente minacciando di bombardare le nostre navi; qualche giorno dopo svelando al pubblico che no, non avrebbe bombardato più le nostre navi, anche perché il numero due dell’AISE si sarebbe scusato con lui dicendo che era stato tutto un grande equivoco e che non avremmo dato seguito alla missione appena approvata dal Parlamento, senza il suo benestare. Haftar, raccontando, senza smentite purtroppo, la nostra sottomissione alla sua volontà, tentava di sminuire ulteriormente la forza di Al Sarraj, e di umiliare l’Italia davanti ai libici e alla comunità internazionale, che, a questo punto, attende di vedere cosa farà davvero l’Italia. Se effettivamente il nostro Governo avesse ordinato alle navi di arretrare e non avesse modificato le regole d’ingaggio per metterle in condizioni di intervenire tempestivamente in caso di bisogno, Haftar avrebbe ottenuto il suo scopo. L’ex generale di Gheddafi, nella stessa intervista, chiariva anche che avrebbe imposto all’Italia un pesante tributo, a similitudine di Erdogan e di Gheddafi, dietro la minaccia di riaprire i flussi dell’esodo.

Per coloro che in questi giorni vanno a ingrossare spensieratamente le fila dei pro Haftariani, ricordo che certamente Haftar ha come modello Gheddafi, ma una volta al potere è assai improbabile che ne replichi la politica nei confronti dell’Italia. Ai tempi della nostra alleanza con la dittatura libica, Gheddafi odiava (ricambiato) la Francia e gli Stati Uniti, non si fidava della Russia e trovava sponda all’estero quasi solo in Italia. Infine in Mediterraneo c’era la 6^ Flotta. Ora nel nostro mare è entrata la Russia, che conduce con lucidità e il suo gioco in Libia senza soggezioni o riguardo alcuno.

Ecco quindi che dopo Macron, anche Putin invita Al Sarraj e Haftar a Mosca per un arbitrato russo. Questa volta Al Sarraji rifiuta l’invito, preferendo rimandare a un successivo incontro con Putin, ma senza Haftar. In ogni caso andrà in Russia, rendendosi conto che deve trovare un’interlocuzione diretta, per evitare di rimanere senza referenti, qualora l’Italia scelga alla fine di accodarsi a Francia e Russia, rinunciando a giocare un ruolo attivo nella vicenda libica.

La Russia persegue esclusivamente il suo interesse nazionale: costruire una grande base aeronavale in Cirenaica e ottenere accordi più favorevoli agli interessi economici russi grazie anche ad accordi con l’ENI negoziati da una posizione di forza. Favorire la Russia, anche oltre i confini di accordi di salvaguardia per l’Eni in vista di un possibile crollo delle posizioni italiane, può apparire conveniente nel brevissimo termine, ma non è detto che lo sia nel medio e lungo termine, anche perché a voler ballare con l’orso, dopo i primi inebrianti volteggi, si finisce solitamente nella sua pancia.

In molti ambienti ci si illude che pendolando fra gli opposti schieramenti riusciremo a spuntare grandi vantaggi. Come spesso accaduto nella nostra storia, prenderemo invece bastonate dall’uno e dall’altro campo, mentre Russia e Francia che hanno sostenuto Haftar, quando la sua vittoria non era scontata, si accorderanno fra di loro, con noi che faticheremo per essere ammessi, anche solo formalmente, al tavolo di pace (a tal proposito vale la pena di rileggere il primo coro dell’Adelchi ….lettura ancora attuale e forse per questo ancora più dolorosa).

Come giudica il ritorno del nostro ambasciatore in Egitto?

Ritengo faccia parte del percorso di avvicinamento al blocco pro Haftar (Russia, Francia, Egitto, Emirati). E’ inevitabilmente prevalsa la “ragion di Stato”, scelta dettata anche dalla crescente debolezza della posizione italiana in Libia e in generale nello scacchiere internazionale, dove fatichiamo a trovare sponda nei nostri tradizionali protettori, gli USA e l’Inghilterra. La nostra mossa non è tuttavia sfuggita all’attenzione del nostro alleato di riferimento, che ha fatto arrivare puntuale la prima pubblica tirata d’orecchie. Tramite il New York Times, un autorevole personaggio vicino al Dipartimento di Stato ha pensato fosse il momento giusto per comunicare al mondo che Renzi e Gentiloni avevano avuto dagli USA informazioni sull’assassinio e sulle torture subite dal nostro connazionale Regeni che accusavano i vertici Egiziani. La notizia diffusa proprio quando il Governo abbandonava la linea della fermezza con l’Egitto voleva creare un problema di politica interna, mettendo in imbarazzo Gentiloni e Renzi. E’ stata una stilettata nel fianco, certamente non mortale, ma dolorosa. Un avvertimento, per non dimenticare la lealtà all’alleato di riferimento, anche nella partita libica e medio-orientale.

Fonti libiche di Difesa Online lasciano intendere che potrebbero essere "messi in discussione" (leggi interrotti) accordi con colossi come l'ENI. Solo quando vedremo compromessi gli ultimi affari rinsaviremo?

L’ENI, la nostra compagnia delle Indie, ha condizionato la politica estera italiana da Mattei in poi. E’ un ruolo che assolve molto efficacemente, investendo nei paesi in cui opera, finanziando scuole e ospedali. Non potendo contare sulla nostra Difesa, si è affidata a robusti reparti di “contractors” o di milizie amiche, a protezione del suo personale e delle sue installazioni. Quando il contesto è troppo pericoloso per le iniziative istituzionali, l’Eni c’è.

Il nostro avvicinamento alla Russia sarà stato probabilmente coordinato con l’ENI, nella speranza di salvare il salvabile, tramite accordi con le grandi società statali russe, in previsione della vittoria di Haftar e quindi della Russia. E’ evidente tuttavia che l’Eni si muove essenzialmente, com’è logico che sia, in un’ottica commerciale. Spetterebbe alla nostra politica estera inquadrare tale tendenza nel più ampio quadro dell’interesse nazionale, sostenendo l’Eni con una più decisa azione di politica estera.

In Libia la partita è molto articolata e le conseguenze strategiche di scelte che non tengano conto del “grande gioco” su scala globale, rischiano di essere pesantemente negative per l’Italia e nel lungo periodo anche per l’Eni.

Non le sembra che la cosiddetta 'guardia costiera libica' sia un'istituzione resa eccessivamente importante dai media? Cosa c'è dietro?

In questo momento l’esito delle elezioni italiane dipende in buona misura dalla capacità della guardia costiera libica di impedire la partenza dei migranti verso l’Italia. Ecco perché i media vicini al governo e ai centri di potere che lo sostengono danno tanto spazio alla Capitaneria libica, la cui efficacia durerà sino a quando le organizzazioni che gestiscono il traffico di esseri umani, dopo questa fase di osservazione delle mosse italiane, decideranno di passare al contrattacco. Si aggiunga che Haftar non ha interesse che l’esodo dalle coste libiche si interrompa prima della sua conquista del potere, per disporre, una volta insediato al vertice della Libia, una leva negoziale maggiore nei confronti dell’Italia. Occorre vedere anche come si comporterà la Guardia Costiera italiana qualora dovesse ricevere una richiesta d’aiuto da un’imbarcazione in procinto di affondare nell’area SAR libica. Sinora ha sempre garantito il soccorso, ben oltre l’area di propria responsabilità, adducendo, oltre a motivazioni umanitarie, anche il pericolo di conseguenze penali in caso di mancato/ritardato intervento (è ancora caldo il caso della C.te di Nave Libra, accusata per essere giunta sulla scena di un naufragio (al di fuori dell’area SAR nazionale), in ritardo nonostante avesse fatto tutto quello che era in suo potere. Finite la pausa agostana, vedremo se anche la Capitaneria avrà invertito rotta.

Adesso il punto è se la linea Minniti terrà sino ad Aprile e quale prezzo dovremo pagare nella seconda partita, quella dell’interesse nazionale in Libia.

Eliminare Gheddafi nel 2011 e appoggiare Al Sarraj in una Libia disunita nel 2015: ritiene anche lei che siano stati i due più gravi errori fatti dai governi italiani degli ultimi anni?

L’Italia ha subito la guerra in Libia, cercando di restarne fuori fino a che ha potuto. A differenza della Germania che si rifiutò di partecipare ai bombardamenti, L’Italia si è piegata alla volontà di Francia e Inghilterra, inizialmente mettendo a disposizione le nostre basi aeree e poi partecipando ai bombardamenti, ancorché con un numero molto limitato di aeroplani. La posizione italiana in Libia ne è uscita comunque molto indebolita, per poi migliorare progressivamente grazie al lavoro dell’Eni e dell’Aise, guidato dal Direttore Manenti. Va detto che Gheddafi sarebbe caduto anche senza la partecipazione italiana alla guerra. Il danno maggiore ai nostri interessi nazionali, nel contesto post Gheddafi, ritengo sia stato causato dalla nostra mancanza d’iniziativa e di coraggio, nelle fasi immediatamente successive alla caduta del regime, per accelerare la stabilizzazione della Libia, sperando ora nell’intervento dell’Onu ora nell’aiuto dell’EU.

Per quanto riguarda l’appoggio ai Fratelli Mussulmani e successivamente ad Al Sarraj, ha contato la presenza nella Tripolitania del terminale (strategico per l’Italia) di Melita (gestito dall’Eni), delle piattaforme petrolifere dell’Eni nelle acque prospicienti Tripoli e di altre importanti infrastrutture Eni, nelle zone governate dagli schieramenti pro Al Serraji. Credo sia stata una scelta obbligata. Penso invece che avremmo potuto fare di più per rafforzarlo, subito dopo il suo insediamento, anche militarmente, verosimilmente con la benedizione dell’ONU, che lo aveva scelto.

La situazione, in definitiva, sembra evidenziare che il nostro Paese non ha ancora toccato il fondo o che stia scavando da anni?

I rischi di perdere ulteriore terreno in Libia sono molti. Dovremo a mio avviso sfuggire alla tentazione dell’ambiguità e del macchiavellismo esasperato, a cui spesso tendiamo, nei periodi di difficoltà, quando ci illudiamo di poter manovrare le grandi Potenze, una contro l’altra, a nostro vantaggio. E’ finita male nell’Italia del ‘500, non andrebbe meglio adesso.

La credibilità e il prestigio nazionale valgono oro nel lungo periodo, nei rapporti internazionali. Perderli è questione di un attimo, per rimediare ci vogliono anni.

In un Paese così vicino al nostro sembrano recarsi assai pochi reporter... L'informazione libera in Libia è morta nel 2011 con la prima bomba francese?

Qualche reportage sta emergendo. Penso ai pezzi scritti dal dottor Quirico sulle condizioni dei prigionieri nei campi di detenzione libici, che certo non convengono alla politica che combatte i migranti e ad altri coraggiosi che sfidano il pericolo per squarciare l’indifferenza generale (fra una tragedia e l’altra) Le difficoltà che incontrano questi bravi giornalisti a vedere pubblicate le loro testimonianze, con alcune importanti eccezioni, sono una testimonianza del problema dell’informazione indipendente, in Italia.

Non trova che le informazioni che giungono da fonti "non aperte" lascino a desiderare, a giudicare dalle decisioni governative prese sulla loro indubbiamente influente base? Certo, lei dirà: “Se lasciano a desiderare quelle da Parigi, figuriamoci da Tripoli o Tobruk...”

Non ho elementi di giudizio recenti per giudicare la qualità del nostro intelligence. Per quanto riguarda la Libia ricordo che quando ero in servizio era molto affidabile. Penso piuttosto che al di la delle informazioni dell’intelligence, le nostre decisioni siano spesso condizionate dalla debolezza che mettiamo in evidenza quando siamo costretti a giocare da protagonisti sulla scena internazionale, invece che da gregari, mimetizzati nel “multilateralismo”, nostro storico rifugio per sfuggire alle responsabilità politiche connesse con la difesa dei nostri interessi nazionali.

In politica estera, soprattutto, paghiamo ancora la disastrosa sconfitta nella seconda guerra mondiale e il conseguente assetto istituzionale, caratterizzato dall’assoluta debolezza del potere esecutivo.

Ammiraglio quali sono le linee d’azione che secondo lei dovrebbero essere messe in campo dall’Italia?

Condivido l’operato del Governo in merito:

  • agli accordi con le Katibe del Fezzan, per riprendere il controllo del confine sud;

  • al potenziamento della guardia costiera libica e alla sua protezione con le Navi Italiane, in barba alle minacce di Haftar;

ritengo che tale linea d’azione debba essere integrata, procedendo:

  • a un deciso incremento della presenza navale italiana per deterrenza e per esercitare un efficace controllo tridimensionale negli spazi marittimi di interesse nazionale, nel Mediterraneo centrale e verso oriente, assicurando al contempo il rispetto della libertà di navigazione, al di fuori delle acque territoriali libiche.

  • all’invio urgente di “capacity building non miltari” da estendersi anche a iniziative (invio di tecnici e di materiali) per ripristinare i servizi fondamentali a Tripoli (fornitura di elettricità e rete idrica/fognaria, etc.) eventualmente con la protezione offerta dai providers di sicurezza utilizzati dall’Eni, non potendo inviare l’Esercito;

  • all’avvio immediato da parte dell’Italia di iniziative concrete, anche senza il concorso europeo, coerenti con i principi del “migration compact”, mirate a investire in Africa in infrastrutture e sicurezza, per iniziare a rimuovere alcune delle cause a monte dell’esodo di masse di disperati verso l’Europa, penso ad esempio alla Somalia e all’Eritrea due nostre ex colonie che avrebbero bisogno del nostro aiuto e che sono sorgenti di migrazione verso l’Italia;

  • al miglioramento delle condizioni di vita nei campi di detenzione governativi in Libia, cominciando da quelli in cui vengono rinchiusi i migranti recuperati dalla Guardia Costiera Libica, in attesa di rimpatrio;

  • all’apertura di corridoi umanitari sotto il controllo delle nostre Autorità, per chi fugge dalla guerra e dalle carestie.

Vedo invece con preoccupazione eventuali cedimenti alle minacce di Haftar, e ipotesi di abbandono di Al Sarraj al suo destino, per “metterci alla finestra” o per saltare tardivamente sul carro di Haftar. Perderemmo ogni leva negoziale e finiremmo per irritare chi ci ha sostenuto finora in Libia. Dubito che Haftar possa nutrire gratitudine nei nostri confronti, arrivati comunque ultimi, dopo Russia, Francia ed Egitto. Farei molta attenzione anche ad accordi politici con la Russia, che vadano oltre quelli stipulati dall’ENI come ultima spiaggia, ancorché immaginati in chiave anti francese. Non è detto che gli Americani, ora distratti dalla contesa con la Korea del Nord e da problemi interni, accettino di buon grado un nostro aiuto all’inserimento della Russia in Libia, che non sarebbe, è bene sfatare subito le ipotesi strumentalmente ottimistiche, pubblicate su alcuni giornali, contenibile agli “affari”, ma comporterebbe inevitabilmente l’acquisizione di almeno una base aeronavale in Cirenaica, in chiave anti USA e verosimilmente una rinnovata collaborazione militare con l’Egitto, (com’era ai tempi di Nasser sino alla conversione di Sadat).

Non è poi da escludere che alla fine sia la Francia a trovare un accordo politico con la Russia, a spese nostre o che invece la Francia stessa si assuma il compito di difendere gli interessi militari della Nato e degli Stati Uniti in Libia, al posto dell’Italia. Per tutti questi motivi è opportuno che la nostra politica non sia ambigua e guardi a un orizzonte temporalmente ampio, non limitato alle elezioni italiane, ad aprile. In sintesi ci conviene sostenere Al Sarraj con linearità. La nostra posizione negoziale ne uscirebbe rafforzata.