La Russia vista con gli occhi di un “esploratore” italiano: Stefano Tiozzo

(di Andrea Gaspardo)
06/07/20

Nonostante l'ampia copertura mediatica ad essa dedicata, la Russia resta ai più un enorme “enigma” di non facile interpretazione. Stefano Tiozzo è un fotografo naturalista ed esploratore di mondi, avendo avuto modo di visitare, grazie al suo lavoro, un gran numero di paesi documentando i suoi viaggi tramite la sua arte fotografica.

Nel 2017 si è sposato in Russia e da allora divide il suo tempo tra Mosca e Torino, sua città natale. Con il tempo ha sviluppato una profonda conoscenza della Russia, della sua gente, del suo variegato mondo culturale e, ovviamente, della sua politica; conoscenza che oggi condivide con noi in questa intervista.

Quali sono state le tappe della sua vita e carriera che l'hanno portata a contatto con il “Mondo Russo”?

Il primo contatto è quello che abbiamo avuto tutti, ossia il cinema. Cinema in gran parte di stampo hollywoodiano che risentiva molto (e risente ancora oggi) degli stereotipi imposti dalla Guerra Fredda. Per me, la Russia era quella di Rocky IV, di Caccia a Ottobre Rosso, per intenderci.

Il mio primo viaggio in Russia fu la tappa centrale di uno dei miei viaggi più famosi, Torino-Pechino. Era il 2015, 70esimo della Grande Vittoria, in una Russia fresca di annessione della Crimea, con tutto il disastro diplomatico che ne derivò. Ricordo molto nitidamente due emozioni di quel viaggio: la prima, il rendersi conto di essere in un paese molto diverso da come lo immaginavo e da come lo vedevo dipinto nei nostri media; la seconda, la triste realizzazione che io, di quel paese, non sapevo assolutamente nulla.

Tornai a Mosca una seconda volta nel 2017, ma non da turista, bensì per sposare mia moglie, nota cantante russa di origine cabardina e moscovita di adozione. Da allora vivo nella capitale, e ho voluto fin da subito dare un seguito a quelle impressioni del mio primo viaggio, cercando di decifrare la contorta e affascinante realtà russa.

Ho studiato la storia di quel paese, ne ho respirato le atmosfere, ne ho imparato la lingua, ho iniziato ad ascoltare la loro politica in lingua originale, e a cercare di entrare in tutti i modi nella testa dei Russi per capire in cosa fossero diversi da noi Europei, e mi si è aperto davanti agli occhi un mondo che mai avrei immaginato prima.

Che cosa c'è di giusto e di sbagliato nella percezione e nella narrazione che qui in Italia ed in Europa abbiamo della Russia? Qual è stato secondo lei il “punto di non ritorno” che ci ha consegnati alla presente situazione?

Di giusto, sinceramente non tantissimo. L’immagine che vedo in Europa della Russia è sempre distorta, parziale, con un grosso faro sugli aspetti negativi di una realtà ricca di contrasti, puntato in maniera tale da nascondere tutte le cause e i fenomeni che hanno determinato la Russia e i Russi di oggi.

Noi Europei, si sa, soffriamo da sempre di “Eurocentrismo”: ecco, quando si ha a che fare con la Russia, il primo fondamentale errore che si commette è considerare la Russia come uno dei tanti paesi europei. La Russia non è Europa, (nel suo significato storico e culturale) e non lo è mai stata.

Da questo fraintendimento ne derivano molti altri. Era facile comprendere questo ai tempi dell’URSS, quando Mosca e dintorni erano un mondo completamente diverso dal nostro, ma dopo la caduta dell’Unione, e la rapidissima conversione occidentale e capitalista della neonata Federazione Russa, la distinzione è quasi scomparsa nel nostro immaginario, agevolata dalla rapida perdita di prestigio internazionale della Russia degli anni '90.

Il ventennio (per ora) di Putin ha invertito questo paradigma, rispolverando alcuni stilemi dell’epoca sovietica cui buona parte del popolo russo è ancora oggi assai legato. Di qui l’equivoco, che ha avuto il suo culmine, nonché il suo punto di non ritorno, durante la crisi scatenata dall’annessione della Crimea nel 2014.

Quanto della vecchia Unione Sovietica continua a vivere nella Russia odierna, in termini di ideologia, gestione del potere e “propensione a nascondere i problemi sotto il tappeto”? E quanto invece nella vita materiale delle persone?

Non si può parlare della Russia odierna escludendo Putin dall’equazione; figura centrale nella definizione della nuova identità che la Russia forse ancora sta cercando dal 1991. In questo processo, l’eredità sovietica si nota a più riprese. Putin stesso, scuola KGB, è un prodotto dell’URSS, e della sua politica internazionale, e nei suoi discorsi non fa assolutamente mistero di voler restaurare antichi principi adattati al nuovo mondo in cui opera oggi la Russia. Questo si nota in tanti aspetti, ma su tutti spicca nettamente la volontà di riposizionare la Russia ai vertici dell’Olimpo delle potenze mondiali, specialmente sotto il profilo militare. Ci sarebbe molto da dire a proposito, a partire da dettagli apparentemente marginali, come la restaurazione, all’inizio dell’era Putin, dello storico inno nazionale dell’URSS opportunamente svecchiato nel testo dallo stesso scrittore che ne scrisse il testo ai tempi di Stalin e Breznev (Sergey Vladimirovich Mikhalkov, ndr).

Oltre a questo particolare, i tratti distintivi della Russia odierna che sono in netta continuità con l’URSS sono una comunicazione istituzionale incentrata su un’orgogliosa appartenenza nazionale, sui valori storici e in generale una netta contrapposizione al blocco occidentale, in una sorta di riedizione 2.0 della Guerra Fredda. Tutto questo è stato peraltro sancito da alcuni degli emendamenti alla Costituzione appena votati nel referendum di fine giugno: priorità degli interessi nazionali sui trattati internazionali, enfasi sulle origini storiche del popolo russo, divieto di negoziazione territoriale (con buona pace di Crimea e isole Curili), divieto di revisionismo storico sui fatti della Grande Guerra Patriottica, e, a suggello finale, la consacrazione formale della Russia nel ruolo di legittima erede dell’URSS sul piano geopolitico.

Per quanto riguarda invece la vita materiale, non si più immaginare nulla di diverso tra la Russia di oggi e quella sovietica. Chi ha visitato Mosca negli anni '80 e ci torna oggi, a stento si accorge di essere nello stesso paese: la Russia di oggi è totalmente votata al capitalismo consumista di stampo occidentale, in cui il popolo si è tuffato a capofitto e senza cintura di sicurezza, persino più che in Occidente. Questo vale principalmente per le città, decisamente meno per la campagna, che da sempre in Russia è una realtà molto lontana da quella urbana, due mondi che soffrono tradizionalmente di una grande incomunicabilità reciproca. Laddove le metropoli principali russe tengono facilmente testa su ogni piano alle concorrenti occidentali (Londra, Parigi, New York), la campagna Russa assomiglia più a quella di un paese in via di sviluppo, pur non avendo comunque più nulla del passato sovietico.

Nella sua esperienza personale ha trovato maggior interesse e curiosità da parte degli europei nei confronti della Russia o da parte dei russi nei confronti dell'Europa?

Non c’è alcun dubbio che siamo di gran lunga noi Europei a essere più incuriositi dalla Russia di quanto non accada al contrario, e il motivo è molto semplice: noi di loro non sappiamo assolutamente nulla, loro di noi sanno molto di più e hanno un’immagine ben definita.

Ogni volta che alla domanda: “dove vivi?”, rispondo: “in Russia”, incontro nel mio interlocutore una faccia e uno sguardo quasi sconvolto, come se gli avessi detto che vivo su Marte. A quel punto, qualunque cosa il mio interlocutore stia facendo, tipicamente smette, sgrana gli occhi e inizia a riempirmi di domande, curiosità di ogni tipo, dalla politica alla vita quotidiana. Per contro, se a un Russo dico che sono Italiano, lui mediamente mi sorride, come se gli avessi dato una bella notizia, e inizia a cantare le lodi del “Bel Paese”, di quanto gli piacciono i film e la musica italiana, di quanto vorrebbe venire in vacanza da noi, ma mai nessuno che mi abbia mai chiesto nulla su come si vive in Italia, sulle diatribe tra Renzi, Salvini, Berlusconi e Di Maio, o cose simili.

C’è anche un altro motivo, più sottile, a tratti inconscio. Noi percepiamo la Russia come un grande paese, con un peso e una rilevanza ben superiore alla nostra, e in qualche modo sia che proviamo sentimenti di ammirazione o di odio, la guardiamo sempre dal basso verso l’alto. Loro percepiscono se stessi allo stesso modo, per cui agli occhi di un Russo medio l’Europa viene vista come un insieme di staterelli graziosi, simpatici, ottima meta per le vacanze, ma poco rilevanti. Molto più grande è l’interesse suscitato dalle altre grandi potenze, Cina e USA.

Nella “guerra mediatica” chi ha adottato l'approccio più aggressivo? Trova che sia più distorta l'immagine della Russia data dai media nostrani oppure l'immagine dell'Europa data dai media russi?

Su questo punto direi che entrambi gli schieramenti sono particolarmente faziosi, a tratti più noi, a tratti più loro, ma sommando i punteggi mi sentirei di descriverlo come un pareggio: così come in Europa tutto ciò che in Russia è negativo fa notizia e rimbalza su tutti i giornali, allo stesso modo in Russia si da grande spazio a tutte le notizie e le speculazioni che possano gettare ombra sull’Unione Europea.

La recente pandemia è stato un ottimo esempio, da questo punto di vista, un buon esercizio da fare sarebbe andare a leggere oggi le notizie dei primi giorni di Marzo che uscivano in Europa e quelle che uscivano in Russia. Da notare, in tal senso, l’arcinoto fenomeno tipicamente russo della comunicazione sotto traccia, le famose “fake news” diffuse via social e le “troll factories”, che però non toccano mai la comunicazione istituzionale, o le principali TV e giornali.

Dai tempi della crisi della Crimea, indubbiamente i toni del dibattito mediatico si sono inaspriti notevolmente, alimentati dallo scomodo terreno delle sanzioni. Ecco, il trattamento delle sanzioni alla Russia sui mezzi di informazione è il paradigma di questo scontro sul terreno dell’informazione: in Europa le sanzioni vengono spesso lodate e dipinte come assai efficaci a contenere la minaccia russa, mentre in Russia non solo vengono raccontate come qualcosa di inutile, ma addirittura come un favore ricevuto dall’UE, grazie al quale la Russia è stata costretta a imparare a produrre ciò che prima importava, rinforzando di fatto la propria economia.

A costo di scadere nelle frasi fatte, penso che la verità stia nel mezzo.

Quando si parla di Russia è inevitabile, prima o poi, parlare del presidente (già primo ministro) Vladimir Vladimirovich Putin. Ma chi è veramente Putin? Cosa rappresenta quest'uomo per i russi?

Chi è veramente Putin? Penso che lo sapremo tra qualche decennio, quando saranno evidenti i risultati nel lungo termine dell’impostazione che ha dato e sta dando al Paese.

Putin è senza dubbio il simbolo di questa “Terza Fase” della storia russa, dopo la fase imperiale il cui simbolo era Pietro il Grande, e quella sovietica incarnata da Stalin, ed è curioso notare come Putin somigli molto negli aspetti comunicativi e caratteriali a questi suoi due predecessori.

Putin è un personaggio estremamente interessante, una mosca bianca nel panorama dei grandi leader internazionali di oggi, sia in senso positivo (la sua cultura e la sua preparazione fanno spesso impallidire i suoi colleghi) che anche negativo: non dimentichiamoci che essere per 20 anni alla guida del paese più esteso del mondo, implica necessariamente dei lati oscuri, specialmente in una realtà dove il malaffare è così intrecciato alle sfere alte del potere, quale è la Russia post-sovietica.

Putin è stato per i russi una vera e propria salvezza: ha preso in mano il paese nel peggior momento della sua storia recente, i turbolenti anni '90 dove la Russia, oltre a essere una cenerentola sul piano internazionale, affrontava in poco tempo le conseguenze geopolitiche del crollo dell’URSS, una selvaggia corsa alle privatizzazioni che ha generato il triste fenomeno degli oligarchi, criminalità, povertà e caos diffusi in tutto il paese, guidato da uno Eltsin che in brevissimo tempo aveva bruciato l’immagine eroica acquisita durante il colpo di stato del 1991. Putin prende in mano il paese nel 2000, riesce a rimettere ordine, far crescere l’economia, migliorare il tenore di vita dei Russi e, soprattutto, restituire alla Russia quel ruolo di primo piano sullo scacchiere internazionale cui i Russi sono così tanto legati.

L’apice del consenso, che superò il 93%, ci fu all’indomani dell’annessione della Crimea, percepita dai Russi come un capolavoro strategico senza precedenti nella storia recente del paese.

In sintesi: agli occhi dei Russi, Putin rappresenta stabilità, forza, e la sovranità che producono il tanto ambito rispetto internazionale.

Putin oggi affronta un grosso calo nel consenso per via del susseguirsi di crisi economiche e valutarie (specialmente all’indomani delle sanzioni e oggi per via della pandemia) e per una crescente opposizione nelle città, che desiderano sempre di più uno stile di vita democratico-occidentale, ma parliamo pur sempre di un 60% di consenso nelle stime più basse. Non so quanti leader al mondo possano vantare numeri simili.

Quanto della popolarità di Putin è dovuto al genuino supporto che egli ha come statista e quanto è invece dovuto alla tradizionale propensione russa “all'obbedienza al capo”?

Anche qui si rischia di scadere nei luoghi comuni, ma la storia parla chiaro: la Russia è un paese che per struttura e geografia necessita di un leader forte, carismatico e autoritario. La Russia è un paese immenso, attraversa 11 fusi orari e al suo interno convivono decine e decine di etnie che non hanno letteralmente nulla a che fare tra loro, come tradizioni, cultura, e persino come lingua. I Russi, a ben vedere, sono solo una parte di questo enorme calderone multietnico che ancora oggi per certi versi ricorda gli imperi del mondo antico.

È impossibile governare un paese con queste caratteristiche senza una leadership forte, e in questo senso alla domanda rispondo che una cosa sfuma spesso dentro l’altra: ai Russi piace molto avere un leader autoritario, e una volta che lo riconoscono, sono ben felici di seguirne la guida. Nel caso di Putin, il suo ruolo nella politica internazionale agli occhi dei Russi è tale da giustificare tutte le enormi lacune di politica interna: la sensazione di sicurezza e protezione che Putin è in grado di trasmettere al suo popolo, spesso supera qualunque altro sentimento, specialmente lontano dalle grandi metropoli (che, a ben vedere, andrebbero considerate come stati a parte, avulsi da ciò che è la Russia nella sua reale estensione).

A cosa è dovuto l'apparente “amore” che i russi hanno per l'Italia? Pensa che la leadership politica italiana potrebbe ingegnarsi a trovare un modo per utilizzare tale “attrazione” come leva per tutelare i nostri interessi internazionali?

I Russi hanno da sempre amato l’Italia. Se si esclude la triste parentesi dell’invasione fascista del 1941-42 (in Russia con il termine “Fascisti” vengono considerati tutti gli invasori che presero parte all'Operazione Barbarossa a guida tedesca nel corso della Seconda Guerra Mondiale, ndr), la storia Russa è sempre legata da un sottile filo d’amore verso il nostro paese.

Qualche esempio al volo: sono Italiani gli architetti che hanno costruito il Cremlino, così come gran parte dei palazzi di San Pietroburgo. I massimi esponenti della letteratura russa amavano l’Italia e lo descrivevano come un luogo da sogno nelle loro opere, da Dostoevskij a Gogol, passando per Čechov.

Poi il cinema italiano, che ai tempi sovietici era tra le pochissime eccezioni di stampo occidentale ammesse dalla pesante censura. Stesso dicasi per la musica, specialmente l’immaginario che ruota intorno al festival di Sanremo.

Pensiamo poi ai rapporti tra la VAZ e la FIAT. Era italiano il partito comunista più grande d’Europa ai tempi dell’URSS, ed era in Italia che si trovava l’unico busto di Lenin da questo lato della “Cortina di Ferro”. E si potrebbero fare tanti esempi di questo tipo per ogni settore.

I Russi ci amano, e questo qualunque italiano che visiti la Russia può verificarlo con i propri occhi. Se però mettiamo in mezzo la politica, le cose si fanno decisamente più complicate in quanto oggi parlare di Russia significa voltare le spalle all’Unione Europea.

Non spetta a me dire cosa sia meglio, ma è ovvio che qualunque partito di stampo sovranista troverà nella Russia un forte sostenitore internazionale, e nell’UE il suo principale antagonista. Fin quando Russia e UE saranno due blocchi contrapposti come lo sono oggi, qualunque discorso di politica interna italiana dovrà prima di tutto considerare questo, cioè da quale delle due parti stare.

C’è chi sostiene che i nostri interessi siano meglio tutelati all’interno dell’UE, e chi sostiene che lo sarebbero molto di più se portassimo in casa nostra l’esempio della Brexit. Senza dimenticare il caso lampante dei rapporti Russia-Lega dell’anno scorso, lo abbiamo visto benissimo durante la pandemia, quando un breve accordo tra il nostro presidente del Consiglio e la Russia per ricevere aiuti medico/militari ha scatenato il panico tra le frange più europeiste e russofobe della politica e dell’opinione pubblica. Anche qui, ci troviamo davanti a uno scenario che ricorda una versione sbiadita, sfumata e meno nitida del bipartitismo storico italiano dove DC significava Occidente e America, e PC significava URSS e Comunismo.

Il mondo di oggi è confuso, non esistono più schieramenti così nitidi, la destra a volte diventa sinistra, e viceversa, ma il concetto di fondo è rimasto grossolanamente intatto.

Che futuro vedono i russi per il loro paese? Quale potrebbe essere secondo lei la traiettoria che la Russia prenderà nel prossimo futuro?

Come dicevo, la Russia è sempre stata caratterizzata da una forte incomunicabilità tra città e campagne, pertanto la risposta è diversa a seconda di quale Russia consideriamo. La Russia rurale non credo abbia grandi aspirazioni di cambiamento che vadano oltre un miglioramento dello standard di vita in termini di salari e pensioni: la mia percezione è che per loro l’orgoglio nazionale e patriottico prevalga su qualsiasi altro discorso. Diversa è invece la realtà urbana, specialmente in città come Mosca e ancora di più San Pietroburgo, dove la spinta verso una Russia più simile alle democrazie occidentali è sempre più forte, e anzi è accentuata dal ventennio putiniano, che sembra ora pronto a trasformarsi in un trentennio abbondante.

Mosca e San Pietroburgo sono città votate al turbocapitalismo nella sua espressione più alta, persino più che in Occidente, e i loro abitanti non saranno disposti a tollerare una Russia che fa un passo indietro rispetto a questa direzione: qualunque tentativo di isolamento della Russia rispetto al network commerciale e culturale stabilitosi in questi anni con il resto del mondo dovrà scontrarsi con questo muro, che appunto non esiste al di fuori delle grandi aree metropolitane.

Dal momento che la Russia è sempre stata un paese a forte trazione della propria capitale (ricordiamo il proverbiale “Moskva Gavarìt” di sovietica memoria) credo che sarà quest’ultima tendenza a prevalere nel lungo periodo, ma non è così scontato, la storia ci insegna che in Russia tutto può stravolgersi da un momento all’altro.

Per concludere volevo proporle 3 citazioni riguardanti la Russia. La prima è dello statista britannico Winston Churchill: “La Russia è un rebus avvolto in un mistero che sta dentro a un enigma”. La seconda è del politologo russo Vitaly Tretjakov: “Noi siamo troppo grandi e troppo russi per rinunciare al nostro ruolo nel mondo”. E l'ultima e di me medesimo: “La Russia è un impero. Comunque la si prenda e da qualunque angolo la si guardi, o la Russia viene interpretata attraverso la lente della sua identità imperiale o non la si comprenderà mai”. Quanto ciascuna di esse, secondo lei, rappresenta la “verità della Russia”?

Scelta difficile, tutte e tre le frasi rappresentano un aspetto della verità, ma dovendo scegliere, mi affiderei a Churchill, per il semplice fatto che la frase riportata è applicabile a tutto ciò che rappresenta la Russia e il popolo russo “in toto”, non limitatamente al suo ruolo internazionale e geopolitico. La Russia non è infatti solo Putin, parate militari, crisi diplomatiche e realtà politiche contrastanti: la Russia è fatta di persone, etnie, culture che si intrecciano come i fili di un’enorme matassa impossibile da districare, dove, per quanto uno si sforzi, non si riuscirà mai ad avere una visione di insieme soddisfacente, ma si potranno solo accumulare in serie visioni parziali, a volte totalmente in contrasto tra loro, ma che restano pur sempre parte di un’unica grande unità. È per questo che la Russia è così affascinante: non appena si ha la voglia o la fortuna di oltrepassare il muro dei pregiudizi o peggio ancora dei giudizi frettolosi, ciò che si presenta davanti agli occhi è un universo talmente multiforme che risulta davvero difficile a qualunque persona curiosa non subirne il magnetismo, ben consapevoli che non basterà una vita per venire a capo di questo rebus avvolto nel mistero dentro l’enigma… Dopotutto la Russia, come la vita, non è una destinazione, ma un viaggio vero e proprio.

Foto: Stefano Tiozzo