Israele e Palestina oltre il muro: viaggio nella zona grigia

(di Roberta Colombo)
30/01/25

Tra la sirena e il bombardamento c'è un attimo di silenzio infinito, sospeso, dove sembra che la vita continui imperterrita e indisturbata nella sua quotidianità. Il cielo è terso, nel silenzio dell'attesa si sentono gli uccellini cinguettare. E poi c'è l'angoscia e il panico di chi si nasconde sottoterra e sa che potrebbe non vivere mai più la banalità delle giornate.

Comprendere momenti come questo, piccoli tasselli all'interno della complessità del conflitto Israelo-palestinese, è difficile per chi sta dall'altra parte del mondo. Ma se a portarci attraverso il muro sono le fotografie e i video di qualcuno che da lì ci passato, possiamo avere l'occasione di avvicinarci un po' di più alla verità.

Dall'11 febbraio al 4 marzo 2025 presso la biblioteca civica Tartarotti, all’interno del complesso del museo di arte moderna e contemporanea “MART” di Rovereto verrà ospitata la mostra fotografica dal titolo "L'altra parte del muro: dal 7 ottobre alla guerra di Gaza" a cura di Nino Orto, giornalista freelance specializzato nell'analisi dell'Iraq, della Siria e delle guerre in Medio Oriente, fondatore di Osservatorio Mashrek.

Per l'occasione verrà anche proiettato un toccante documentario realizzato dallo stesso Orto durante il suo ultimo viaggio tra Israele e Palestina, terre che conosce ormai da anni: "Seguo da più di dieci anni il conflitto israelo-palestinese e nel corso di questo decennio ho avuto la fortuna, l'onere e l'onore di passare da una parte all'altra del muro senza problemi. Ho amici israeliani e palestinesi e nel tempo si è costruito un rapporto di fiducia che mi ha permesso di attraversare il muro e fare ciò che a loro è impossibile: riportare la realtà che si vive dall’altra parte senza costrizioni di sorta. Nasce così l'idea del titolo e della mostra."

Le immagini di Orto mirano ad accompagnare il pubblico oltre il muro, senza artificiose intermediazioni; anche la scelta degli scatti è stata spontanea: "Non c'è un preciso filo conduttore nella scelta delle fotografie se non quella di mostrare l’umanità e le sofferenze di entrambi i popoli. Nonostante la presenza del muro, vi è infatti anche la possibilità di attraversarlo e mostrare la connessione che nonostante tutto esiste e resiste tra israeliani e palestinesi. La mostra ruota attorno a questo."

Orto racconta di due popoli divisi, ma che vivono la medesima disperazione per un conflitto irrisolto.

E poi ci siamo noi – continua Orto - bombardati da informazioni e notizie che ci portano ad una percezione delle cose drasticamente rigida: o bianco o nero; una visione del conflitto più digeribile ma inevitabilmente incapace di darci una visione realistica e completa della faccenda.

C'è da chiedersi quanto sappiamo davvero di questo conflitto che oggi sembra "a portata di click e di piazza". Cosa ne pensa?

In guerra ci sono tante gradazioni di grigio, non è tutto bianco e nero: quella di oggi è una visione semplificata per rendere le cose più comprensibili al mainstream. Ma il conflitto tra Israele e Palestina è davvero complesso. Per questo la mostra vuole essere al di fuori degli schemi giornalistici… per lasciare che il pubblico possa farsi una propria idea della situazione.

Già far comprendere che esiste una zona grigia è qualcosa. Aiuta a capire che le dinamiche sono più complesse di come appaiono. Può fare qualche esempio di questa complessità? Qualcosa che ha compreso solo vivendo questa situazione da vicino?

La parte israeliana, ad esempio, molte volte è sottorappresentata o descritta semplicemente in relazione al conflitto con i palestinesi… spesso non viene data importanza alla sofferenza degli israeliani, ma anche loro convivono giornalmente con attacchi che minano la loro incolumità.

Poi c'è il pericolo della stereotipizzazione: Israele è una nazione molto complessa e sfaccettata, difficile da inquadrare. Lo stesso vale per la struttura sociale e politica palestinese: un palestinese che abita a Ramallah avrà una visione diversa del conflitto rispetto a chi vive a Jenin o Nablus. Per questo il conflitto è difficile da narrare ad un'audience generalista, il rischio è quello dello schieramento.

Sempre per la nostra visione occidentale del bianco e nero… un'illusione di controllo su eventi complessi…

All'interno di queste regioni non c'è quasi mai il buono o il cattivo; il vincitore e il vinto. Spesso c'è “l’Occidente” che analizza contesti culturali differenti attraverso la propria lente, come accade spesso in Medio Oriente ed altrove.

Qual è la sensazione che ha avuto, rispetto alla percezione del conflitto, da parte delle persone che ha incontrato sul fronte palestinese?

La percezione generale è quella di una resistenza ad oltranza e di presidio del territorio. Sembra una presa di posizione scollegata dalla realtà, ma è un concetto alla base di qualsiasi istanza politica palestinese. Qualsiasi autorità in carica ha applicato e continua ad applicare questo concetto. Se un governo palestinese accettasse Israele, non resterebbe in carica a lungo perché la popolazione non lo accetterebbe. Chiaramente molti palestinesi vorrebbero la pace e molti di loro, nel profondo, scenderebbero a patti pur di vivere senza conflitto. Tuttavia, la diffidenza ed il risentimento sono ormai così radicati in entrambe che è difficile trovare un incontro tra le anime moderate. Soprattutto dopo il 7 ottobre e la conseguente offensiva su Gaza, anche i più moderati si sono distanziati. Anche se i semi del dialogo ci sono ancora e non sono totalmente scomparsi…

È difficile rimanere nella zona grigia e accettare una verità più sfaccettata. Oggi basta poco per confermare una tesi piuttosto che un'altra: un video montato in un certo modo, un dettaglio in più o in meno, e le cose cambiano.

Per questo motivo nel breve documentario che verrà proiettato durante la mostra ho inserito delle clip di quello che ho vissuto in prima persona; il montaggio è minimo perché vuole essere diretto. Vuole accompagnare lo spettatore senza intermediazione. Spero di riuscire ad evidenziare questi punti grigi ma anche la vicinanza alla popolazione.

Semi di dialogo e di tregua. Ci crede in questo "cessate il fuoco" e alle rassicurazioni del Presidente Trump?

Trump è imprevedibile e molto spesso si approccia alla politica estera con una mentalità "out of the box". Ma c'è il rischio di illudersi. La politica della "carota e del bastone" fatica a funzionare in questo contesto. L'ultima proposta è quella di rilocare un milione e mezzo di gazawi in Egitto e Giordania. Questo suggerisce che si non conosca molto il contesto geopolitico o che non lo si voglia capire. Dopo il 7 ottobre per entrambe le parti non è più solo una questione politica, ma un conflitto esistenziale. Gli israeliani dopo il 7 Ottobre si sono trovati nudi di fronte ad una minaccia diretta alla propria esistenza come nazione. Allo stesso modo, i palestinesi si rendono ormai conto di non possedere una leadership forte ed unita che possa rappresentarli veramente e neanche degli alleati regionali pronti a sostenerli a livello internazionale. Quindi anche per loro è questione di sopravvivenza. Bisogna tenere conto di questi elementi per una tregua sostenibile e duratura.

C'è un episodio o un momento significativo della sua esperienza che ha contribuito all'idea della mostra?

Ho un amico israeliano ed uno palestinese che vivono in due città che distano l’una dall’altra appena 9 chilometri in linea d’aria ma che sono separate dal muro. Per passare da una parte all’altra ci ho messo ben otto ore, perché bisogna fare ovviamente un giro alternativo. Questo lungo passaggio è stato non solo fisico ma qualcosa che tocca molte più corde dell’animo umano. È difficile da spiegare a parole.

Questa distanza rappresentata dal muro si sta allargando sempre di più, così come la percezione di estraneità verso l'altro. Nonostante entrambe le parti riconoscano che esiste qualcosa di buono nell’altro, non lo possono ammettere. Non più.

Non possono per una questione di principio o perché chi comanda non può accettarlo?

Entrambe le cose. Dal punto di vista palestinese accettare la presenza di Israele significa essere considerati dei traditori, significa voler giustificare e normalizzare l’occupazione.

Da parte israeliana, soprattutto dopo il 7 Ottobre, qualsiasi opinione che empatizzi con la compagine palestinese viene stigmatizzata e fortemente criticata.

A livello umano è quindi una situazione complessa anche per chi vive in prima persona il conflitto. A suo parere, crede che le posizioni nette prese da chi oggi manifesta nelle nostre piazze abbiano un fondo di consapevolezza?

Il conflitto israelo-palestinese è uno dei più complessi della storia perché ci sono istanze politiche, religiose, interreligiose, storiche… Quindi credo ci sia molta confusione: noi europei vediamo quello che accade in Medio Oriente in maniera molto diversa da quello che vede un palestinese o un israeliano.

Il resto del mondo dovrebbe restarne fuori?

Credo che i due attori principali dovrebbero arrivare a discutere tra di loro senza l'intromissione di terzi… Paesi come Turchia, Iran, USA, Unione Europea influenzano inevitabilmente le parti.

C'è ormai poco di "locale" in questo conflitto. Ma i punti di contatto, anche se sepolti da reciproca diffidenza, ci sono. Andrebbero solo coltivati.

Foto: Nino Orto