Intervista al presidente Comitato Specificità Personale Civile Difesa: "non si può far finta che 26.000 persone non esistano"

(di Andrea Cucco)
25/01/19

La dott.ssa Filomena Crafa è il presidente del “Comitato per la Specificità del Personale Civile della Difesa”, gruppo portatore di interessi diffusi e promotore di un’azione volontaria di richiesta di passaggio dal regime privatistico del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro Comparto Funzioni Centrali, al regime di diritto pubblico, transitando così nella categoria di personale cosiddetto “specifico”.

Per “Specificità”, come previsto dall’art. 3 del D. Lgs. 165/2001, si intende personale con contratto di diritto pubblico operante in settori particolari dello Stato e quindi non solo personale militare ma anche altre particolari categorie non ingabbiate nei contratti collettivi che sono di natura privatistica.

Dott.ssa Crafa, abbiamo già pubblicato una sua lettera il 28 settembre 2018 (v.link) in merito all’argomento, ci sono stati sviluppi?

Innanzitutto la ringraziamo per lo spazio dedicatoci, allo stato attuale non ci sono sviluppi positivi. Il Comitato, ad oggi, ha già inviato circa 3.800 adesioni di richieste spontanee al ministro della Difesa da parte dei dipendenti, mettendo per conoscenza le Organizzazioni Sindacali rappresentative della Difesa. Continuano a pervenire altre nuove adesioni che invieremo a breve. Come potrà immaginare, per ogni adesione “senza loghi” di dipendenti che chiedono direttamente al proprio ministro (già da marzo 2017 con Pinotti), ci sono almeno 5 colleghi che vorrebbero farlo ma sono inibiti perché ci vuole anche “coraggio” a scrivere direttamente al ministro. Quando 3.800 persone su circa 26.000 trovano spontaneamente questo coraggio vuol dire che si sta vivendo una reale situazione di disagio in merito alle criticità presenti nel contesto lavorativo. Purtroppo ci sentiamo “ingessati, sottomessi ed ospiti”.

Può spiegare ai lettori a quali criticità fa riferimento?

Le criticità presenti sono sia di natura economica sia di natura giuridica. Il personale civile del Dicastero Difesa nel 2016 è stato certificato, da un apposito gruppo di lavoro istituito dal ministro Pinotti, come il più povero del Comparto, con un gap economico che si aggira intorno al 30% in meno rispetto ad altri dipendenti pubblici e ai militari non operativi, pur svolgendo lo stesso lavoro; la soluzione concordata tra l’allora ministro Pinotti e le rappresentanze sindacali maggioritarie della Difesa non solo non è stata risolutiva ma ha fatto sì che tale divario economico, invece di ridursi, è aumentato se paragonati ai dipendenti del nuovo Comparto Funzioni Centrali. Inoltre abbiamo casi eclatanti di funzionari laureati/specializzati a capo di elementi organizzativi con alle proprie dipendenze personale civile ex militare nonché personale militare che percepisce un trattamento economico di gran lunga maggiore e, nel caso specifico di quest’ultimo, anche con tutele differenti (giorni di ferie ed altro).

Non si potrebbero risolvere le criticità economiche con l’attuale contrattazione nazionale?

In merito alla contrattazione nazionale, l’accorpamento di più soggetti, suddivisi in Comparti (per gli anni 2016‐2018 si è passati da Comparto Ministeri a Comparto Funzioni Centrali), non fa sperare positivamente su una omogeneizzazione dei trattamenti economici come ha dimostrato l’Accordo del 5 aprile 2017. Di fatto già nel CCNL – Comparto Ministeri 2002/2005, l’art. 22 prevedeva l’avvio di un processo di equiparazione dell’indennità di amministrazione a quella prevista per gli altri Dicasteri, ma tale norma è rimasta del tutto disattesa. Ciò posto, l’unica possibilità di avere un pieno riconoscimento della “specificità professionale” del personale civile dell’A.D. è proprio il passaggio al “regime pubblico”.

E le criticità giuridiche?

Siamo ormai privati del prestigio e della dignità professionale e mi riferisco in primis ai circa 1.800 dipendenti della Prima Area Funzionale; al transito di personale non idoneo al servizio militare, che dal grado di primo maresciallo passa ai ruoli civili con profilo professionale di Funzionario persino con il solo titolo di studio di Licenza Media Inferiore, in pieno contrasto con quanto stabilito dalle norme che stabiliscono l’accesso dall’esterno con il possesso della laurea; è già successo infatti di trovarli a capo di elementi di organizzazione con funzionari laureati alle proprie dirette dipendenze. Questo per effetto del riordino delle carriere del personale militare fortemente voluto dai precedenti Governi che ha portato tra l’altro, da gennaio 2018, alla nomina di oltre 10.000 dirigenti esclusivamente militari a partire dal grado di maggiore, con notevole squilibrio di competenze, se consideriamo che il limite massimo imposto dal CCNL per la Difesa è di circa 108 dirigenti civili e che il personale civile è nelle stesse Tabelle Organiche con il personale militare.

Un lento e graduale assedio?

Un lento assedio che, se non si interverrà in tempo, determinerà la scomparsa della dirigenza e dei quadri civili veri e propri e delle competenze amministrative necessarie allo svolgimento di funzioni che verrebbero invece svolte da personale con formazione tecnica operativa per lo status di militare.

Disparità di trattamento?

Più che disparità di trattamento parlerei di disattenzione e sottovalutazione dell’apporto considerevole che invece il personale civile dà quotidianamente per la realizzazione degli obiettivi della Difesa. Abbiamo vinto delle battaglie ma abbiamo perso tutte le guerre. Chi ci ha rappresentato finora forse poteva fare di più ed appiattire di meno e soprattutto non farci sentire ospiti a casa nostra. Come? Ampliando il ventaglio di richieste e qualificandole in quantità e qualità nell’interesse dell’amministrazione in primis, di tutti i dipendenti e di tutti i profili aldilà degli interessi di parte e/o corporazione. I funzionari, ad esempio, ma come del resto il personale di 1^ Area, non sono mai stati rappresentati degnamente e spesso ignorati e oggi succede che, con il riordino, siano i primi a subire gli effetti degli errori commessi dalle rappresentanze maggioritarie e dall’Amministrazione, appunto per disattenzione e sottovalutazione; non hanno infatti condiviso l’obiettivo di far sì che personale civile e personale militare fossero un’entità unica, ognuno con le proprie peculiarità e diversità ma con pari trattamento aldilà dei regimi contrattuali diversi che hanno invece accentuato le disparità.

Quando parla di “appiattire” a cosa si riferisce?

È stata fatta una politica di appiattimento per il personale civile con la “stagione delle piogge” continue che il più delle volte ha mortificato e mortifica le professionalità a sfavore della tanto sventolata meritocrazia ed a favore del “tutto a tutti”, che tanto consenso procura. Vogliamo parlare di come il personale civile progredisce in carriera? Tenendo ben presente che questa possibilità è di fatto negata al personale di 1^ Area, gli accordi portano a criteri di valutazione non certo meritocratici. Ad esempio la formazione, cavallo di battaglia della dignità e della valorizzazione del lavoro pubblico come qualificazione ed aggiornamento delle professionalità, non è oggetto dei criteri di valutazione definiti utili per le progressioni in carriera e ci riferiamo ai corsi di alta specializzazione (ISSMI, corsi SNA, etc…) che non hanno ritorno di investimento, visto che il personale non ha alcuna possibilità di carriera e viene impiegato senza alcuna valorizzazione a differenza di ciò che succede per il personale militare. La frequenza di questi corsi comporta sacrificio per il personale costretto a trasferte perché organizzati quasi sempre fuori sede ed oneri economici considerevoli a carico dell’Amministrazione. Alla fine questo investimento appare fallimentare perché non è titolo utile né per lo sviluppo della carriera nè per l’attività lavorativa svolta se si è sottoimpiegati e soprattutto quando l’interlocutore, sovraordinato e/o dirigente, non ha pari formazione. Comunque un danno se alla formazione non seguono le adeguate e naturali conseguenze. È, inoltre, quantomeno singolare che non sia oggetto di valutazione lo svolgimento di incarichi al pari dell’anzianità.

Il transito al regime pubblico pensa che possa essere risolutivo delle problematiche e non potrebbe significare invece la militarizzazione del Personale Civile della Difesa?

Noi crediamo di sì! L’inquadramento del lavoro nel CCNL Comparto Funzioni Centrali non appare corretto perché i dipendenti in questione, a differenza dei colleghi degli altri ministeri, sono soggetti a molte delle normative e restrizioni degli ambienti riservati e apportano, direttamente o meno, il loro contributo alla Difesa Nazionale, alla Pace e Sicurezza Internazionale, rappresentando, oggi più che mai, una porzione importante dell’organico delle Forze Armate, senza la quale il completo e multiforme compimento della missione istituzionale di detto Dicastero (pratiche amministrative e tecniche, negoziazione, supporto e supervisione/condotta rispettivamente di attività cinetiche e non etc.), non sarebbe forse così proficuamente raggiungibile. Mi fermo per non tediare i lettori…. Per quanto invece riguarda la possibilità di militarizzazione lo escludiamo in maniera assoluta. Attualmente l’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche (ivi compreso il personale civile del Ministero della Difesa) è disciplinato dal D. Lgs. 165/2001. In deroga al predetto decreto legislativo rimangono disciplinati dai propri ordinamenti, e quindi in regime pubblico, una serie di dipendenti pubblici caratterizzati da uno status giuridico particolare avente riflesso sulla stessa Carta Costituzionale (ad esempio forze armate e forze di polizia, magistrati, avvocati dello Stato, prefetti, diplomatici, vigili del fuoco e professori universitari, ma anche i dipendenti della Banca d’Italia, della Consob, dell’Antitrust e delle altre autorità amministrative indipendenti, dirigenti del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ecc.). Come si può evincere dall’elenco del personale già in regime pubblico, non si tratta soltanto di personale militare ma anche di personale civile di altre amministrazioni. Di conseguenza, nel caso di passaggio allo stesso regime del personale civile della Difesa, risulta quantomeno inopportuno utilizzare la dicitura “militarizzazione”.

Con il transito in regime pubblico cosa cambierebbe in termini di impiego e mobilità?

Il principio secondo il quale il dipendente viene impiegato in funzione delle mansioni del profilo/qualifica, non viene intaccato. Il problema potrebbe essere rappresentato dalla mobilità d’ufficio, ma del resto già la vigente normativa, prevede il trasferimento per esigenze di servizio presso sedi della stessa amministrazione ovvero, qualora non possibile, la ricollocazione presso altre amministrazioni, in ambedue i casi nell’ambito della medesima Regione. La disciplina di altri settori in “regime pubblico” prevede, comunque, che le esigenze siano motivate, tenendo, inoltre, conto delle condizioni della famiglia e di eventuali necessità di studio del dipendente stesso o dei figli. La normativa attualmente in vigore (D. Lgs. 165/2001) prevede già la riduzione della concertazione sindacale nei processi di reimpiego del personale. È, inoltre, pure già prevista la messa in disponibilità in caso di mancata utile collocazione del personale da reimpiegare, fino alla successiva risoluzione del rapporto di lavoro (vedasi artt. 33 e 34 del D. Lgs. 165/2001).

In merito al trattamento economico e alle relazioni sindacali?

Transitando in “regime pubblico” gli aumenti stipendiali sarebbero stabiliti con legge e potrebbero essere previsti quegli automatismi stipendiali aboliti del D. Lgs. 29/1992 (cosiddetta privatizzazione), ma ancora in essere per alcune categorie del pubblico impiego. Non sembrerebbero intaccati i diritti e le prerogative sindacali, poiché non può essere esclusa l’applicazione della legge 300/1970 (Statuto dei Lavoratori). Tale testo legislativo, è, ad esempio, esplicitamente richiamato nell’art. 137 del D. Lgs. 217/2005 (ordinamento del personale dei Vigili del Fuoco).

Ci sono rimostranze nei confronti del personale militare?

Assolutamente no. Ci sono rimostranze verso chi non affronti il problema ovvero chi non ritenga che sia indispensabile un serio esame della problematica affrontandola e ricercando soluzioni possibili affinché si possa parlare di “Personale della Difesa” come una forza integrata formata da militari e civili che concorrono alla missione e visione comune nel rispetto delle proprie peculiarità, ruoli, competenze, pari opportunità e diritti maturati, evitando, come sta accadendo da gennaio 2018, uno “schiacciamento funzionale” della componente civile. Inoltre servirebbe una giusta integrazione anche con il personale militare che transita nei ruoli civili che viene etichettato come “transitato”; questa situazione va risolta perché, allo stato attuale, crea solo inutili climi di tensione negli ambienti di lavoro che logorano ed inveleniscono i rapporti. Per quanto ci riguarda il personale civile (“puro” e transitato) va considerato senza differenze, perché siamo tutti parte della “Famiglia della Difesa” e non “ospiti” del personale militare.

Prima di salutarla le vorrei chiedere per quale motivo nella risposta alla prima domanda ha utilizzato la parola “ingessati”?

Ingessati perché impossibilitati a far sentire la nostra voce. Su circa 26.000 dipendenti civili della Difesa, solo 1/3 del personale è iscritto a sigle sindacali che partecipano di diritto ai tavoli di confronto come la legge prevede. Alla luce dei numeri rappresenterebbero una minoranza. I comunicati delle rappresentanze CGIL, CISL, UIL, UNSA e FLP, fornito al personale in occasione dell’ultimo incontro avuto con il ministro Trenta il 15 gennaio scorso, non accennava, tra gli argomenti oggetto di discussione, a quello sulla “specificità”. “Specificità” che invece compare nei comunicati di Confintesa e USB. Tale circostanza è stata resa nota proprio dallo stesso ministro in occasione della sua ultima visita agli Enti di Augusta, in risposta ad apposito quesito da parte di una collega. Il ministro infatti ha chiaramente detto di essere disponibile a lavorare sul tema e che nella riunione del 15 ha chiesto ai sindacati presenti di cercare una posizione condivisa sul termine “Specificità”. I dipendenti continuano a non essere adeguatamente informati dalle rappresentanze sindacali e le notizie si hanno grazie ai social, come è avvenuto nel caso di Augusta. Avremmo continuato a pensare, sbagliando, che il ministro non avesse in agenda questa sentita problematica. A questo punto ed in queste condizioni sarebbero utili delle dirette streaming di queste riunioni tra il ministro e i sindacati per trasparenza e diritto di partecipazione indiretta. Qualcuno vorrebbe forse dare alla parola “Specificità” un significato diverso dal transito in regime di “diritto pubblico”? Vorremmo una risposta a questa domanda soprattutto da chi, in quelle rappresentanze, gode di tale regime ma ne ostacola la realizzazione per gli altri. In una situazione così critica per il personale in servizio non si possono considerare prioritarie le assunzioni e far finta che 26.000 persone non esistano, certo le assunzioni sono necessarie ma solo dopo aver messo ordine all’attuale situazione, con la risoluzione delle criticità di cui abbiamo parlato. Il personale che ha aderito e che sta aderendo all’iniziativa del Comitato chiede esclusivamente rispetto per la propria professionalità in qualità di professionisti della Difesa, perché sarebbe l’ora di dire basta agli accordi a svendere, si chiede un “Evento Epocale” risolutivo delle problematiche presenti accumulate negli anni. Speriamo fiduciosi che il ministro Trenta dia ascolto alle dirette richieste del personale e voglia incontrare il Comitato per la Specificità del Personale Civile della Difesa, rendendosi promotore di una vero e proprio cambiamento, il cui percorso, finora è stato reso paludoso da chi ostacola questo passaggio.