Intervista al colonnello dei Lagunari Massimiliano Stecca: "Abbiamo portato la pace a Tytan"

(di Francesco Bergamo)
28/10/16

Il tentativo di presa della centrale elettrica di Tytan da parte dei miliziani non è andato a buon fine. Subito dopo la risoluzione Onu, i Lagunari del Reggimento Serenissima sono sbarcati e hanno messo in fuga i Miliziani. Questi, però, hanno creato non pochi problemi: hanno fatto saltare una parte dell'argine del Pon (il Po) inondando la campagna di Tytan. I lagunari, assieme alla Protezione Civile Alta e alle strutture del Comune di Porto Tolle hanno subito prestato soccorso alla popolazione. Gommoni, mezzi da sbarco, elicotteri e mezzi articolati hanno portato in salvo la popolazione.

Si chiude così, dopo 10 giorni, la prima esercitazione federata svolta sul territorio della foce del Po dai Lagunari e dall'Associazione A.L.T.A. (Associazione Lagunari Truppe Anfibie). Per avere un bilancio a tutto tondo dell'avvenimento, Difesa Online intervista il colonnello dei Lagunari Massimiliano Stecca, colui che assieme al generale di divisione in quiescenza Luigi Chiapperini ha lavorato alla realizzazione dell'innovativa esercitazione. L'ufficiale superiore mi riceve nel suo ufficio. Gentile e distinto, incarna benissimo il suo ruolo. Si avvicina a passo sicuro. Ci presentiamo. L'impressione è ottima.

Colonnello, l'esercitazione Delta 2016, la prima federata, che sviluppi ha avuto e cosa prevede per il futuro?

«Correttamente lei l'ha definita la prima esercitazione federata tra Reggimento  Lagunari, associazioni ex militari (A.L.T.A.) e alcune unità dell'esercito italiano. Si è svolta nell'arco di dieci giorni. Ha iniziato l'A.L.T.A, nel primo fine settimana, occupando, come miliziani, due punti strategici: il faro e la centrale elettrica della foce del Po di Polesine Camerini a Porto Tolle. Hanno simulato e creato limitazioni alla popolazione locale, ricreando perfettamente la realtà. Subito dopo c'è stata la risoluzione dell'Onu e l'autorizzazione allo schieramento del Reggimento Lagunari. Per la prima volta, per noi, abbiamo realizzato una manovra coast to coast senza il supporto di una nave. In questo caso la manovra è consistita  in 50 miglia nautiche di navigazione con i mezzi da sbarco, AAV7 (cingolati) più unità natanti. Abbiamo riconquistato il faro e la centrale elettrica allontanando i miliziani e abbiamo anche tenuto sotto controllo l'area. Una volta assolta la missione c'è stato il ripiegamento. Dopo c'è stata la simulazione d'intervento con la Protezione Civile A.L.T.A., gli uomini preposti del Comune di Porto Tolle e i civili. Lo scenario era quello di una inondazione dovuta agli argini del Po fatti saltare da parte dei miliziani in ritirata. Le strutture sopraddette sono poi intervenute nelle operazioni di soccorso».

Lei ha detto che hanno navigato per  50 miglia nautiche con i mezzi da sbarco. Generalmente, però, i Lagunari escono da una nave e navigano fino alla costa. Sbaglio?

«No, non sbaglia affatto. Comunque impieghiamo diversi tipi di intervento. Quella che lei ha detto è in effetti la più usata: una nave ci porta fino a 8/10 miglia nautiche al massimo dalla costa. I mezzi escono dalla nave e puntano diretti alla costa. Da spiaggia a spiaggia, come in questo caso, ci sono problematiche diverse: autonomia e tappe intermedie. In questo caso la navigazione è durata due giorni e una notte. È stato fatto un bivacco e la navigazione è avvenuta con condizioni meteo veramente avverse». 

Quanti uomini sono stati impiegati?

«120 lagunari, 10 uomini del 3° reggimento genio guastatori di Udine e 10 uomini del 17° reggimento artiglieria contraerea Sforzesca di Sabaudia ».

Questa cooperazione, che voi chiamate federata, con i genieri e gli artiglieri c'è già stata in passato?

«L'Esercito ha individuato già da tempo dei supporti alle nostre attività anfibie. Abbiamo già lavorato spesso con il 17° e con il 3°».

Come hanno reagito i civili che si sono visti movimentare il loro tranquillo tran-tran? È stata una esperienza positiva?

«Ah, guardi, mi permetta una battuta: giocavamo in casa!»

Scusi, colonnello, perché?

«Storicamente quell'area è sempre stata un forte bacino di uomini per il Reggimento. Inoltre, proprio i Lagunari hanno prestato soccorso durante la grande inondazione. L'esercitazione era anche una forma di commemorazione a quella ricorrenza. Al di là dell'aspetto affettivo, però, possiamo dire positivamente. Tenga presente comunque che la cittadinanza era stata preparata con una pubblicità celebrativa del 50° anno da quel triste evento».

Insomma, è andata benissimo.

«Sì. Perché abbiamo anche appreso molto. Il nostro scopo era di testare la capacità della popolazione e la nostra capacità di intervento come Reggimento mai sperimentato in questa maniera. Abbiamo sempre fatto piccole attività puntuali, ma scollegate da quelle della Protezione Civile. Nulla però della portata dell'esercitazione Delta 2016. Questa volta l'attività ha fatto percepire alla popolazione la concretezza e la bontà di una azione federata».

Si presume che per il futuro si possa replicare, allora?

«Noi auspichiamo che ciò avvenga ancora. Vede, è stato utile per noi, oltre per la parte militare, anche per capire come approcciarsi alle difficoltà reali e non solo sulla carta. Perché attività che si interfacciano, strutture gerarchiche, soprattutto in ambito civile, che non sono chiare perché sovrapposte hanno effetti devastanti in situazioni reali. E se non si capisce come sia la catena di comando e le relative competenze, pensi le difficoltà alle quali si va incontro. Diciamo che con il Delta 2016 molte cose le abbiamo rilevate, studiate e trovato la soluzione. È stato un inizio positivo».

I suoi uomini come hanno reagito trovando un uomo armato e vigile che controllava un ponte?  psicologicamente ha un altro impatto sul lagunare in azione. Non le sembra?

«Certo. Verissimo. Non abbiamo avuto contatto pieno, ma l'impatto c'è stato. Però è altrettanto vero che i nostri RECON, gli esploratori, li abbiamo fatti arrivare nell'area dell'operazione con due giorni di anticipo e li avevano tutti sotto controllo. Pensi che per due giorni e due notti i RECON erano sul posto e sorvegliavano i miliziani che erano in attività. È stato un lavoro perfetto: hanno rilevato orari, spostamenti, postazioni fisse, armamenti, accampamenti e anche il loro livello di addestramento in base a come si muovevano. Tutto questo senza che loro se ne accorgessero. Tutte le informazioni le passavano alla parte combat. E quando i combat sono arrivati sugli obiettivi già sapevano tutto. Per i miliziani sarebbe stato un punto d'onore individuare un RECON, ma non è successo».

Colonnello, lei mi sta dicendo che i RECON sono arrivati prima. Ma come hanno fatto?

«Appena saputo della crisi li abbiamo subito inviati con un gommone a chiglia rigida dotato di potentissimi motori. Sono sbarcati al largo e poi a nuoto  fino alla costa. Si muovono sempre in coppia, ma il numero delle coppie è variabile in base all'impiego. Ma lei lo sa che hanno attraversato il Po a nuoto di notte?»

Veramente no!

«Sì. Sono uomini eccezionali: hanno nuotato con tutto l'equipaggiamento. Parliamo di circa 40 chilogrammi di attrezzatura varia: zaino e armi. L'inserzione è stata perfetta. Pensi che tra loro c'era anche un ufficiale argentino delle truppe da sbarco. Fa parte dello scambio “culturale” tra FFAA di nazionalità diverse».

E poi, il loro compito finisce così?

«No, assolutamente. Dopo hanno fatto da guida ai loro compagni quando sono arrivati di notte».

Ringrazio il colonnello e mi avvio verso l'uscita del suo ufficio. Una volta fuori, mi viene spontanea una domanda: chissà se i RECON hanno rilevato sul campo anche i miei movimenti?!

(foto: Esercito Italiano)