Il futuro del CARA di Mineo. Intervista al presidente della Commissione DIfesa della Camera, on. Rizzo

(di David Rossi)
02/04/19

Mineo è un ameno comune italiano della provincia di Catania in Sicilia, situato su alcune colline alle pendici nord-occidentali dei monti Iblei. Soprattutto, con i suoi appena 5.000 abitanti, è… angosciosamente lontano da tutti i centri abitati che non siano dei borghi isolati: 13 km da Palagonia, 23 km da Caltagirone, 54 km da Gela, 57 km da Ragusa e ben 63 km dal suo capolugo, Catania. Ben 35 sono i km di distanza dalla Naval Air Station di Sigonella: eppure, alla fine degli anni Novanta i nostri geniali politici ebbero la bella idea di alloggiarci le famiglie dei militari americani, che immaginiamo entusiaste di trasferirsi in mezzo al nulla. Ci perdonino i “minioli”, ma il loro bel paesino - dove è sorto il Residence degli Aranci per accogliere gli ospiti statunitensi - nel 2011 ha visto gli ospiti a stelle e strisce trasferirsi “verso lidi migliori, verso aree più gradevoli dal punto di vista paesaggistico e naturale e meno distanti dallo scalo aeroportuale, come scrisse la stampa all’epoca.

Questa premessa “logistica” è importante, perché la scelta della mega struttura come sede di un C.A.R.A. (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) nasce solo dall’esigenza di posizionarlo il più lontano possibile da tutto. Insomma, di trarre il massimo vantaggio da una situazione logistica a dir poco infelice. Invitiamo il lettore a tenere in mente questa premessa durante la lettura dell’intervista all’on. Gianluca Rizzo, presidente della Commissione Difesa della Camera.

Partiamo da una premessa: il 15 febbraio 2011 l'allora Ministro dell'Interno, il leghista Roberto Maroni, durante una conferenza stampa tenuta nella Prefettura di Catania, annuncia l'idea del Governo di ospitare a Mineo (un paesino di 5172 abitanti sulle pendici dei monti Iblei, in provincia di Catania) tutti i richiedenti asilo sparsi sul territorio nazionale. C.A.R.A. è infatti l'acronimo di Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo. La struttura scelta era il “Residence degli Aranci” di Mineo: 404 unità abitative di proprietà della “Pizzarotti Parma” che ha ospitato un centro militare USA fino al dicembre del 2010, anno in cui il Dipartimento della Marina Militare USA ha revocato il contratto di locazione. Il Residence degli Aranci appartiene sempre alla Pizzarotti Parma, che ricordiamo essere una delle imprese di costruzioni più grandi d’Europa e con interessi anche nel così detto progetto TAV Torino Linea? Indipendentemente da chi esso sia, vi siete consultati con il proprietario di questa struttura?

Fermo restando che è anche interesse della proprietà mettere a frutto l’ex villaggio devo precisare che non spetta a noi parlamentari contattare il proprietario della struttura. Noi avanziamo una proposta la cui fattibilità è in capo al Governo. Intanto però abbiamo smosso le acquee, costretto tutti ad una discussione pubblica sul destino di quell’area e sull’importanza che può rivestire per il rilancio del nostro territorio. Se vi sono altre proposte, più cogenti e migliori della nostra, ben vengano. L’importante è che si faccia l’interesse pubblico. D’altronde la stessa Pizzarotti‐Parma, e noi lo riportiamo nell’interrogazione, ha fatto balenare la possibilità di disfarsi e di abbattere la struttura. Se questo avvenisse senza una riconversione o riutilizzo sarebbe un impoverimento per tutto il territorio.

Le cronache ci riportano che una cinquantina di parlamentai del M5S ha proposto di “trasformare l’attuale CARA di Mineo in un polo addestrativo e di formazione per le forze armate, le forze dell’ordine, la protezione civile e i vigili del fuoco sia per la cooperazione militare che per iniziative di peacekeeping”. Avete fatto uno studio di fattibilità di questo progetto, compresa la sua sostenibilità finanziaria in tutte le fasi dalla realizzazione all’operatività? Se sì, potrebbe descrivercelo? Se no, ci potrebbe spiegare come il progetto sia tecnicamente fattibile e finanziariamente sostenibile?

Come ho già detto, il nostro non è un progetto è una proposta che avanziamo al governo e alla discussione pubblica. Abbiamo fatto un ragionamento che non fosse solo localistico. L’Unione Europea ha deciso di implementare la Pesco, la Cooperazione Strutturata Permanente in ambito di difesa e sicurezza. Tutti i Paesi dell’UE hanno concordato di intensificare l’operato dell’Unione in quest’ambito e indicando che, per realizzare tale obiettivo, sia necessario rafforzare il coordinamento nonché incrementare gli investimenti per la difesa e la cooperazione nello sviluppo delle capacità di difesa. Ora la Sicilia è nel cuore del Mediterraneo, crocevia e porta verso i popoli e le nazioni del Sud del mondo. Si tratta di una collocazione ideale per una struttura di addestramento e formazione sia nel campo della protezione civile che in quello del Peacebuilding. Solo negli ultimi due anni sono andati a fuoco, con decine di morti, centinaia di migliaia di ettari in due Paesi Ue come il Portogallo e la Grecia. Anche da noi gli incendi, i terremoti e altri disastri naturali flagellano intere zone. Nessun Paese può essere lasciato da solo a fronteggiarli. Se la Ue ha un senso allora dobbiamo lavorare per una protezione civile europea. Sul Peacebulding occorre mettere a frutto le tante missioni internazionale di pace a cui partecipa l’Italia insieme agli altri Paesi alleati. 

Sempre secondo le cronache, Lei avrebbe espresso il desiderio di “escludere un'etichetta prettamente militarista della proposta”. Potrebbe, cortesemente, spiegare ai nostri lettori, molti dei quali operano nelle Forze armate, che cosa intende con l’aggettivo “militarista”, dal punto di vista semantico e concreto? 

Semplicemente non vogliamo farci una base militare, mi sembra che quelle non manchino sul nostro territorio. Vogliamo fare un polo addestrativo sia civile che militare in cui la professionalità del comparto soccorso, difesa e sicurezza si incrocino e lavorino insieme. Le nostre Forze Armate non sono militariste, nel senso che non mirano all'asservimento della vita politica e delle funzioni e dei rapporti sociali e culturali ad un potere militare, ma si ispirano ai valori costituzionali della nostra democrazia.

Sempre parlando con i colleghi della stampa, leggo che Lei si è chiesto come mai non addestriamo dei piccoli gruppi anche in Italia. Si agirebbe in tal modo, secondo Lei, “su due fattori delicatissimi come la sicurezza dei nostri soldati altrimenti impegnati in missioni internazionali all’estero (Somalia, Mali, Repubblica centroafricana, Libano, Palestina, Iraq e Gibuti) anche in teatri ostili e il risparmio economico”. Posso chiederle chi pagherebbe il conto di alcune decine, forse centinaia, di membri delle Forze di sicurezza o similari stranieri, provenienti da Paesi con gravi difficoltà economiche a causa di conflitti? 

L’addestramento di personale straniero è di solito “offerto” dal Paese che se ne occupa, ricevendone in cambio vantaggi politici. L’addestramento delle forze militari, di polizia e di soccorso è uno dei principali compiti che spettano alla strategia di peacekeaping, specialmente dove bisogna ricostruire istituzioni fondamentali per la transizione dalla guerra alla pace. Avere la possibilità di formare quadri civili e militari in un polo specializzato e lontano dalle zone di conflitto consente di aumentare la qualità dei corsi e di ottimizzare i costi. Ovviamente se questo polo avrà una caratura europea attingerà a fondi ulteriori e non solo a quello delle missioni militari in essere.
Quali sono state le conseguenze della chiusura repentina del CARA per il tessuto economico di Mineo e dintorni? Purtroppo, questa esperienza non poteva proseguire. Già l’indagine parlamentare nella scorsa legislatura ne prefigurava il superamento. Il Cara di Mineo si fondava su una emergenza ed era ovvio che, prima o poi, sarebbe terminata. Si tratta di tante persone e le loro famiglie che non hanno più un reddito e alle quali occorre dare una risposta.

Posso chiederle come ha reagito il popolo dei Cinque Stelle alla sua proposta? Che cosa risponde a chi l’ha criticata? 

Tutte le critiche sono legittime se sono fatte con spirito costruttivo. La supponenza non fa parte del mio carattere e noi ascoltiamo tutte le campane, specialmente quelle che possono dare una mano. Bisogna superare quel modo di agire di chi, considerandoti pregiudizialmente un nemico, emette sentenze senza avere contezza nel merito delle questioni. Si è aperta una discussione pubblica sul destino di quell’area. Si tratta di mettere a frutto la creatività e la capacità d’innovazione. Questo è il merito principale della nostra proposta.