Sponda sud del Mediterraneo: un convegno per raccontare rischi e prospettive

(di Enrico Baviera)
28/01/19

Si è parlato di politica estera, di Africa, di interessi nazionali e molto altro all’incontro organizzato nei giorni scorsi a Bologna sul tema “I rischi della sponda sud del Mediterraneo e il possibile ruolo dell’Italia nella regione” dal Centro Studi Militari “Gen. Bernadini” diretto da Antonio Li Gobbi.

A parlarne è stato chiamato Ugo Trojano, uno dei maggiori esperti italiani di operazioni internazionali e di stabilizzazione, con una pluriennale esperienza con l’ONU, la UE e il Ministero degli Esteri in Africa, Medio Oriente e Balcani. Tra i suoi numerosi incarichi, quello di sindaco ONU nella città mista di Kosovo Polje (1999-2001), di capo del Provincial Reconstruction Team di Nassiriyah in Iraq nel 2006 e di portavoce della missione europea in Sahel-Niger fino al 2016. Esperienze che ha raccontato in un libro, “Alla periferia del mondo” edito da Fermento (2014).

A intervistarlo Gianandrea Gaiani, giornalista, scrittore, direttore di Analisi Difesa, opinionista sulle principali reti televisive nazionali (Rai, Mediaset, La7 e SkyTg24), e assiduo collaboratore de Il Mattino, Il Messaggero, Libero e Il Corriere del Ticino.

Tanti i punti toccati durante l’incontro, alcuni richiamati anche da temi di attualità come quello sul Franco CFA (Comunità Finanziaria Africana), la divisa adottata da 14 Paesi africani, che vede Parigi nel ruolo di garante della piena convertibilità.

Il ruolo francese nell’area monetaria CFA e la libertà degli stati che vi aderiscono costituiscono per Trojano, “un formidabile strumento di controllo geopolitico”, che limita de facto la sovranità degli stati che vi aderiscono (sono tenuti a versare alla Banca di Francia il 65% delle posizioni in riserva, a garanzia del cambio monetario).

La politica africana di Parigi impone pertanto profonde riflessioni sulle qualità e continuità delle nostre iniziative nella regione: si pensi solo alle problematiche improvvisamente sorte con il governo di Niamey per schierare un nostro contingente in Niger o al tema dei flussi migratori diretti in Spagna e Italia che attraversano proprio l’Africa francese.

Al riguardo, incalzato da Gaiani, Trojano ha sottolineato la cronica “mancanza di visione” dell’Italia in politica estera, dovuta in gran parte alla “discontinuità della politica” dei governi pro tempore.

Una caratteristica che mal si concilia con quanto avviene nei nostri diretti competitor, più coerenti nelle politiche rivolte allo scacchiere internazionale, e per questo più attrezzati a capitalizzarne i risultati.

In alcuni casi - Trojano ha citato il Senegal e il Libano - la politica nazionale ha addirittura vanificato l’eccellente lavoro svolto dai nostri funzionari sul posto, sia quelli della Farnesina che quelli impiegati nei vari organismi internazionali, con il risultato di regalare “ad altri” molti dei risultati conseguiti sul campo, anche in contesti che avrebbero decisamente preferito la presenza italiana.

Un peccato, soprattutto considerato “il grande consenso che l’Italia raccoglie nel quadrante africano e in quello mediorientale”, dovuto principalmente al suo “non essere pienamente assimilata ad uno stato colonialista”, ma anche al consueto modo di operare degli Italiani - si pensi solo a quello dei nostri contingenti militari -, che in molte situazioni fa la differenza.

Cosa fare allora, ha chiesto Gaiani, per limitare il rischio di un continente la cui inarrestabile crescita demografica e i conseguenti flussi migratori verso l’Europa rappresentano una seria minaccia, i cui effetti osservabili rischiano di essere solo un’anticipazione di quanto accadrà in futuro?

La soluzione, secondo Trojano, potrebbe risiedere in una nuova politica europea di aiuti, tipo Piano Marshall, “che non si traduca come nel passato in elargizioni di denaro a pioggia finite in molti casi a rimpinguare le tasche dei potentati locali”, ma che al contrario venga improntata ad investimenti legati a progetti ben definiti, con un costante controllo dell’avanzamenti dei lavori.

Un’azione resasi quanto mai necessaria, in un continente nel quale la Cina (anche la Turchia è molto presente) sta portando avanti politiche di depauperamento con grosse conseguenze sul piano sociale, il cui costo noi europei rischiamo di pagare da soli.

Ma nell’attesa che un tale piano diventi realtà, l’Italia non può farsi trovare impreparata, ma, al contrario, “deve iniziare a preparare il terreno creando in loco le migliori condizioni, in termini di contatti e sinergie”, per capitalizzare al massimo il futuro impegno delle istituzioni europee.

Con una particolare attenzione “alla comunicazione istituzionale mediante un’apposita struttura che si interfacci con i diversi attori regionali” per guadagnarne il consenso e gettare le basi per future collaborazioni.

Per Trojano, in conclusione, la strategia italiana verso l’Africa deve passare per una chiara definizione di quelli che sono gli interessi nazionali, che non possono e non devono mutare con l’avvicendarsi degli esecutivi; si esprime con una politica estera credibile che da tali interessi tragga costante riferimento; si attua con il coinvolgimento dell’Europa per fornire il sostegno ad un continente che altrimenti rischia di tracimare.

Paradossale che proprio l’ultima di queste linee di azione sia quella oggi più facilmente perseguibile.