Cosa pensa la destra dei sindacati militari? (Uno sguardo da Atreju)

(di Federico Castiglioni)
24/09/19

Un dibattito ancora in corso, un confronto da posizioni abbastanza diverse e la conditio sine qua non che, vada come vada, l’introduzione dei sindacati non dovrà danneggiare l’operatività delle forze armate. Queste sono, in estrema sintesi, le posizioni emerse sul tema dei sindacati militari nel corso della manifestazione Atreju, appuntamento romano sull’isola tiberina ormai punto di ritrovo fisso per Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni.

Protagonisti del dibattito, che ha avuto luogo nel corso della mattinata di venerdi sui temi della Difesa, sono stati Caio Gulio Cesare Mussolini, responsabile nazionale Difesa del partito, il generale Marco Bertolini, coordinatore della Consulta per le forze armate, e le senatrici Petrenga e Rauti.

I relatori hanno colto le suggestioni del pubblico e degli appassionati, unanimamente preoccupati dallo stato delle forze armate dopo la disastrosa gestione Trenta, e sono subito entrati nel vivo del tema dei sindacati che più di ogni altro sta agitando le acque questi giorni.

I dubbi emersi tra il pubblico, a questo riguardo, sono gli stessi sollevati da molti lettori di Difesa Online: come è possibile avere un sindacato senza diritto di sciopero e come si può immaginare un dispositivo legislativo che equipari i diritti dei militari a quelli degli altri lavoratori senza ledere l’efficienza delle forze armate e la naturale catena di comando?

Le stesse perplessità sono state sollevate dal generale Bertolini, il quale aveva scatenato già un dibattito sul tema proprio a partire da un articolo nel quale aveva definito come quasi eversivo il provvedimento di sindacalizzazione (v.link). Secondo il generale, che ha messo in correlazione la sindacalizzazione con la vicenda del suo collega Stano, recentemente condannato per la mancata protezione della base di Nassirya, questo fenomeno rischia di far avanzare pretese sempre maggiori da parte del corpo militare, che potrebbe arrivare a ricorrere al sindacato per eventuali disagi fuori area che sono intrinsechi alla scelta della vita militare e che l’hanno sempre contraddistinta.

Una prima risposta a queste dure tesi, arrivata dagli organizzatori nel corso della discussione, è stata quella di effettuare un doveroso distinguo tra i doveri dei militari in missione, necessariamente aderenti alla più stretta disciplina, e la situazione che i militari ritrovano in Patria, dove sotto la scusa dell’obbedienza e della gerarchia si nascondono situazioni di disagio e inefficienze inutili, dettate solo dalle esigenze di risparmio della Difesa.

L’impossibilità di protestare per la mancata manutenzione delle caserme, per l’equipaggiamento inadeguato, per la scarsa qualità di vitto e alloggio sarebbero quindi non una conseguenza della “naturale vita militare”, ma solo problemi causati da una scarsa valorizzazione delle forze armate, sempre più impiegate a partire dall’operazione “Strade Sicure” come una forza di polizia a basso costo.

La constatazione di queste inefficienze, già portate alla luce anche da questa rivista, si unisce a quelle ben più gravi in termini di munizionamento ed equipaggiamento che sono ormai note e sono una conseguenza sia dei tagli indiscriminati ai quali abbiamo assistito negli ultimi anni che al dichiarato tentativo fatto dal Movimento cinque stelle di rendere la Difesa una sorta di servizio civile armato, snaturandone così la missione.

Questa desolante situazione porta al secondo tema emerso nel corso della discussione, nonchè vero nodo della questione, ossia quanto i sindacati militari sapranno cogliere con maturità e responsabilità il compito al quale sono ormai chiamati. Avranno il coraggio, ad esempio, questi novelli sindacalisti di protestare nel caso in cui riscontrassero un addestramento insufficiente o inadeguato, magari andando contro l’interesse o l’umore prevalente di coloro che rappresentano? O saranno piuttosto un semplice contraltare della linea gerarchica attualmente esistente, limitandosi a contestare consegne in caserma e punizioni e andando in effetti a togliere autorevolezza a ciò che resta della catena di comando?

Non è un mistero che queste siano le preoccupazioni che agitano tutti gli Stati maggiori al momento, tanto che il “gruppo Sim” a seguito delle audizioni di quest’estate alla Camera e al Senato si è sentito in dovere di rilasciare una nota congiunta che esprimeva preoccupazione per “il pensiero retrogrado delle amministrazioni militari, capace di influenzare la politica”.

Quale che sia la verità il dato certo è che proprio la politica non potrà ignorare queste nuove associazioni di categoria, le quali diverranno probabilmente (se dotate di un impianto normativo chiaro) il veicolo principale di comunicazione tra le caserme e il mondo esterno, similmente a quanto già avviene nelle forze di polizia. Una realtà nuova che sarà inevitabilmente permeabile anche a dinamiche partitiche. Non è un caso in effetti che il tema della Difesa, ignorato pressochè da tutti i partiti con poche eccezioni, abbia trovato uno spazio di dibattito e confronto nel partito di Giorgia Meloni, tradizionalmente vicino al mondo militare.

La promessa al termine del dibattito da parte dei parlamentari e senatori di Fratelli d’Italia è stata quella di “continuare il confronto interno, anche se vivace” e di “cercare un impianto legislativo equilibrato”; promesse che certamente saranno mantenute, ma che non potranno prescindere dalle linee guida del neo insediato governo che saranno note a breve.