Sveglia: il Novecento è finito!

(di Giampiero Venturi)
08/05/17

“Alla riscossa stupidi che i fiumi sono in piena, potete stare a galla…” cantava Battiato negli anni ’80. Più che elitaria o provocatoria, la citazione era attualissima per l’epoca e al tempo stesso antesignana.

Se in questi giorni prevalga più la stupidità o la cattiva informazione è difficile a dirsi. Dalla prima, nessuno di noi è immune da millenni; sulla seconda varrebbe la pena riflettere, soprattutto in un’epoca che fa della comunicazione di massa la sua essenza.

Uno spunto ce lo offrono le presidenziali francesi, arrivate all’epilogo già previsto. Dopo un anno di dibattiti sintomatici di come vengano diffuse e percepite le cose, l’aria che si respira sa di riciclo. Tutto sembra già visto o per dirlo in tema, deja vu.

Partiamo dai fatti. Vince Macron, vince il sistema, vince l’Europa del “così è”. Niente di nuovo, niente di strano, soprattutto niente di sorprendente. La vittoria di un personaggio semisconosciuto ma disegnato ad hoc per mantenere le cose come sono, era una pagina già letta ma necessaria al grande sistema che alimenta se stesso. Non entriamo nel merito ideologico della contesa, ma cogliamo l’occasione per guardarci allo specchio e considerare la fragilità da cui siamo afflitti noi europei.

L’attesa per i risultati francesi fa rima con quella per le presidenziali americane e per il referendum su Brexit. Stessa importanza, stessi allarmi, stesse reazioni. In tutte e tre le competizioni, seppur diverse per contenuti e contesti, gli spauracchi agitati sono stati gli stessi e analogo è stato il modo in cui la pubblica opinione si è divisa per aspettare e giudicare gli esiti. La Le Pen ha perso (in realtà ha stravinto) ma alla stregua di Trump e del fronte leave ha avuto dalla sua, tutto ciò che il mondo dei bravi e buoni rifiuta.

Mentre da Londra arrivavano gli scrutini ufficiali, la pletora degli analisti di regime, fra un catastrofismo e l’altro, ritagliava il profilo sociale degli elettori. Chi aveva votato a favore dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea doveva essere tendenzialmente anziano, ignorante e provinciale. Discorso analogo per il 9 novembre: a sentire i guru del politichese, sugli evoluti istruiti del New England e sulle menti aperte della California, aveva prevalso la rozzezza annichilita dal populismo dell’America profonda. Sì il populismo, quel fenomeno entrato per direttissima nel glossario del “giusto o sbagliato” redatto dai demiurghi del politically correct. Tipico termine che per semantica non sarebbe orribilis, ma che per l’andazzo storico ha finito col diventarlo.

Altro esempio: “multietnico è bello”: nessuno sa perché, ma tutti lo danno per scontato.

Nella visuale manichea dei nostri tempi di democrazia calata dall’alto, abbiamo bisogno proprio di questo: una semplificazione di massa che ci permetta di orientarci senza patemi tra il bene e il male, senza però preoccuparci di chi sia a stabilire i parametri etici. Abbiamo bisogno di essere nel giusto, senza capire troppo i meccanismi che contribuiscono a stabilirlo.

Con populismo definiamo ciò che è tendenzialmente retorico, che cavalcando temi demagogici, riesce ad ottenere un facile consenso. Nonostante la definizione sembrerebbe cucita proprio per i leader dei partiti di governo politicamente corretti, con populismo sono etichettati tutti i movimenti che in qualche modo e con orizzonti diversi, provano a smantellare i sistemi politici e sociali di cui tutti si lamentano ma in cui si continua a vivere. Sembra strano, ma l’impressione è che ci sia una grande confusione collettiva.

Entriamo nel merito.

Se la vittoria di Brexit fosse davvero dovuta all’ignoranza operaia, contadina e provinciale lontana dalle luci della ribalta e della City, perché a rammaricarsi sono state le élite intellettuali storicamente vicine ai temi sociali e ai deboli? Discorso analogo per gli USA. Tra i tifosi della Clinton, espressione grigia di un Deep State spietato, la cui campagna elettorale è stata finanziata dall’Arabia Saudita, ha spiccato proprio la ultraliberal Hollywood.

Mentre scriviamo, a spellarsi le mani per il socialliberale (definizione da archivio delle contraddizioni) Macron, sono proprio gli intellettuali, i nuovi borghesi benpensanti, quel ceto laico-progressista-open minded che forse più di altri dovrebbe indignarsi per le politiche di austerità e per le ombre che incombono da anni sulle lobbies al potere a Bruxelles.

Che succede allora, siamo diventati tutti matti? Niente affatto. Benché qualcuno provi a nascondere i calendari, il Novecento è finito da un pezzo. Ostaggi di un ombrello mediatico monocolore, ci perdiamo ancora in scontri periferici, convinti che le contrapposizioni ideologiche in cui siamo cresciuti esistano ancora.

Per rimanere all’esempio italiano, è da poco passato il 25 aprile, esempio lampante di come evitare di aggiornarsi sia comodo a molti. Nel 2017, la contrapposizione fascismo-antifascimo fa ridere. Chi ci ha ruspato per decenni però, ha tutto l’interesse a mantenerla. Il tempo passa e con esso cambiano gli equilibri geopolitici globali: sarebbe ora forse di guardare la realtà per quella che è.

Un esempio lampante di come le cose cambino ma non tutti ne siano consapevoli, viene dall’Europa dell’Est. Fino a due anni fa partivano per l’Ucraina decine di volontari per combattere il bolscevismo russo al fianco dei nazionalisti di Kiev. Il flusso è finito quando a qualcuno si è accesa la lampadina. Il bolscevismo è stato sepolto dalla Storia e con esso la lotta fra Charlemagne e sovietici nella Berlino del ’45. A qualcuno piace far credere che sia tutto come 70 anni fa. Per fortuna non è vero.

Chi combatte cosa allora? Esistono ancora dei fronti contrapposti al giorno d’oggi?

Certo che sì, ma annoverano tra le loro fila gruppi sociali e bandiere politiche trasversali. Se semplifichiamo dicendo che lo scontro tra identità e globalizzazione potrebbe essere una buona sintesi dei dibattiti politici di oggi, è bene cercare di capire dove posizionarsi. Quantomeno per evitare contraddizioni macroscopiche.

Per rimanere alle presidenziali francesi, il sistema si è schierato compatto con Macron. Vi ci ha fatto convergere i (pochi) voti anche il socialista Hollande, dimenticando che a qualunque bozza elementare di socialismo, sarebbe stata in ogni modo più vicina la Le Pen del nuovo giovane presidente. Non ci stupiamo che gli apparati politici interni al potere facciano di tutto per rimanerci. Poco importa che i conservatori di oggi siano i progressisti di ieri o che il pensiero liberal sia diffuso più nei ceti ricchi che nelle periferie critiche. Quel che importa è la consapevolezza o l'inconsapevolezza di noi cittadini.

L’omogeneità di giudizio attraverso categorie semplici e spauracchi facili, è un obiettivo a portata di mano per i grandi manipolatori. Parliamo di lobbies politiche, gruppi d’interesse finanziario, multinazionali. Plasmare la pubblica opinione attraverso l’occupazione sistematica di tutti gli strumenti di divulgazione di pensiero è il primo passo. Giornali, radio, tv, agenzie di stampa, case editrici, case discografiche, agenzie di comunicazione, cinema, categorie autoriali, format d’intrattenimento… Tutto va in una direzione.

Il “pensiero unico” non è un luogo comune ma l’appiattimento verso una forma comune di valori, indotti come necessità dai media globali. La mancanza di accesso alle fonti, l’ignoranza, il disinteresse, lo spirito di emulazione (tanto più forte quanto maggiore è la copertura dell’informazione) sono fattori di moltiplicazione di questo dramma orwelliano.

Oggi in Francia c’è un presidente voluto dal 65% dei cittadini, una percentuale plebiscitaria. Meno della metà di chi l’ha votato però, sa chi sia e come la pensi. Su questo è necessario riflettere. Il Novecento è finito: sveglia!

(foto: web)