Roma ha il suo nuovo Vescovo; al di là di esteriorità e fascino di procedure secolari che così tanti turisti hanno attratto sul sagrato di San Pietro, sarebbe più indicato porsi dal punto di vista che privilegia il tempo a fronte di inconsistenti piattaforme social. Agire in nome e per conto di Dio, al di là della facile ironia alla Blues Brothers, conferisce alla Chiesa un potere incomparabile. Dunque, meglio tralasciare l’attualità e le sue forme per provare a comprendere uomini che si muovono lungo le linee della storia secondo logiche millenarie che si proiettano nel futuro, giuste o sbagliate che possano apparire.
Tentare pronostici è impossibile, come è inutile cercare di dare connotazioni politiche che puntino al quotidiano quando la Chiesa, per sua stessa natura dirige, o per lo meno dovrebbe farlo, verso il superamento del tempo.
Ci sono voluti 249 anni perché gli USA esprimessero un pontefice, incarnando quella che potrebbe essere superficialmente interpretata come un’anomalia per un Paese in tanti campi naturalmente egemone. Come tollerare, dopo Patton o Eisenhower, anche un papa?
Il cardinale Francis George ha acutamente osservato che, finché l’America non sarà in declino politico, non vedremo un papa americano; dopo l’ascesa cinese ci siamo davvero arrivati. Per questo, forse, il cardinale Prevost1, è stato eletto; percepito politicamente come un centrista, Prevost su diverse tematiche sociali ha mostrato aperture progressiste.
Secondo The College of Cardinals Report, Prevost sarebbe vicino alle prospettive bergogliane in tema di poveri e migranti, ma apparentemente meno votato a cercare il favore della lobby LGBTQ. In ogni caso, un papa statunitense che sceglie il nome di Leone XIV, volgendosi al pontefice autore della Rerum Novarum nonché modello per affrontare il mondo in versione multipolare, tanto può essere un tramite con l’Occidente atlantico, quanto può proporsi come un problema politico per Trump, con cui non ci sono rapporti diretti e che, secondo alcuni media, avrebbe donato 14 milioni di dollari alle esangui casse vaticane, in deficit di 70 milioni di euro.
Nonostante le speculazioni, Papa Prevost ha criticato il vicepresidente Vance, evidenziando sensibili divergenze con uno dei principali esponenti politici americani; una presa di posizione interpretata quale segnale di indipendenza capace di ridimensionare qualsiasi ipotesi di alleanza ideologica tra Papa Leone e Donald Trump.
Inevitabile tornare con il pensiero al fotomontaggio che ritraeva il presidente americano in vesti papali; un gioco che, più che al discutibile gusto, richiamava a visioni politiche di rara grossolanità, colte in contropiede da un politicamente sottile collegio cardinalizio, che non si è fatto influenzare dalla stupidità social e che ha saputo valorizzare la doppia cittadinanza, americana e peruviana, del neo eletto.
Secondo Padre Falcone, confratello agostiniano, il nuovo pontefice è un dignitoso uomo di centro in grado di tenere unite le diverse sensibilità della Chiesa, forte anche del fatto di aver costruito la sua carriera ecclesiastica missionaria lontano da una madre patria facile alle polarizzazioni di ogni possibile dinamica e caratterizzata da divisioni profonde tra conservatorismi accesi e visioni più progressiste.
Attenzione però ad associare la dottrina della Chiesa a posizioni politiche contingenti: il Vaticano, lo abbiamo detto, viaggia su binari e velocità diversi. Leone XIV, il meno americano tra gli americani, è caratterizzato da sobrietà, attenzione alla dottrina ed al rispetto per la liturgia, benché non si sia mai schierato con correnti più tradizionaliste; ciò non gli ha impedito né di criticare i media occidentali quali fonti di influenza sulla cultura cattolica, né di definire l’ideologia di genere come creatrice di confusione. Visto come meno ideologico ma curiale per l’incarico ricoperto, in ambito conservatore è stato considerato comunque come attore accettabile, capace di combinare internazionalismo, moderazione dottrinale, esperienza di governo e prudenza personale.
Se è vero che il nome prescelto dal pontefice ne rivela spirito e visione, Leone è nome impegnativo, dato che è dai predecessori che ne si può intuire l’orientamento, pastorale e politico, segnato dalla capacità di collegare l’America del Nord, senza esserne condizionato, ed il sud globale peruviano, dove il papa ha servito come missionario, proiettando un’immagine leaderistica solida in grado di sfidare le tensioni geopolitiche, come già accaduto ai Leoni del passato.
Leone XIV può essere il papa dell’equilibrio, della mediazione in momenti di crisi e frammentazione come l’attuale, un tempo non ancora pronto alle polarizzazioni proposte da Bergoglio. Prevost è stato il miglior outsider possibile, in grado di ottenere consensi trasversali, superare candidati più blasonati, prepararsi per sfide epocali portando il simbolismo del leone a coraggiosa concretezza.
Prevost appartiene ad un ordine che si rifà ad un Santo, Agostino, che ha plasmato dottrina e spiritualità cristiane, ponendosi quale elemento di giunzione tra un impero in declino ed un’Europa da unire, esaltando, ancora una volta, la visione di una Chiesa capace di andare oltre la storia. Forse Leone è davvero il nome migliore che, ora, un papa potesse scegliere; God bless you, Leone!
1 Ha studiato teologia presso la Catholic Theological Union di Chicago e ha studiato diritto canonico a Roma presso la Pontificia Università San Tommaso d'Aquino.