This is not America? Caos migranti e rivolta sociale negli Stati Uniti

(di Gino Lanzara)
10/06/25

Il melting pot americano continua a ribollire; anche questo fa parte dell’eccezionalismo, anche se in chiave negativa. Gli Stati Uniti, quelli con tante stelle sulla bandiera, reiterano propensioni da analizzare secondo interpretazioni politiche via via offerte.

Non è la prima volta che rivolte urbane violente scuotono il Paese, a partire da Watts nel 1965, fino a passare dalla Los Angeles di Rodney King nel 1992, per giungere alla Minneapolis di Georgetown Floyd del 2020Attenzione a non dimenticare i moti fomentati in Campidoglio, poco folcloristici e troppo pericolosi per essere dimenticati.

È la realtà che emerge dall’elegia del vice presidente Vance, da non trascurare. Se i precedenti hanno un senso, non si può non considerare la concreta possibilità che l’incendio si estenda tra New York, San Francisco, Atlanta, teatri già noti.

La caratteristica comune delle rivolte rimane l’estrema violenza con cui divampano in tempi estremamente contenuti. Le politiche migratorie adottate dal governo federale sono, ora, alla base delle proteste; proteste che non possono non trascurare quanto già a suo tempo affermato dall’ex presidente Biden, orientato a garantire un’immigrazione legale e riconosciuta ma certo a non trattenere Kamala Harris quando invitava al “do not come” del 2022.

Quello dell’immigrazione si è consolidato come un problema ben presente, alimentato dalla presenza di quasi 12 milioni di clandestini; una criticità che si riverbera con maggiore intensità in California.

Ma come drenare un fenomeno che sconvolge Cuba, Venezuela, Nicaragua, Honduras, Haiti? Inevitabile dover ricorrere, ancora una volta, all’operato della Guardia Nazionale, posta a sostegno delle forze di polizia in momenti di drammatica assenza di personalità capaci di attrarre le attenzioni, come accaduto con il reverendo Jackson. 

Quanto sta accadendo in California trova ulteriore innesco in frangenti politici interni disorientanti, con i presunti dissapori tra il presidente ed un delfino fin troppo pervasivo e fin troppo addentro agli interessi più redditizi e reconditi del Paese, e con l’applicazione di norme sugli ingressi sul territorio nazionale sempre più stringenti, malgrado comportino spese notevoli non comparabili con risultati più concreti e paganti. Del resto anche i numeri relativi ai clandestini non sono compiutamente verificabili, come sono sottostimati i dati riferiti ai fenomeni criminali presumibilmente commessi.

Politicamente il quadro generale conduce ad una visione divisiva che caratterizza le posizioni Gop e Dem, e dove le presenze ancorchè clandestine implementano un indotto economico non trascurabile. Ma la politica incombe e l’esecutivo in carica non può permettersi di non tentare di mantenere l’ordine promesso in campagna elettorale. Da qui alla minaccia dell’applicazione dell’Insurrection Act il passo è breve, benchè l’evenienza sia già stata  considerata nel 2020 e tuttavia bloccata dall’allora segretario alla Difesa Mark Esper.

Torniamo all’oggi; gli arresti effettuati a Los Angeles a carico dei clandestini hanno catalizzato e riesumato eventi che si stanno ripetendo sempre più rapidamente. Mentre la Guardia Nazionale si schiera i Marines di Camp Pendleton si accingono a posizionarsi nelle strade. Politicamente l’America trova collocazioni sempre più incerte, meno attinenti al consueto, a meno che, forse, non riesca sempre più difficile contestualizzare situazioni che della ripetitività fanno il loro motivo esistenziale.

In tutto ciò, il confronto politico si inasprisce fino a raggiungere paradossalità che contemplano un confronto da saloon tra il Presidente ed il governatore californiano. This is not America?

Fotogramma: FOX 7