La terza ondata è già in atto: dobbiamo uscire da una logica emergenziale e ragionare da militari

(di David Rossi)
23/12/20

Avete presente che cosa succede quando trattenete il fiato per non far vedere la pancia?

Dopo un po’ di tempo l’addome troppo ben nutrito schizza fuori e la vostra trippa prominente appare dinanzi a tutti.

Ecco quello che sta succedendo con la così detta “terza ondata”: dopo un nuovo ciclo di lockdown, che non definirei inutile ma per lo meno poco efficace e poco duraturo, adesso una terza fase di diffusione della pandemia è già in atto in Paesi come Regno Unito e Giappone, come potete osservare da questi grafici.

La cosa non riguarda solo questi ma anche - sia pure con un lieve ritardo - la Repubblica ceca, la Spagna e Israele, tutti Paesi rispetto ai quali la così detta seconda ondata era iniziata in anticipo rispetto all’Italia.

I grafici qui di seguito sono eloquenti...

In Italia le cifre schizzeranno forse oltre i 100.000 casi rilevati al giorno fra marzo e aprile. Questo, ovviamente, al netto della decisione, squisitamente politica, di gestire i dati dei tamponi in modo tale da non allarmare l’opinione pubblica. Per esempio, così ha fatto la Turchia, finché il dilagare del male non ha imposto loro di dire la verità.

Perciò, il grafico della pandemia in quel Paese è a dir poco assurdo...

Ma torniamo a Regno Unito e Giappone. Londra e Tokyo raccontano una storia importante: il terzo picco del COVID-19 sembra essere due o tre volte più alto del secondo, che già era stato da due a cinque volte superiore al primo in primavera.

Che cosa vuol dire? Che il COVID-19, al netto del dibattito scientifico e mediatico sulla così detta “variante inglese”, non viene annullato per mezzo di quarantene ma approfitta di ogni piccolo cedimento per tornare a diffondersi in modo accelerato.

Signore e signori, abbiamo perso non la battaglia, ma la guerra: questo perché ci siamo nascosti dietro alla linea Maginot di una difesa immobile, invece che moltiplicare e muovere con rapidità le truppe. Mi spiego. In nessun Paese, forse tranne che nella Cina comunista, i governi hanno affrontato questa emergenza con una logica da “guerra vera”. D’altronde, la verità è che nessun Paese è preparato oggi a una guerra lunga, su più teatri e con moltissime perdite, ma solo a conflitti lampo, in un Paese per volta o al massimo a operazioni di peace enforcing in due Paesi della stessa regione.

Così, la medicina - militare ma anche civile - non riesce nemmeno a concepire l’idea di passare in poche settimane dalla ordinaria cura del personale in divisa in tempo di pace alla cura - con mezzi e modalità straordinarie - di decine di migliaia di riserve infettate, mutilate o ferite in tempo di guerra. Di una guerra vera, tipo Seconda guerra mondiale, Viet Nam anni 60’ e ’70 o Afghanistan anni ’80, per capirsi. Eppure, è questa la logica a cui dobbiamo sottometterci per imparare a gestire questa che non è più un’emergenza ma un ciclo storico e che probabilmente non sarà sconfitta nemmeno con i vaccini, dato che non sappiamo la durata della protezione ma sicuramente non supera i sei mesi in ambito di studio clinico. Perciò, dobbiamo sviluppare la capacità di moltiplicare i letti e il personale in tempi molto rapidi, per far fronte alla necessità di ospedalizzare il 10-20% dei casi rilevati, cioè probabilmente l’1-2% di quelli effettivi.

Insomma, dobbiamo agire come se avessimo due o tre milioni di riserve impegnate a combattere su un fronte molto ampio e con un numero importante di feriti da curare ogni giorno.

Vi siete mai chiesti come facessero fino a pochi decenni fa a passare da - diciamo - mezzo milione di uomini in divisa in tempo di pace a ruotare cinque milioni di riserve su un paio di fronti in tempo di guerra guerreggiata?

Lo facevano perché la sanità militare era un po’ come una zampogna, che se ne stava molle quando c’era da gestire l’ordinaria amministrazione (appendiciti, infortuni ecc.) ma che quando si iniziava a combattere sul serio si poteva gonfiare oltre ogni attesa. Per fare questo, servono soldi, mezzi umani e materiali, ma soprattutto l’onestà di uscire da una folle logica emergenziale e di ammettere di fronte all’opinione pubblica che questo scenario non cambierà per anni.

P.S. Non vi fate spaventare per gli oltre 36.000 casi in UK rilevati con oltre 420.000 tamponi, cioè un caso ogni 8,5. Pensate, piuttosto, che da noi ci sentiamo tranquilli con poco più di 13.000 casi scovati con 166.000 test, vale a dire quasi lo stesso che Oltremanica a conti fatti…

Dati: https://www.worldometers.info/coronavirus

Foto: ministero della Salute