Italiani: impreparati alla guerra e alla pace

(di Andrea Cucco)
06/06/22

102 giorni di guerra hanno portato alla luce molti aspetti del nostro Paese che erano facilmente immaginabili o avevamo già realizzato con l’emergenza pandemica.

Il primo è l’inadeguatezza in un qualsiasi contesto bellico reale di una politica che o esalta anacronisticamente sentimenti patriottici “di plastica” oppure fa della mortificazione degli interessi nazionali la propria bandiera.

Ripudiare la guerra è un mantra costituzionale che si è riflesso in quasi un secolo sulla solidità effettiva dello strumento militare nazionale. E ricordiamo, piaccia o meno, che la Costituzione italiana non nasce da una vittoria o da una rivoluzione, segue una sconfitta militare.

Ipocrita negarlo, se qualcuno oggi vuole arruolarsi per ideali simili a quelli di cittadini stranieri è meglio che lasci perdere: sono solo i “Checco Zalone” a durare serenamente per un’intera carriera, per gli altri c’è solo una lacrima al mattino sotto alla bandiera e cronici mal di pancia.

Ancor oggi, a mesi dall’inizio di un conflitto che dista meno di 700 chilometri dal confine italiano si parla solo di Ucraina e non delle condizioni vergognose in cui la nostra Difesa si trova ad operare.

Si “classificano” così le liste di armi inviate al fronte senza avere la decenza degli altri Paesi europei di mandare un messaggio chiaro alla Russia. Ma il nostro fronte è interno, non certo diplomatico… Se per sopravvivere questo governo dovesse incorporare anche l’opposizione rimasta (furbescamente) fuori, a chi potrebbe chiedere poi aiuto? Alla prossima maggioranza di italiani che non riesce più a votare nemmeno "turandosi il naso"?

Qualcuno si allarma seriamente dei magazzini vuoti o di mezzi blindati (e non corazzati!!!) da "peacekeeping" che se venissero impegnati in una conflitto (anche di media intensità) ci restituirebbero solo cadaveri? Negativo! Anzi, per sembrare “originali” li si fa sfilare persino alla parata del 2 giugno. Basta una supercazzola di commento in sottofondo e chi se ne accorge…?

Per molti ministri, fino al 24 febbraio 2022, è sempre stato semplice tirare a campare: la capillare censura delle operazioni all’estero (vedi battaglia di Bala Murghab) e un’opinione pubblica vittima di decenni di favolette buoniste hanno reso via XX Settembre un bel posto in cui “sedersi”.

“Difesa” non è - a tutt’oggi - la capacità (effettiva) di proteggere, fosse anche solo con la deterrenza, la Patria ma molto altro: posti di lavoro, interessi miopi di aziende (di cui molte “di Stato”), coreografie al servizio del governo in carica… Ricordate quando il Paese era seriamente angosciato per il Covid e la strategia politica “alla giornata”? Fu ordinato alla Pattuglia Acrobatica Nazionale di sorvolare le città…

Come ad El Alamein fu “sfiga” e non dotazioni inappropriate o scadenti e una logistica presente solo nei discorsi del presidente del consiglio dei ministri del Regno d'Italia (eroicamente compensate dal coraggio e la disperazione di tanti giovani soldati), “Andrà tutto bene” ha ben rappresentato la risposta "concreta" all’incertezza. La stiamo ancora pagando e lo faremo ancora per molti anni.

“E vabbè, siamo fatti così...” - dirà qualcuno - “levantini, un po’ mafiosi, da sempre cialtroni. Non siamo pronti alla guerra... ma in compenso siamo ottimi per la Pace!”.

Qui arriva un altro fronte dolente, se mai possibile peggiore del primo!

Chi non vede la guerra è totalmente inadatto alla ricerca della pace per un indispensabile prerequisito: il tempismo.

Quando sono le armi a parlare è la politica (altrui) ad aver preso decisioni e contromisure. Non sono sicuramente scelte fatte a cuor leggero, non sono mai improvvisazioni.

Quando iniziano le ostilità già all’origine la “pace” è certamente obiettivo comune dei contendenti. Che un terzo si metta ad auspicarla (o peggio ad avere la faccia tosta di scriverla!!!) è segno del suo totale scollamento dalla realtà.

Questo a meno che non si sia autorità religiosa. In tal caso, conscio della fratellanza tra esseri umani, deve chiederla e, se necessario, perdere “opportunamente” la vita con un viaggio al fronte dei combattimenti per ben rappresentare chi ha in precedenza sacrificato la Sua per ciò che sapeva ed era.

Facciamo poi un paio di esempi dello scorso secolo: la guerra di Corea e (visto quello che minaccia all’orizzonte…) la seconda guerra mondiale.

In soli cinque mesi il fronte coreano è passato da un estremo all’altro per poi tornare sostanzialmente all’origine, grazie all’intervento “boots on the ground” delle Nazioni Unite prima e della Cina comunista poi.

Secondo voi, quando sarebbe dovuta esser raggiunta la pace? Nel 1950? E in tal caso, in quale mese? O nel 1953? (La risposta corretta non c’è: formalmente la guerra è ancora in corso, sospesa solamente da un armistizio...)

Pensiamo poi al precedente e ben più celebre conflitto mondiale. In pochi anni le truppe tedesche, dai Sudeti cecoslovacchi passarono alla Polonia, all’intera Europa orientale fino a raggiungere le porte di Mosca. Per poi tornare sconfitte a Berlino.

Quando si sarebbe dovuta raggiungere la pace? Col confine a Varsavia, Kiev o Mosca? La storia sarebbe cambiata notevolmente.

La “Pace” è un frutto che va colto quando maturo, non la si può invocare o anticipare senza sacrifici e lacrime. In caso contrario il termine da usare è “resa” e chi la invoca - addirittura sabotando e dilazionando (proprio ora?) il finanziamento promesso da molti precedenti governi all'Alleanza per le proprie Forze Armate - non è né pacifista né neutrale… fa l’interesse (anche militare) altrui.

Foto: ministero della difesa / RAI / web