Il leader kazako chiede di sparare a vista. L’eco di Gheddafi nelle sue parole?

(di David Rossi)
07/01/22

Questa mattina il presidente kazako Tokayev ha parlato al Paese. Come sua abitudine, lo ha fatto solo in russo, senza usare alcuna parola in lingua kazaka, l’idioma di due terzi della popolazione. Ha individuato i responsabili della crisi nei “cosiddetti media liberi” e in "figure straniere" di essere complici dei così detti crimini in Kazakistan: quello che è successo a Almaty soltanto, è stata l’opera di “20mila banditi”. Per questo, ha dato ordine di aprire il fuoco per uccidere senza preavviso su chiunque sia trovato per strada. Non a caso, in molte città, i civili sono stati avvertiti tramite altoparlanti di restare barricati nelle case.

Sembra di sentire l’eco delle parole di Muhammar Gheddafi nel marzo 2011, quando al principio della prima guerra civile libica chiedeva di stanare i ribelli casa per casa, chiamandoli “ratti” e “scarafaggi” al servizio di Francia e Regno Unito. Ma, bontà sua, almeno lui offrì salva la vita a chi avesse deposto le armi. Come andò a finire, lo sapete tutti…

Non stupisce l’attacco alla stampa: da Tony Blair a Angelino Alfano, il regime post-sovietico al potere dal 1991 è abituato a avere buoni uffici in occidente, non certo a sentire delle critiche.

Intanto, in Kazakistan ufficialmente, 3.706 sono i rivoltosi detenuti. Venti uomini in mimetica hanno tentato di attaccare la prigione di Taldykorgran, con due perdite.

Migliaia di persone hanno manifestato pacificamente con bandiere del Kazakistan a Zhanaozen.

Continua il dispiegamento della forza di peace keeping CSTO. Anche i militari armeni sono partiti per il Kazakistan come parte della missione CSTO. "Ci aspettiamo che se l'Armenia si troverà in una situazione del genere, riceverà aiuto" ha detto il segretario del Consiglio di sicurezza armeno Grigoryan. Il pensiero corre alla rivoluzione di velluto, del 2018, ma anche al fallito colpo di stato di un anno fa: evidentemente, Yerevan teme che il contagio dell’esempio dei kazaki, anche alla luce dell’epilogo inglorioso del conflitto con l’Azerbaigian nel 2020.

Foto: archivio presidenza della repubblica del Kazakistan