Il fallimento della guerra di aggressione voluta da Putin

(di David Rossi)
23/03/22

La Russia non può che vincere data la sua superiorità. Questo mantra - autoevidente per la missione storica della Russia secondo il Cremlino e dettato dai numeri e dai mezzi schiaccianti secondo molti esperti militari occidentali che probabilmente sanno poco o nulla di modern urban warfare - si scontra con i fatti, come andremo qui ad argomentare.

La battaglia decisiva? Il primo giorno

Non per niente, fin dall’inizio, abbiamo sostenuto che la battaglia per l’aeroporto Antonov, combattuta fra le forze speciali russe e il 24° battaglione di reazione rapida ucraino, addestrato per anni dalla NATO, abbia deciso fino ad oggi l’andamento della guerra. Una volta persi più di mille fra gli uomini migliori - spetsnaz, ceceni ecc - e trovandosi respinta, Mosca ha finito per farsi logorare fra Bucha e Irpin senza speranze di poter attaccare Kiev. La recente controffensiva ucraina su questo fronte ha messo in luce tutti i limiti materiali e tattici delle forze russe. Insomma, ha fatto crescere fra i militari e i politici del Mondo libero l’impressione che la Russia non possa proprio vincere questa stramaledetta guerra.

Il problema delle risorse umane

In primo luogo, non può vincere perché dovrebbe conquistare ogni città (Kiev, Kharkiv, Sumy e poi magari Leopoli ecc.) subendo ogni giorno in ogni singola città centinaia -e in alcuni casi anche migliaia- di perdite (morti, feriti e mutilati) come sta succedendo da due settimane dalle parti di Mariupol e del Donbass meridionale. Dal ché non consegue solo un indebolimento del fronte interno, ma un vero e proprio disfacimento di battaglioni e reparti. Il fatto che siano stati richiamati uomini e mezzi dall’Estremo oriente e dal Caucaso la dice lunga sul problema di risorse umane che affligge l’offensiva russa.

Il problema del controllo del territorio

In secondo luogo, non può vincere perché dovrebbe poi mantenere sul posto una forza - molto consistente - sufficiente a far fronte alla resistenza nascosta fra le macerie e i ruderi di ogni città abbattuta, per tenere a bada l’eventuale popolazione residua - costituita quasi solo da uomini adulti capaci di portare un’arma - o per deportare decine di migliaia di persone per “ripulire etnicamente” il territorio. In ogni caso, si tratta di uno sforzo al di là delle capacità delle forze schierate nel teatro ucraino e, probabilmente, per la Russia tout court.

Il paragone sbagliato con Grozny e Aleppo

In terzo luogo, non può vincere perché i precedenti di Aleppo e Grozny non reggono come paragoni, se non nella fuorviante impressione di efficacia lasciata negli osservatori. Parliamo di città che rappresentavano, per lo Stato islamico e per la resistenza cecena rispettivamente, gli unici centri direzionali e logistici, annientati i quali le difese persero rapidamente di coesione e di efficacia. Chi paragona questi due casi all’Ucraina lo fa nell’ignoranza più totale della sua capillare rete ferroviaria, delle sue barriere naturali fluviali e orografiche, delle dimensioni e della struttura urbana delle città da prendere, del fatto che i Sovietici stessi ricostruirono Kharkiv e gli altri centri abitati distrutti dai Nazisti pensando a un futuro assedio. Ma davvero i nostri esperti, un po’ come i carristi russi, non hanno mai guardato una mappa dell’Ucraina?

La sanguinosissima presa di Mariupol

In quarto luogo, non può vincere, infine, perché Mariupol non è ripetibile e ce lo insegnano proprio le enormi difficoltà incontrate dai Russi. Mariupol, infatti, è la sola città ucraina di una certa consistenza vicina alle basi dei Russi: eppure, sta macellando le truppe terrestri di Mosca così tanto che persino i Ceceni hanno preferito restare defilati. Pare evidente che se Kiev avesse avuto forze sufficienti, avrebbe potuto sdoppiare quelle presenti nel Donbass, le quali da un mese tengono a bada la pressione combinata delle due repubbliche separatiste e dei Russi, e trasformare Mariupol in una nuova Alesia, colpendo alle spalle gli assedianti e costringendoli a combattere sui due lati.

Escalation o nulla

Infine, non può vincere perché la Russia non ha l’arma definitiva che dia la certezza di una resa incondizionata da parte degli Ucraini e perché il fronte da cui possono venire i rifornimenti, esteso dalla Polonia alla Romania, è lontano dall’essere messo in sicurezza. Più Mosca aumenterà la pressione, più il Mondo libero si sentirà autorizzato ad armare l’Ucraina. Quello che oggi appare impossibile, imprudente e ingestibile, domani diventerà realtà se Putin continuerà a spingere verso l’escalation. Purtroppo per lui e per noi, indietro non può tornare: dovrebbe spiegare ai Russi come mai continuano la censura e le limitazioni della libertà, se tutto va bene e la vittoria è vicina.

In conclusione…

Come avrete capito, le perdite dei Russi sono l’elemento centrale del nostro ragionamento: logorano i reparti, mettono a terra il morale delle truppe, umiliano la credibilità delle forze armate russe, minano la saldezza dei ruoli di comando e, in definitiva, annullano col tempo il consenso di Putin. E di dette perdite abbiamo una cartella piena: mentre scrivo, ho qui di fronte a me dozzine di foto e video che non posso pubblicare, data la loro estrema crudezza, superiore a quanto il lettore possa immaginare. Sono decine di convogli e di postazioni delle forze russe annientate a Kherson, a Irpin, a Sumy, a Mariupol negli ultimi giorni… Vi ripeto solo quanto riportato da personale medico bielorusso a Deutsche Welle la scorsa settimana, su uomini senza arti, né occhi, né orecchie, come non se ne vedevano dai tempi delle guerre di logoramento dei tempi passati.

Quindi, quando la Komsomolskaya Pravda, facendo eco al nostro articolo, parla di quasi 10.000 morti e 16.000 feriti, forse tace delle vittime fra i Ceceni, Wagner e gli altri paramilitari, annientati a centinaia nelle ultime quattro settimane e nulla aggiunge all’impressione che gli attacchi dal cielo sulle città ucraine servano solo a accentuare l’impressione di una guerra “vecchia maniera”, combattuta da entrambe le parti con estrema brutalità e dove finire fra i prigionieri è cosa rarissima.

È in questo scenario che si rincorrano tante voci di purghe del Cremlino fra gli alti vertici delle Forze armate e dei servizi di intelligence. Tutto ciò non fa che confermare l’impressione che Putin abbia citato il paragrafo sbagliato del Vangelo di San Giovanni. Noi, che continuiamo a considerare come un fallimento la guerra come impostata da Putin, avremmo piuttosto citato Caifa: “Bisogna che un uomo solo muoia per la salvezza di tutto il popolo”.

  

P.S. Ma se domani la Russia vince la guerra facilmente e ci rimetti la faccia? Così, mi chiese a inizio marzo il barbiere, davanti alle mie certezze sulla tenuta di Kiev. Il rischio di perdere la mia faccia, allora come oggi, è poca cosa rispetto all’arrivo delle forze di Putin al confine con la NATO e i rischi enormi connessi. Se io ho ragione, lo scenario è da incubo. Se io ho torto, è quasi lo stesso incubo…

Fotogramma: web