I due marò e le mancanze dello Stato

13/04/14

In una democrazia moderna lo Stato è inteso come la società allargata di cittadini che vivono ed operano in una collocazione territoriale ben definita nella quale esercita la propria sovranità tutelando i diritti di ciascuno secondo la regola del “buon padre di famiglia”.

L’articolo 2 della nostra Costituzione definisce nel particolare quelli che potremmo chiamare gli obblighi dello Stato verso i cittadini. “la Repubblica garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo sia nella formazione sociale ove si sviluppa la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

Nei confronti di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone chi era al momento dei fatti responsabile della gestione dello Stato, probabilmente ha dimenticato i contenuti del secondo articolo della Carta Costituzionale. Non ha, infatti, garantito ai due fucilieri di Marina il diritto inviolabile di ogni cittadino di essere giudicato dal suo giudice naturale pur essendoci tutti i presupposti per farlo. Non ha, nemmeno, assicurato a due militari il diritto dell’immunità funzionale riconosciuto dal diritto pattizio ed applicato da quasi tutti gli Stati del mondo. Infine non li ha sostenuti nemmeno come appartenenti ad una formazione sociale vitale per qualsiasi Stato, quella dello status militare, negando loro la solidarietà politica e sociale.Ha, invece, delegato ad uno Stato terzo un diritto indebito, quello di giudicare due rappresentanti dello Stato pur in assenza di certi ed inequivocabili riferimenti probatori, come possibili prove od indizi a loro carico, accettando di fatto che l’India oltraggiasse il più elementare diritto dell’uomo, quello della negazione arbitraria della libertà personale. Una serie di “dimenticanze” che ha portato i due marò ad essere ostaggio dell’India da 26 mesi, costretti a subire una serie altalenante di situazioni certamente non semplici sul piano psicologico, coinvolgendo anche i famigliari.

“Una serie di mancanze” che lo Stato attraverso i massimi rappresentanti istituzionali ha commesso a danno di due cittadini italiani, disattendendo completamente il citato articolo 2 della Costituzione ed ad altre specifiche norme costituzionali ed afferenti il Codice Penale.

Il 15 aprile p.v. saranno trascorsi 780 giorni da quando Roma ha ceduto la propria sovranità nazionale delegando l’India a farlo per proprio conto, un’Italia che, invece, nel marzo 2013, attraverso una mirata ed attenta azioni diplomatica, aveva creato le premesse per applicare quanto previsto dal Diritto Internazionale e dalle Convenzioni del Mare.

In quei giorni era stato deciso ai massimi livelli dell’esecutivo di trattenere i due marò i Italia non facendoli rientrare in India come “ritorsione” nei confronti di Delhi che ignorava le richieste italiane ufficializzate con tre “note verbali” con le quali si chiedeva all’India di aprire un tavolo di trattative ed avviare immediatamente un arbitrato Internazionale.

Al contrario, improvvisamente e con l’alibi di dover “mantenere la parola data”, veniva annullata la decisione ed i militari riconsegnati a Delhi subendo anche un vero e proprio ricatto indiano che minacciava di togliere l’immunità diplomatica al nostro ambasciatore Mancini. Una decisione improvvida le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, palesemente non determinata dall’obbligo di mantenere un impegno dato ma per difendere interessi economici non meglio chiariti, anche se chiaramente appartenenti a lobby di potere finanziario e politico.

Una decisione che innanzi tutto rappresentava una palese omissione di quanto prescritto dall’articolo 2 della Costituzione, nel momento che non sono stati garantiti i “diritti inviolabili dell’uomo”, utilizzato, invece, come merce di scambio.

Il 22 marzo Massimiliano Latorre e Salvatore Girone furono riconsegnati all’India che pretendeva di indagarli e giudicarli per un possibile reato per il quale l’ordinamento giudiziario indiano prevedeva la pena di morte.

I due Fucilieri di Marina sono stati, quindi, riconsegnati dando corso ad “un”estradizione processuale”, in contraddizione con quanto prevede nello specifico la Costituzione italiana e l’articolo 698 del Codice di Procedura Penale che vieta l’atto quando la persona interessata è destinata a subire un procedimento penale che non assicura i diritti fondamentali della difesa attraversi un’azione accusatoria basata su prove certe.

La decisione istituzionale all’epoca veniva giustificata dal fatto che l’India non avrebbe applicato la pena di morte secondo una dichiarazione scritta dell’addetto di affari indiano in Italia. Una scelta incauta in quanto in netta contraddizione con quanto stabilito da una sentenza della Corte Costituzionale (n. 223 del 27 giugno 1996) in cui la Suprema Corte ha ritenuto la semplice garanzia formale della non applicazione della pena di morte è atto insufficiente alla concessione dell’estradizione. Suprema Corte che più nello specifico si è espressa attraverso la Sezione VI (Sentenza n. 45253 del 22 nov. 2005,Cc. Dep. Il 13 dic. 2005, Rv, 232633 ).

Una determinazione autonoma dell’esecutivo, resa operativa in assenza anche di valutazioni e decisioni giuridiche di un tribunale italiano ed assolutamente in contrasto con quanto sentenziato dalla Sez. VI il 10 ottobre 2008 n. 40283, dep. 28 ottobre 2008 affermando tra l’altro che “ai fini della pronuncia favorevole all’estradizione, è richiesta documentata sussistenza e la valutazione di gravi indizi…”, indizi che l’India ancora non ha formalizzato.

Questi gli eventi prevalenti che hanno indotto a parlare di “mancanze dello Stato”. Fatti e decisioni gestite dall’allora premier Monti, forse distolto da quelli che potremmo chiamare vincoli giuridici perché impegnato “a fare di conto” e supportato nel suo processo decisionale da Ministri dai curriculum altisonanti, ma forse proprio per questo, non sempre idonei a comprendere la sofferenza degli altri.

Personalità di tutto rispetto della politica e del mondo imprenditoriale. Alcuni di costoro in procinto forse di accedere ad importanti incarichi nel mondo imprenditoriale, altre impegnate a strutturare e rappresentare nuove realtà politiche.

Chi rappresenta lo Stato ai massimi livelli ordinativi non può permettersi però di “non sapere” i vincoli imposti dalla nostra Costituzione o interpretarli in “modo plastico” secondo le circostanze. Nella vicenda specifica, invece, ciò è avvenuto interpretando l’articolo 2 della Costituzione che vincola lo Stato a determinati obblighi nei confronti dei propri cittadini e precipue sentenze della Suprema Corte in tema di estradizione.

Una vicenda che merita di essere analizzata nel dettaglio per evitare che entri a far parte del “database" degli innumerevoli misteri italiani e che, invece, dovrebbe indurre la politica a riappropriarsi del proprio ruolo e riconsegnare ai cittadini la certezza di essere tutelati piuttosto che utilizzati come merce di baratto.

Fernando Termentini