Coronavirus: la prossima emergenza sarà alimentare? La proposta di Difesa Online

(di Antonio Vecchio)
03/04/20

Si fa un gran parlare in questi giorni dell’improvvisa (indebita per alcuni) penetrazione di Cina e Russia nel nostro Paese. Una presenza certamente necessaria, vista la contingenza attuale che ci impone di non guardare in bocca a caval donato, sempre che il cavallo non faccia poi la fine delle tonnellate di "aiuti" provenienti da Pechino, che si è scoperto essere stati regolarmente acquistati dal nostro governo.

Ma si sa, la politica internazionale, a tutte le latitudini, si fa con le armi di cui si dispone, mossa da ciò che conviene più che da cosa è giusto fare.

Un aspetto che la nostra classe politica, per cultura e formazione, non ha mai del tutto compreso, propensa come è a indulgere a prassi di vuoto ecumenismo (il Vaticano, d’altronde, lo abbiamo dentro casa), e ignorando che la politica, specie quella estera, è lo specchio delle convenienze e degli interessi nazionali, giammai l’esercizio di assoluti principi etici.

Ma questa è una vecchia storia, e i lettori più accorti e non allineati al comune pensare, avranno ben chiaro come nel tempo siamo stati vieppiù indotti a benedire globalizzazione e multilateralismo come dimensioni altre cui delegare fette sempre più importanti di sovranità e di produzioni industriali.

Inducendo, in un paese che a Mirandola (MO) ospita il secondo distretto1 bio-medicale del mondo, una fragilità endemica che si è rivelata, in questo particolare frangente, nella mancanza di prodotti e macchinari medicali fondamentali, come respiratori e mascherine.

Si spera allora che il dopo emergenza produca una profonda riflessione innanzitutto sui limiti del mondo globalizzato e sulla necessità di riportare a livello nazionale produzioni strategiche, come prontamente annunciato tre giorni fa dall’ ”europeista” Macron, che ha stanziato 4 miliardi di euro “per riportare in Francia la fabbricazione di prodotti medicali strategici” e così ricostruire “nel settore una sovranità nazionale e europea”.

Nelle crisi però le sfide non sono mai sole, e quella alimentare, originata da pulsioni protezionistiche (ma non solo), potrebbe essere la prossima da affrontare con strumenti ancora più significativi.

Dà l’allarme Maximo Torero Cullen, capo economista della FAO, direttamente sul sito2 dell’organizzazione internazionale, rispondendo ad alcune domande sull’attuale emergenza.

L’alto funzionario ONU fa notare che gli effetti dei “lockdowns” iniziano ad “avere un impatto sulle catene di approvvigionamento (value chain) a causa delle chiusure dei porti e dei rallentamenti nei commerci marittimi”. Problemi che potrebbero acuirsi nei prossimi mesi, a causa “delle possibili interruzioni nel settore della logistica”.

Motivo per cui invita gli Stati a “lavorare assieme per mantenere favorevoli relazioni commerciali” senza imporre barriere doganali e dazi o impedendo l’esportazione dei generi alimentari (circa il 20% delle calorie che ogni giorno assumiamo provengono dall’estero).

La FAO, infatti, prevede3 per aprile e maggio probabili interruzioni nelle catene di approvvigionamento alimentare e della produzione agricola e acquatica, dovute alle restrizioni dei trasporti e alle misure di quarantena, ma anche alla carenza di fertilizzanti, di medicinali veterinari e di altri prodotti che concorrono alla produzione agricola.

Con una particolare attenzione alla carenza di personale, che rischia di dare il colpo di grazia all’intero comparto.

La parola d’ordine, per la FAO, è sostenere ad ogni costo la produzione e il commercio senza ostacolare la libera circolazione delle merci. Esattamente quello che alcune nazioni hanno già iniziato a fare.

Il Kazakistan, tra i maggiori produttori di farina di grano - riporta4 Bloomberg - ha già vietato le esportazioni del prodotto, e quelle di carote, zucchero e patate. Il Vietnam (terzo esportatore mondiale di riso) ha temporaneamente sospeso i nuovi contratti di vendita. Come ha fatto la Serbia con le esportazioni di olio di girasole e di altre merci.

Anche la Russia, primo produttore mondiale di grano, non esclude a breve di imporre divieti.

Per avere un quadro chiaro dell’impatto delle misure appena accennate, si consideri che dai rifornimenti di Mosca dipende tutto il nord Africa e da quelli del Vietnam, invece, le Filippine.

Se a questo uniamo la passione di Trump per i dazi, il quadro è completo e ci porta a prefigurare un futuro dei mercati non certo roseo.

Cosa succederà se misure analoghe saranno adottate dalla Cina con il suo miliardo e 400 milioni di bocche da sfamare e riserve alimentari per un solo anno?

E se la gente continuerà, come già avviene ovunque, a svuotare gli scaffali dei supermercati?

Ecco perché la FAO insiste nel suggerire le buone pratiche per evitare la carenza alimentare, soprattutto in quelle aree del mondo che sono meno attrezzate per reagire.

Non solo il mantenimento del libero commercio per tutelare l’approvvigionamento alimentare, ma anche la regolarizzazione dei lavoratori stagionali dai quali in massima parte dipende la raccolta del fresco.

Senza la manodopera straniera, infatti, alla beffa della fame si unirà quella dello spreco di materia prima, quest’anno, tra l’altro, abbondante e in buona parte destinata a non essere raccolta.

E da noi in Italia?

"L’approvvigionamento alimentare5 – sottolinea la Coldiretti, principale associazione di settore in una recente nota stampa - è garantito grazie al lavoro di 740mila aziende agricole, 70mila imprese di lavorazione alimentare e una capillare rete di distribuzione tra negozi, supermercati, discount e mercati. Una filiera che vale 538 miliardi di euro pari al 25% del PIL e vede impegnati al lavoro 3,8 milioni di persone (indotto compreso) per garantire l’approvvigionamento alimentare all’intera popolazione”.

Nessuna paura, quindi, perché “con l’aumento record del 6,8% della produzione di alimenti e bevande a gennaio, ci sono tutte le condizioni per garantire gli approvvigionamenti di mercati, negozi e supermercati dove vanno evitati inutili e pericolosi affollamenti”

La filiera continua a lavorare senza sosta utilizzando materie prime che per il 75% sono di produzione nazionale, ma per la restante parte, di origine estera, si hanno scorte solo per un mese.

Un discorso a parte merita invece la carenza di personale stagionale, che già condiziona drammaticamente la raccolta di ortaggi, verdure e frutta, ma anche la mungitura.

Del milione e 100mila unità impiegate nel comparto agricolo - spiega6 Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura - 400mila sono operatori stagionali stranieri regolari, provenienti in gran parte dall’est Europa, e di questi ora ne mancano 200 mila rientrati nei rispettivi paesi e lì bloccati dal COVID.

Senza braccia, da trovare urgentemente nelle prossime settimane, intere colture non saranno raccolte, andando a peggiorare un quadro di situazione possibilmente caratterizzato da una minor quantità (e qualità) di generi provenienti dall’estero e dal conseguente aumento dei prezzi.

Non c’è tempo da perdere, non dobbiamo ripetere gli errori del recente passato quando alla dichiarazione delle stato di emergenza (31 gennaio 20207) non sono immediatamente conseguite misure per l’acquisizione di beni e servizi dettati dall’emergenza medesima.

Una proposta l’avanziamo noi su queste pagine: per rimpiazzare la manodopera stagionale bloccata nei paesi di origine, si faccia subito ricorso ai titolari del reddito di cittadinanza.

Se offerto su base volontaria, magari con criterio di rotazione, darebbe il senso di una immediata restituzione alla collettività nazionale del sostegno a suo tempo ricevuto, ponendo le basi per una possibile, futura occupazione, e garantendo, in questo grave frangente, il mantenimento dell’autonomia alimentare di tutta la Nazione.

Assicurando ai lavoratori fuori sede il rimborso spese per il vitto e l’alloggio, questa proposta avrebbe il vantaggio di attingere a un bacino potenziale di 1,9 milioni di persone8: quasi dieci volte il numero delle posizioni da coprire.

In alternativa, comunque, si potrà sempre ricorrere a lavoratori cinesi, russi o provenienti da Cuba...