Operazione EUNAVFOR-MED II o SOPHIA e l’azione delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea contro i trafficanti di esseri umani

(di Giuseppe Paccione)
11/07/16

Il Consiglio dell’Unione Europea (Consiglio costituito dai capi di Stato e/o di governo) ha statuito, nel maggio del 2015, l’operazione della Forza navale mediterranea dell'Unione Europea o EUNAVFOR-MED II, che è stata denominata SOPHIA, dal nome di una bambina somala nata su una nave da guerra, battente bandiera tedesca, che stava in missione di soccorso nelle vicinanze delle coste della Libia, il 24 agosto del 2015.

Fa parte del quadro comprensivo dell’UE a favore delle migrazioni e costituisce la risposta sul piano prettamente dell’azione militare della politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) contro il traffico e la tratta degli esseri umani, nell’intera aerea del mare Mediterraneo. Questa operazione è stata così designata per affrontare il problema della tratta dei migranti e il traffico degli individui organizzato in Libia. Si rammenti che l’operazione SOPHIA, in aggiunta, rappresenta la seconda operazione del mare della PSDC, dopo l’operazione ATALANTA, che consiste nell’azione militare dell’Unione Europea contro la pirateria al largo della Somalia.

In base alla decisione del Consiglio UE, circa l’operazione militare dell’UE nell’area del Mediterraneo sud centrale, tale operazione ha come fine quello di identificare, fermare e porre fuori uso imbarcazioni e mezzi utilizzati o sospettati di essere utilizzati dai passatori o dai trafficanti. Si svolgerà in tre fasi successive – con probabilità anche una quarta – e il Comitato politico e sicurezza ha il potere di decidere in merito a quando effettuare la transizione fra le varie fasi dell’operazione, soggetto alla valutazione del Consiglio europeo. Infatti, l’articolo 6, paragrafo 1, della decisione 2015/778, enuncia che “Il CPS esercita, sotto la responsabilità del Consiglio e dell'AR, il controllo politico e la direzione strategica di EUNAVFOR MED. Il Consiglio autorizza il CPS ad assumere le decisioni pertinenti a norma dell'articolo 38 TUE. Tale autorizzazione include le competenze necessarie per modificare i documenti di pianificazione, compreso il piano operativo, la catena di comando e le regole di ingaggio. Essa include inoltre le competenze necessarie per adottare decisioni relative alla nomina del comandante dell'operazione dell'UE e del comandante della forza dell'UE. Le competenze decisionali riguardanti gli obiettivi e la conclusione dell'operazione militare dell'UE restano attribuite al Consiglio. Fatto salvo l'articolo 2, paragrafo 3, della presente decisione, il CPS ha il potere decisionale in merito a quando effettuare la transizione tra le varie fasi dell'operazione”.

Si rammenti che l’operazione è strutturata in fasi successive, dove, nella prima fase, quella avviata il 22 giugno del 2015, l’operazione SOPHIA sostiene l’individuazione e il monitoraggio delle reti di migrazione attraverso la raccolta di informazioni e il pattugliamento in alto mare.

La seconda fase, molto importante, si divide in due parti differenti. L’operazione SOPHIA o EUNAVFOR-MED II, che potremmo definire di fase II di tipo A, procederà a fermi, ispezioni, sequestri e dirottamenti di imbarcazioni sulle quali vi sia il forte sospetto che vengano utilizzate per il traffico e la tratta delle persone in acque internazionali. Questa operazione, inoltre, viene attuata, in base a delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite o mediante l’assenso dello Stato costiero interessato, nel proprio mare territoriale o acque interne – questa potrebbe essere definita fase II di tipo B. Infine, nella fase III, l’operazione SOPHIA adotterà ogni mezzo necessario nei riguardi di un’imbarcazione, attraverso l’assenso dello Stato costiero o in base a delle eventuali risoluzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni unite, sospettata di essere usata al fine di trafficare o applicare la tratta di persone, compresa la sua eliminazione o fare in modo di che tale imbarcazione sia resa non utilizzabile.

A partire dal 22 giugno 2015, quando il Consiglio UE adottava la decisione circa l’avvio dell’operazione militare dell’Unione Europea nel Mediterraneo centromeridionale, sino al 7 ottobre dello stesso anno, tale operazione completava la sua prima fase inerente la raccolta di pertinenti informazioni – necessaria per l’intelligence – e il pattugliamento marittimo in alto mare. In base alla decisione adottata dal Comitato politico e di sicurezza, l’Operazione SOPHIA si è uniformata nel contesto della fase II di tipo A, quest’ultima avviata nel marzo del 2016. Sin dal suo avvio, l’Operazione SOPHIA ha soccorso più di ottomila migranti, distrutto oltre sessanta imbarcazioni e contribuito all’arresto di quasi una cinquantina di trafficanti e responsabili della tratta di persone. Tuttavia l’UE vuole essere autorizzata per fare molto, consapevole che, contrastare i passatori e i trafficanti di esseri umani, chiaramente sia necessario farlo nel mare territoriale libico o dal suo territorio. Questa è la ragione per cui si è cercato di ottenere l’assenso del Governo d’intesa nazionale libico e/o una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che autorizzi le attività determinate nella fase II di tipo B e la terza dell’Operazione SOPHIA. L’unico risultato di questi negoziati è, dunque, la risoluzione n.2240 del 9 ottobre del 2015, adottata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che non consente il passaggio dalla fase II di tipo A, sebbene fornisce solo operazioni nelle acque internazionali, nel senso che è stato circondato da tali e tante limitazioni e cautele giuridiche da dare alla risoluzione un significato complesso ed articolato (…) e che il Consiglio di sicurezza si limita a richiedere agli Stati membri di assistere la Libia, su richiesta di quest’ultima, nella prevenzione e repressione del fenomeno nel territorio e nel mare territoriale libico. Nella risoluzione de quo si sta trattando, il Consiglio di Sicurezza autorizza gli Stati membri – agenti individualmente o nel contesto di organizzazioni internazionali, anche regionali –, in deroga al diritto internazionale, a ispezionare, in alto mare al largo delle coste della Libia, imbarcazioni sospettate di essere utilizzate per il traffico e la tratta di persone. Nel caso in cui si abbia la conferma positiva, il Consiglio di Sicurezza, inoltre, autorizza di porre sottosequestro tali natanti e tutto ciò che si trovi a bordo, e di usare ogni mezzo necessario per contrastare la tratta e il traffico di migranti. Inoltre, tale risoluzione del Consiglio di Sicurezza è stata recepita mediante la decisione del Comitato politico e di sicurezza il 20 gennaio 2016.

L’operazione militare dell’UE – come recita l’articolo 1 della Decisione PESC 2016/118 –, nell’area centromeridionale del mare Mediterraneo, è stata autorizzata ad iniziare dai fermi, dalle ispezioni, dai sequestri e dirottamenti in alto mare o acque internazionali di imbarcazioni sospettate di essere utilizzate per il traffico e la tratta di esseri umani, in concerto con le condizioni determinate dalla risoluzione del Consiglio di Sicurezza, di cui si è già detto nel precedente paragrafo, in conformità alla decisione 2015/778/PESC, per il tempo determinato in tale risoluzione e via discorrendo.

Le attività autorizzate nella disposizione coincidono con quelle previste nella fase II di tipo A dell’operazione SOPHIA o EUNAVFOR-MED II, che è stata condotta a partire dai primi di ottobre del 2015. Per la prima volta, è possibile sottolineare che l’intera struttura giuridica della operazione SOPHIA riconosce che essa va a colpire il traffico e la tratta delle persone che parte dalle coste libiche. Anche se solo in un richiamo, in seguito all’accordo da parte del Comitato politico e di sicurezza, gli Stati membri dell’UE potranno operare in alto mare e al largo delle coste libiche. Secondo il Comitato politico e di sicurezza, la risoluzione del Consiglio di Sicurezza n.2240/2015 rafforza l’autorità per adottare misure contro il traffico di migranti e la tratta di esseri umani dal territorio della Libia e al largo sempre delle coste libiche. Un’altra ulteriore conseguenza della risoluzione sta nel fatto che l’operazione SOPHIA è stata autorizzata con il preciso scopo di interdire non solamente imbarcazioni non battente alcuna bandiera, ma anche quelle libiche. Sempre ai sensi della risoluzione delle Nazioni Unite, l’operazione EUNAVFOR-MED II o SOPHIA richiede la propria autorizzazione oppure il consenso dello Stato considerato al fine di intraprendere le attività previste nella fase II di tipo A, se le imbarcazioni interdette non siano prive di nazionalità. Sebbene non riportato nell’mandato dell’Operazione SOPHIA, la distinzione fra le navi prive di bandiera e quelle con bandiera è inserita nella decisione del Consiglio UE 2015/778, in base a cui, in alto mare, conformemente al diritto interno e diritto internazionale, gli Stati possono bloccare imbarcazioni sospettate di traffico di migranti, in presenza dell'autorizzazione dello Stato di bandiera a fermare e ispezionare l'imbarcazione o qualora l'imbarcazione sia priva di nazionalità, e adottare le misure appropriate nei confronti delle imbarcazioni, delle persone e del carico.

Il numero di immigrati e trafficanti sulla rotta libica è destinata, purtroppo, a subire un incremento dopo la chiusura della rotta balcanica, avvenuta grazie all’accordo UE-Turchia. A parte le misure nazionali, il contenimento dell’immigrazione illegale è operato dalla missione UE EUNAVFOR MED, sotto comando italiano. La missione non è un’operazione di search and rescue, come Mare nostrum, ma è diretta a contrastare il traffico illegale di migranti, attraverso – come già è stato scritto prima – l’identificazione, la cattura e la distruzione dei natanti, dopo aver ovviamente tratto in salvo le persone a bordo. Sul piano del diritto internazionale, la missione non comporta particolari problemi. Il fermo della nave coinvolta nel traffico ha luogo con il consenso dello Stato della bandiera ovvero su autorizzazione della pertinente risoluzione adottata dal Consiglio di Sicurezza. Qualora invece la nave sia priva di nazionalità, come accade nella maggior parte dei casi, le norme del diritto internazionale del mare ne autorizzano la cattura.

Per avviare la fase II di tipo B e la fase III dell’operazione, l’UE ha negoziato con i suoi omologhi, id est gli Stati membri, sia permanenti sia non permanenti, che compongono il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e il governo d’intesa nazionale libico (GNA). Presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite, durante il dibattito per l’adozione della risoluzione 2240/2015, vi è stata la contrarietà sia della Federazione Russa, sia di quella della Repubblica Popolare di Cina. La Russia, difatti, sostiene l’Egitto, per la ragione che si è data un obiettivo di repressione dell’islamismo e vede con sospetto pure soluzioni moderate come quello della Tunisia e di Fayez al-Sarraj. Al contrario della Russia, la Repubblica Popolare cinese considera l’islamismo una forza sovversiva da circoscrivere, ma arduamente concorderebbe con una partizione della Libia. Entrambi gli Stati potrebbero porre dei limiti in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite all’applicazione della linea che le Nazioni Unite portano avanti, solo se dovesse toccare i loro interessi di fondo. I negoziati bilaterali con il governo di accordo nazionale non hanno neppure raggiunto un ampio successo. È interessante notare che è stato presentato il rapporto per il semestre dal 22 giugno al 31 dicembre 2015 dell’EUNAVFOR MED II o Operazione SOPHIA al presidente del Comitato di politica e di sicurezza da parte del comandante delle operazioni EUNAVFOR MED II o Operazione SOPHIA come strumento per l’adozione di una strategia diplomatica. L’Unione Europea è ben intenzionata a convincere le autorità libiche a dare il proprio consenso attraverso il do ut des, cioè nel dare alla Libia qualcosa in cambio, pur di ottenere il consenso pieno per l’attuazione della successiva fase. Questo deve essere il rafforzamento della capacità della marina militare libica e la guardia costiera, che il comandante delle operazioni EUNAVFOR MED II avrebbe suggerito che potrebbe anche essere fatto dalla Operazione SOPHIA. Ciò può essere reputato come un esempio pratico di ciò che sia l’approccio o, meglio, il quadro complessivo dell’UE, nel senso che la stessa Unione Europea ha una serie di obiettivi che vengono sviluppati da Istituzioni competenti, che operano nell’ambito UE, e utilizza le sue politiche come strumenti per porre in essere gli obiettivi fissati. Questa definizione differisce dalla conoscenza generale nel senso che specifica l’integrazione sia civile, sia militare. La circoscritta interpretazione limita il quadro complessivo alla gestione delle crisi, che è stato definito nelle conclusioni del Consiglio del 2008. Potremmo in concreto ritenere che l’Operazione SOPHIA va focalizzato sulla dimensione che rientra in questo quadro complessivo attraverso una serie di punti, come quello di sviluppare un analisi condivisa, di definire una visione strategica comune, di porre attenzione sulla prevenzione, di mobilitare i diversi punti di forza e le capacità dell’UE, di impegnarsi a lungo termine e via discorrendo.

L’UE interviene nella politica internazionale di fare uso strategico del proprio ampio contenitore di strumenti, nel senso che vuole ottenere l’invito del governo di accordo nazionale (GNA), che è ritenuto importante per concretizzare il mandato pieno della operazione SOPHIA, offrendo in cambio il potenziamento delle strutture militari libiche.

Con l’EUNAVFOR MED II o Operazione SOPHIA, l’UE mostra la propensione e l’ambizione circa il proprio ruolo sulla scena mondiale. In primo luogo, l’UE non ha meramente reagito alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza o atteso che il governo di accordo nazionale libico desse l’invito per determinare in toto il mandato della operazione SOPHIA. La risoluzione n.2240/2015 è stata adottata il 9 ottobre del 2015, quando l’operazione EUNAVFOR MED II era stata già avviata da quattro mesi ed era già transitata verso la fase II di tipo A. In secondo luogo, questa può essere considerata la prima volta, quando un’operazione del Comitato di politica e sicurezza dell’UE prevede la possibilità di poter agire nelle acque interne e territoriali, come pure sul territorio di uno Stato sovrano, senza che vi fosse l’assenso di quello Stato, ma con la sola autorizzazione dell’organo principale delle Nazioni unite, id est il Consiglio di Sicurezza. In terzo luogo, l’Unione Europea sta attivamente lavorando per convincere i suoi omologhi di costituire gli strumenti internazionali che le consentono di fare più di quello che è attualmente consentito di fare oltre i suoi confini.

Una domanda fondamentale concernente la struttura giuridica dell’opera-zione SOPHIA sta nel fatto che degli individui sono stati catturati e soccorsi da imbarcazioni che partecipano all’Operazione. La risoluzione 2240/2015, di cui ho di sovente evidenziato in questo mio contributo, posiziona gli individui che sono stati soccorsi in uno status centrale nel momento in cui giustifica la sua autorizzazione, al fine di salvare le vite dei migranti o delle vittime del traffico di esseri umani a bordo di tali navi. Similmente, la risoluzione de quo autorizza un’operazione come quello di SOPHIA gli Stati membri, agenti individualmente o nell’ambito di organizzazioni regionali, ad usare tutte le misure necessarie (e quindi, teoricamente, anche misure implicanti l’uso della forza), proporzionate alle specifiche circostanze, per contrastare trafficanti di migranti ed passatori. In modo molto diversificato, la decisione del Consiglio europeo n.2015/778 punta al riferimento di individui catturati e/o soccorsi nell’ambito dell’operazione in maniera molto incidentale. L’unico riferimento nel mandato giuridico dell’operazione EUNAVFOR MED II o SOPHIA è sancito nel considerando 6.2 della decisione 2015/778 secondo cui le convenzioni CNUDM, SOLAS e SAR (Convenzione internazionale di Amburgo del 1979 sulla ricerca e salvataggio in mare) comprendono l'obbligo di assistere le persone in pericolo in mare e di condurre i sopravvissuti in un luogo sicuro e, a tal fine, le imbarcazioni assegnate a EUNAVFOR MED saranno pronte ed equipaggiate per assolvere ai relativi compiti sotto la guida del competente centro di coordinamento del salvataggio.

Il Consiglio UE non menziona la questione dell’esercizio di giurisdizione circa i trafficanti di esseri umani e passatori catturati sempre nel contesto dell’operazione SOPHIA. L’operazione è stata progettata per dissuadere le attività criminali portate avanti da un gruppo specifico di protagonisti, ma in alcuna parte del sistema giuridico è stabilito cosa fare di questi individui fermati. Questo si discosta largamente dall’altra operazione di mare posta in essere dall’UE, come Atalanta – nota come European Union Naval Force Somalia-EU Navfor –, che è stata avviata nel 2008 allo scopo di proteggere tanto i convogli di aiuti umanitari destinati alla popolazione somala quanto le navi mercantili degli Stati dell’UE esposte al rischio di atti di pirateria. L’articolo 12, relativa all'operazione militare dell'Unione Europea volta a contribuire alla dissuasione, alla prevenzione e alla repressione degli atti di pirateria e delle rapine a mano armata al largo della Somalia, dell’azione comune, 2008/851/PESC, del consiglio del 10 novembre 2008, è dedicato al trasferimento delle persone arrestate e fermate in vista dell'esercizio delle competenze giurisdizionali. Va, inoltre, aggiunto che vi sono state una serie di modifiche circa l’operazione Atalanta che hanno prolungato la durata della sua operazione. Ci si chiede, come mai sono individui catturati o soccorsi a bordo di navi che partecipano all’operazione EUNAVFOR MED II/SOPHIA a cui viene dato un ruolo secondario nella decisione 2015/778? Per quanto riguarda i migranti o le vittime dei trafficanti di esseri umani che sono considerati, l’anomalia potrebbe essere esaminata dalla ragione che l’UE ha tentato di evitare che SOPHIA fosse considerata come una vera e propria operazione di salvataggio. Come per gli individui catturati, una possibile risposta sta nella ragione che, mentre si sta cercando di ottenere il consenso del governo di accordo nazionale (GNA) libico al fine di operare nel mare territoriale ed acque interne – la c.d. fase II di tipo B – come pure sul suo territorio – fase III –, il Consiglio UE non ha fatto riferimento in modo ampio all’esercizio di giurisdizione nei riguardi di cittadini con nazionalità libica arrestati nelle acque internazionali.

L’Operazione EUNAVFOR MED II o SOPHIA solleva la ricorrente domanda della giusta scelta del fondamento giuridico nell’azione dell’Unione Europea. Nello strumento base dell’Operazione SOPHIA, il Consiglio UE scelse un solo fondamento giuridico del Comitato politico e di sicurezza. L'Unione Europea conduce un'operazione di gestione militare della crisi, che contribuisce a smantellare il modello di business delle reti del traffico e della tratta di esseri umani nel Mediterraneo centromeridionale (EUNAVFOR MED), realizzata adottando misure sistematiche per individuare, fermare e mettere fuori uso imbarcazioni e mezzi usati o sospettati di essere usati dai passatori o dai trafficanti di persone, in conformità del diritto internazionale applicabile, incluse la CNUDM (Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 – detta di Montego Bay) e le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Il punto centrale, pertanto, è quello di impedire talune attività criminose. Questo differisce ampiamente dalla risoluzione n.2240/2015 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dove portare in salvo le vite di esseri umani che si trovano a bordo di imbarcazioni utilizzate dai passatori e trafficanti di migranti, è ritenuta la ragione principale che va al di là dell’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ad agire contro tali imbarcazioni. Come menzionato antecedentemente, il solo riferimento alla dimensione del soccorso dell’Operazione SOPHIA è reperibile nel punto 6, paragrafo 2 della decisione n.2015/778 che richiama all’assistenza obbligatoria, ai sensi delle convenzioni CNUDM, SOLAS e SAR.

L’obiettivo di smantellare il modello di business delle reti del traffico e della tratta di esseri umani nel Mediterraneo sud centrale non pare sufficientemente giustificare la scelta per una singola base giuridica del Comitato politico e di sicurezza. Identificare il massimo scopo dell’UE nel contrastare queste attività criminali è, quindi, importante. È nel fare solo in questo modo che si può prevenire ulteriori perdite di vite umane nella acque internazionali o arginare l’immigrazione illegale nell’ambito dell’UE? Sebbene non in modo molto trasparente, la decisione del Consiglio UE n.2015/778 indica che la risposta è positiva in entrambi i casi, in cui, al punto 2, evidenzia che il Consiglio europeo ha espresso la propria indignazione per la situazione nel Mediterraneo, sottolineando che l'Unione Europea stessa si adopererà con ogni mezzo a sua disposizione per evitare ulteriori perdite di vite umane in mare e per affrontare le cause profonde di quest'emergenza umanitaria, in cooperazione con i Paesi di origine e di transito, e che la priorità immediata è quello di evitare altre vittime in mare. Ciò è differente rispetto al conferire uno scopo di soccorso all’Operazione SOPHIA. L’idea, in questo caso, sta nella ragione che l’Operazione de quo mira a contrastare le varie reti di trafficanti di esseri umani e di passatori con il fine di prevenire molta gente dal salire a bordo di imbarcazioni, in cui le loro vite dovessero trovarsi in serio pericolo. Inoltre, viene rammentato che il Consiglio UE si è impegnato a rafforzare la presenza dell'Unione Europea in mare, al fine di prevenire i flussi migratori illegali e di rafforzare la solidarietà e la responsabilità interna. Visto che l’Operazione SOPHIA si occupa, a grande misura, di fermare le immigrazioni illegali nell’ambito dell’UE con strumenti militari – è parte del quadro complessivo dell’UE alla migrazione – un aggiuntivo fondamento giuridico dell’Area of Freedom, Security and Justice sarebbe stato favorevole. Per di più, per quanto riguarda strettamente la scelta del fondamento giuridico, esistono altre questioni concernente la dimensione normativa del sistema giuridico della Operazione SOPHIA. In modo netto, la decisione n.2015/778 del Consiglio UE non conferisce una missione di soccorso a EUNAVFOR MED II o SOPHIA. Non si riferisce neppure a coloro che migrano, tentando di attraversare il mare del Mediterraneo come potenziali richiedenti asilo o per l’esistenza di una crisi dei rifugiati. Pur riconoscendo l'esistenza di una emergenza di carattere d’umanità nel Mediterraneo, la crisi viene trattata come unicamente crisi del migrante. La risoluzione n.2240/2015 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, contrariamente, riconosce il fatto che fra i migranti vi possano essere individui che rientrano nella definizione di rifugiato, facendo riferimento anche ai richiedenti asilo, e menziona che i migranti vanno trattati secondo il diritto del rifugiato, cioè a dire la Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati nonché il principio di non-refoulement e il diritto internazionale dei diritti umani. Il principio di non-refoulement è sancito nel paragrafo 1° dell’articolo 33 della Convenzione sullo Status dei Rifugiati – Convenzione d Ginevra del 1951 –, secondo cui nessuno Stato contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.

Il Consiglio UE non può essere imputato per gli aspetti normativi negativi nel contesto giuridico dell’Operazione SOPHIA (che sono particolarmente evidenti se letta congiuntamente con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza n.2240/2015). Oltre ai molti diversi sentimenti politici tra gli Stati membri per quanto riguarda la risposta dell'UE alla emergenza umana nel Mediterraneo, il Consiglio deve fare i conti con importanti vincoli costituzionali. Il Consiglio UE non è disattenta alle opinioni della Corte Europea di Giustizia circa l’uso doppio dei fondamenti giuridici della PESC o non PESC.

Utilizzando una sola base giuridica della PESC, e, ergo, che respinge un fondamento giuridico aggiuntivo dell’AFSJ (dell’Area of Freedom, Security and Justice), il Consiglio UE è certamente più al sicuro dall'abrogazione della decisione del Consiglio 2015/778.

Sia come sia, considerando i piccoli migranti di ruolo (per non dire i rifugiati!) giocare nel quadro giuridico di SOPHIA, forse l'UE avrebbe dovuto evitare di rinominare l'operazione come SOPHIA, dopo il nome di una ragazza rifugiata, nata a bordo di una nave battente bandiera tedesca che partecipa all'operazione.

(foto: EUNAVFOR-MED)