Diniego e revoca del porto d’armi: come orientarsi e come tutelarsi (in base alla giurisprudenza)

(di Avv. Francesco Fameli)
14/02/20

Il rilascio e la conservazione della titolarità del porto d’armi vanno com’è noto soggetti a plurimi, rigorosi accertamenti, che prendono in considerazione, tra l’altro, la personalità del richiedente, i suoi precedenti penali e persino quelli dei suoi conviventi.

L’esperienza maturata attraverso l’assistenza quotidianamente prestata in materia, tuttavia, mostra che troppo spesso i provvedimenti di diniego ed in particolare di revoca disposti dalle Amministrazioni competenti soffrono di eccessiva rigidità, e finiscono col rivelarsi non di rado palesemente illegittimi.

Una breve e sintetica rassegna di casi giurisprudenziali recenti, in cui la contrarietà a legge dell’atto è stata acclarata dall’Autorità giudiziaria, potrà essere d’aiuto a chi si trovi a fronteggiare determinazioni di tal fatta.

1. Il diniego o la revoca, anzitutto, devono essere adeguatamente motivati

Il primo dato da considerare – una vera e propria cartina di tornasole, ai fini del corretto vaglio di legittimità dei provvedimenti negativi della specie qui considerata – è senz’altro l’adeguatezza della motivazione dell’atto contestato, da valutarsi in termini di completezza, logicità e non contraddittorietà (interna all’atto ed esterna, vale a dire rispetto ad altri provvedimenti che abbiano coinvolto l’interessato, nonché nei confronti degli atti interni al procedimento definito attraverso l’adozione del diniego o della revoca).

In T.A.R. Campania – Napoli, n. 760/2017, così, ad esempio, si è ritenuto illegittimo il provvedimento di revoca impugnato, in quanto non conteneva una valutazione specifica della personalità dell’interessato. Del resto, il pericolo legato all’utilizzo delle armi deve sussistere in concreto e non in astratto, e la valutazione circa l’affidabilità del soggetto coinvolto non può essere compiuta che analizzando puntualmente la situazione particolare oggetto di verifica.

2. La revoca del porto d’armi, per essere adeguatamente motivata, deve indicare specificamente il mutamento delle condizioni che ne avevano consentito il rilascio

Con riguardo al vaglio da condursi ex post sul processo motivazionale che intende sorreggere il provvedimento negativo, poi, con riferimento specificamente alle ipotesi di revoca del porto d’armi, sarà necessario verificare che l’Amministrazione adita abbia puntualmente giustificato per quali ragioni e sotto quali profili debba ritenersi mutata in peius la situazione presupposta, che aveva di contro condotto originariamente al rilascio del titolo abilitativo.

È quanto ha evidenziato di recente anche il T.A.R. Molise, n. 10/2018, in cui si precisa al riguardo che “l’Amministrazione ha preso in esame gli stessi fatti che l’avevano indotta, negli anni precedenti, a concedere la licenza, esprimendo tuttavia una valutazione opposta. Non sono spiegate le ragioni del capovolgimento della decisione finale, pur in presenza di una stessa, identica situazione”.

3. L’istruttoria dev’essere completa e partecipata

Un altro filone giurisprudenziale ha evidenziato come l’istruttoria procedimentale, in questa materia più che mai, debba essere completa e partecipata, così da consentire all’interessato di esporre le proprie ragioni, depositando memorie e documenti. In Cons. Stato, Sez. III, 5.2.2015, n. 575, ad esempio, si è annullata la revoca disposta sul solo presupposto di un unico precedente penale, costituito da un singolo episodio di guida in stato di ebbrezza, ex art. 186, c. 1, C.d.S., cui peraltro erano seguiti esami ematici del tutto nella norma, e ciò sul presupposto delle violazioni procedimentali poste in essere dalla p.a. procedente.

A tale riguardo, si ribadisce la necessità, tra l’altro, della comunicazione di avvio del procedimento, di cui all’art. 7 della legge n. 241/1990, nonché di un attento vaglio della documentazione prodotta, oltre che delle relative memorie depositate dal soggetto istante, anche ai sensi dell’art. 10-bis, a seguito dell’eventuale comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza (c.d. preavviso di rigetto), che l’amministrazione procedente deve obbligatoriamente valutare (ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 16 giugno 2003, n. 3380).

4. Il diniego e la revoca devono rispettare tutti i principi che costituiscono altrettanti limiti negativi della discrezionalità amministrativa

Ancora, i provvedimenti di diniego o di revoca emessi in materia di porto d’armi non sono di cero esentati dal necessario rispetto dei principi che si pongono come limiti esterni (o c.d. negativi) rispetto all’esercizio della discrezionalità amministrativa. Tra questi figura senz’altro quello di proporzionalità (o del “minor sacrificio”, secondo l’insegnamento di M.S. Giannini), secondo il quale la p.a., nel perseguimento in concreto dell’interesse pubblico, non può pregiudicare gli interessi giuridicamente rilevanti dei cittadini in misura maggiore di quella strettamente necessaria allo svolgimento di tale funzione ed al conseguimento di tale obiettivo. Così, ad esempio, è stato ritenuto illegittimo per violazione del suddetto principio il provvedimento di revoca del porto d’armi disposto nei confronti di un cacciatore che durante una battuta aveva provocato accidentalmente lesioni lievi ad un compagno di caccia (Cons. Stato, Sez. III, 14 marzo 2014, n. 1303). Come pure, in applicazione dello stesso principio, in T.A.R. Emilia Romagna, n. 445/2015 si è considerata illegittima la revoca conseguita ad una mera lite occasionale in famiglia, alla quale aveva peraltro fatto seguito una riappacificazione, senza che vi fossero stati strascichi giudiziari.

5. Un’ipotesi specifica (ed assai ricorrente): il diniego e la revoca del porto d’armi in caso di precedenti penali dell’interessato (rinvio)

Quanto poi specificamente al rilievo dei precedenti penali, si rinvia ad altro articolo che abbiamo già pubblicato su questa stessa Rivista (v.link).

In estrema sintesi, molto dipenderà dalla natura del reato contestato (o peggio ancora accertato, magari con sentenza passata in giudicato). Solo nei casi in cui vengano in gioco sentenze aventi ad oggetto condotte criminose che attengano all’uso delle armi, o che comunque denotino un comportamento violento da parte dell’interessato, infatti, si potranno configurare un diniego od una revoca almeno sul punto legittimi (in tal senso, T.A.R. Emilia-Romagna – Parma, sez. I, 21 settembre 2015, n. 253, si vedano altresì, ex multis, T.A.R. Abruzzo, 15 gennaio 2015, n. 28; T.A.R. Sardegna, 26 giugno 2015, n. 888). Pertanto, di contro, nessun rilievo può rivestire al riguardo – vale a dire, allo scopo di giustificare validamente un provvedimento di diniego o di revoca – una sentenza o comunque un procedimento penale che abbia ad oggetto reati che non implicano l’uso di armi o che comunque che non manifestano che il richiedente abbia denotato un’indole violenta o aggressiva (così T.A.R. Toscana, 27 maggio 2016, n. 905, in cui si faceva questione di reati finanziari, ed ancora si veda anche T.A.R. Emilia-Romagna – Parma Sez. I, 21 settembre 2015, n. 253).

Conclusioni

La breve rassegna giurisprudenziale appena tratteggiata – in cui le pronunce considerate a titolo esemplificativo sono state distinte per area tematica – consente già di per sé di evidenziare che un attento vaglio dei provvedimenti di diniego e di revoca emessi in materia di porto d’armi dalle pubbliche amministrazioni competenti assai di frequente è in grado di produrre il riscontro di profili di illegittimità che, se adeguatamente valorizzati, possono consentire l’annullamento dell’atto negativo in sede di autotutela amministrativa o dinanzi all’Autorità giudiziaria.

Chi si trovi ad essere destinatario di simili determinazioni amministrative, dunque, potrà avvalersi – almeno in prima battuta – dei suddetti suggerimenti e criteri di valutazione per isolare gli eventuali vizi di legittimità dell’atto, così da avvalersene in sede stragiudiziale (attraverso la formulazione di istanze dirette ad ottenere un intervento in autotutela, o di ricorsi amministrativi, anche di carattere straordinario) o giudiziale (per il tramite di un ricorso da proporsi al tribunale amministrativo territorialmente competente). Ciò fermo restando che, anche con riferimento alla materia in esame, in ogni caso, lo strumento della tutela giudiziale si rileva quello di più pronta soluzione, specie nelle ipotesi in cui si possa far valere una qualsiasi ragione di urgenza, che permetta l’accesso ad una qualsivoglia forma di tutela cautelare.

Foto: U.S. Army