Sicut Nox Silentes, "Silenziosi come la notte": nella base del N.O.C.S. - antiterrorismo e controllo del territorio

(di Giusy Federici)
11/06/18

(Continua) Dalla sua nascita il Nocs ha subìto una grande evoluzione...

Andrea Mainardi - È così. Il reparto è nato per la lotta al terrorismo, ma poi si è occupato dei sequestri di persona, per poi arrivare al contrasto della criminalità organizzata fino a oggi che abbiamo di nuovo un’emergenza, questa minaccia terroristica che non si sa come e da dove può arrivare. E che obbliga, quindi, a fare un’attività di prevenzione a 360 gradi, pressoché impossibile visto il contesto. Si lavora sul territorio con un modello che si sta attuando non solo in Italia. Prima ancora dei fatti di Charlie Hebdo, eravamo consapevoli che il pericolo spesso è all’interno e che bisogna cercare di trovarci sul posto mentre stanno colpendo.

Armando Silvestro - Rimanendo in Francia, ricorda l’attentato al Bataclan? Il poliziotto all’interno del locale, che ha eliminato uno dei terroristi che stavano sparando, ha comunque salvato 20-30 persone. Proprio perché si trovava sul posto! Nella tragedia, se non si elimina il problema, comunque lo si limita parecchio. È importante la tempistica. In questo, devo dire, il comandante Mainardi ha avuto l’abilità di progettare in tal senso…

M – È stato un progetto condiviso, dove si lavora tutti insieme.

S - Proprio per questa tempistica, importante, si è provveduto – poi il comandante ha informato i vertici – a creare le famose Uopi (Unità operative di pronto intervento) che stanno sul territorio. Le Uopi possono agire in casi di necessità e poi, se le cose dovessero andare male, interverremmo noi per una definitiva risoluzione.

Ma questo non sta accadendo anche a livello europeo?

M – Sì, è quel che stanno facendo a livello europeo un po’ tutte le polizie, un gruppo che si chiama First-response: i gruppi speciali creano delle unità per una prima risposta che è fondamentale. Tornando al Bataclan, prima di intervenire sono passate due ore e i terroristi hanno fatto una strage. Quindi si è capito che serve gente sul territorio, ma non "la volante", perché non è strutturata per interventi del genere, se gli sparano addosso la macchina si buca… servono unità speciali che, però, sono sempre numericamente ridotte. In Italia abbiamo pensato di ampliare i corsi e, con adeguata formazione, creare qui da noi unità operative sul terreno, selezionate e preparate.

Ora sono presenti in 20 città d’Italia, vanno in giro con auto blindate, protezioni come giubbotto antiproiettile e strutturate per poter dare una risposta immediata di fronte a un attacco di violenza tale che il normale poliziotto, che pure è addestrato, non sarebbe in grado di fronteggiare, perché non ha la macchina blindata, né uno scudo balistico né protezione di giubbotto antiproiettile adatto per far fronte a queste emergenze. Diciamo che il Kalashnikov, l’Ak 47, ha un potere di penetrazione che il giubbotto antiproiettile da solo non ferma, quindi ci vuole anche la macchina blindata ed essere in grado di fronteggiare chi sta dall’altra parte.

E chi sta dall’altra parte, in genere, l’Ak 47 ce l’ha sempre…

M - È un’arma che si procura facilmente e con pochissimi soldi ed è terribilmente efficace. Ovviamente, si deve far fronte alla minaccia che è cresciuta e in una forma che non è quella del terrorismo di una volta. Nell’attacco che diventa drammaticamente forte.

E poi c’è il problema delle cellule singole, dormienti fino a nuovo ordine.

M - Ci sono i lupi solitari, che attaccano all’improvviso e sono difficili da individuare. La nostra direzione, in questo senso, lavora molto bene perché siamo riusciti, finora, a bloccare qualsiasi focolaio. Però è anche vero che un terrorista che colpisce Parigi ad arrivare a Milano non ci mette niente, la frontiera non esiste. Quindi, c’è tutto un discorso da fare globalmente. L’Europa unita è anche questo, è unita anche nella crisi e nella minaccia.

Ormai i terroristi, in questo caso di matrice islamica, non sono più necessariamente solo arabi, per cui il fenomeno di complica.

M – Non si può generalizzare…

S - Si deve allargare e modificare il sistema. Se alla nascita del Daesh/Isis si fosse intervenuti subito sul territorio, il fenomeno non si espandeva fino a questo punto. Io penso che si sia intervenuti tardi. E adesso, anche se li eliminiamo là, nei loro territori conquistati, le loro radici sono un po’ da tutte le parti e non si estirpano facilmente. Noi però abbiamo la fortuna che l’Antiterrorismo italiano è così ben strutturato nel territorio, dai tempi dell’Ucigos, che riusciamo a gestire il fenomeno.

M - In Italia abbiamo un’ottima polizia, senza fare paragoni con quella estera, ma costruita e sviluppata sul terrorismo che abbiamo avuto in casa, sull’esperienza fatta. È ovvio che la bravura, nei confronti del competitor con cui ci si va a confrontare, è che se ci si trova davanti una minaccia grave, la polizia deve crescere, altrimenti soccombe. E quindi con il terrorismo, c’è passato il cavaliere (Silvestro, ndr…), siamo dovuti crescere e ci siamo riusciti molto bene. Stessa cosa con la lotta alla mafia, dove siamo riusciti a fare cose che gli altri non si sognano neanche e non solo a livello strutturale e operativo, ma anche giuridico e di mezzi con cui contrastare il crimine organizzato.

Questa è un’eccellenza che all’estero ci invidiano…

M - Quando tanti anni fa lavoravo in Dia (Direzione investigativa antimafia), venne in visita l’ex premier francese Manuel Valls, allora ministro dell’Interno, che rimase stupito del fatto che dalla legislazione antimafia noi eravamo in grado di confiscare immediatamente i beni dei mafiosi e usarli a profitto delle forze di polizia. Da loro in Francia, disse, con il sistema giuridico che hanno che tende sempre all’ipergarantismo, una cosa del genere sarebbe fondamentale. Nel sud della Francia non esistono i mafiosi francesi ma ci sono quelli italiani trapiantati lì, di seconda generazione con “ius soli”, di cittadinanza francese ma collegati con la Calabria e altri luoghi in Italia. Ci sono delle zone nel sud della Francia che sono inquietanti, quelle interne a Marsiglia sono drammaticamente oggetto di investimenti mafiosi. I francesi non riescono più a venirne fuori. Noi invece abbiamo costruito un sistema giuridico ottimo.

Marsiglia, non è stata sempre un po’ un porto franco? Anche per i rapporti tra delinquenti italiani e d’oltralpe e da decenni… Solo che noi abbiamo reagito subito…

S – Sono quei princìpi che le ho detto prima. I nostri vantaggi sono legati alle disgrazie vissute da anni, dalle bombe ai Nap, ai Nar, etc. Mentre altrove hanno sempre avuto alti e bassi, noi siamo stati sempre in un Paese sotto tensione costante, una concentrazione continua che ci ha portato ad essere già strutturati per le emergenze terroristiche di oggi. Anche se le Brigate rosse dal ’90 sono un po’ uscite di scena. Certo, c’è sempre un monitoraggio, ma non destano più la preoccupazione di un tempo, l’epoca è ormai diversa ma questo stare sempre all’erta ci ha portato a non abbassare mai la guardia.

Anche per fenomeni come quelli dei No Global?

M – Sono fenomeni che si nascondono e che potrebbero esplodere. Non è un’attività nostra, se ne occupano altri colleghi, però il monitoraggio di tutte queste frange è continuo, perché lì si potrebbe nascondere il terrorista di domani. Sembra assurdo che possa nascere quest’ultimo da una violenza a una linea ferroviaria, eppure è così. Purtroppo l’umanità ha questi picchi di eccesso.

Ovviamente la linea ferroviaria è una scusa…

M - È una scusa per manifestare un dissenso che potrebbe trasformarsi in bombe e quant’altro. È anche ovvio che l’attenzione massima è sul terrorismo esterno, perché è quello che sta colpendo con attentati sanguinari in tutto il mondo, però non si abbassa la guardia nemmeno dalle altre parti. E devo dire che il sistema da noi funziona molto bene, la nostra Direzione ha un’attività frenetica, costante e in crescita. E finora, facendo i debiti scongiuri, in Italia non abbiamo ancora visto un attentato come quelli che hanno colpito l’Europa.

S – E, in compenso, ci sono stati tanti arresti preventivi, tante espulsioni. Preventivamente si fanno tante cose che la gente dimentica. Non c’è bisogno di fatti eclatanti, è un lavoro costante di controllo di territorio, persone, moschee.

S- Lei si chiama Federici, quindi il nome è tutt’altra cosa…ma lei somiglia molto ad Adriana Faranda, una famosa brigatista, la compagna di Valerio Morucci. Furono arrestati in zona Prati a Roma. Da non confondere con l’altra Faranda, che era una deputata del Pdup.

Le somiglio, cavalier Silvestro?

S – Molto…

Era un periodo particolare, tra sequestri e lotta al terrorismo.

S – Decisamente. Guardi, con tutti i film e le fiction dedicati al terrorismo che hanno dato in tv, “La meglio gioventù”, (diretto da Marco Tullio Giordana), rappresenta veramente lo spaccato di quell’epoca, dagli anni’60 in poi, su terrorismo e politica. Fa anche riferimento agli angeli del fango dell’alluvione di Firenze.

M - È la storia di una terrorista che nasce in un contesto borghese, come è davvero avvenuto, pensi al figlio del deputato Carlo Donat-Cattin. È la follia di un sistema che coinvolgeva, in un ambiente medio borghese, delle persone che andavano contro il sistema stesso.

S - Ma i passaggi tecnici sono giusti, perché la protagonista da un contesto borghese diventa simpatizzante, poi terrorista, va a Roma, le danno la valigetta con le armi, diventa latitante a tutti gli effetti.

Una situazione da cui era difficile uscire.

 S – Parecchi sono usciti quando c’è stato il blocco del terrorismo con l’avanzata delle forze di polizia… Diciamo che una parte di simpatizzanti di terzo livello hanno fatto un passo indietro e ne sono usciti in tempo. Non tutti erano conosciuti da polizia e Digos, oggi potrebbe essere chiunque.

In quell’essere contro il “sistema”, possiamo dire che c’era una certa simpatia verso i brigatisti perché contro i politici? Quell’odio che oggi è solo più evidente, a quei tempi c’era già…

 S – Un momento…  questa cosa è anche vera. Però, quando hanno sequestrato Aldo Moro, c’è stato un errore tattico da parte delle Brigate rosse. Loro, percependo questa simpatia, pensavano che gli italiani li avrebbero appoggiati. Invece, parliamoci chiaro, la tensione che ha creato il sequestro Moro è stata enorme. La paura era ovunque, persino negli asili. La gente, invece di sollevarsi contro il sistema, ha avuto paura. Perché hanno anche colpito una persona ritenuta mite, il simbolo del dialogo tra partiti politici opposti.

M - Era incongruente l’attacco fatto proprio a quella figura. Ed è stata una ricaduta contro di loro.

S - Sa qual è la frase ricorrente da chi viene fermato da una pattuglia? “Con tutti i delinquenti in giro, fermate proprio me?”… Ma che c’entra? Quelli sono controlli a campione. La gente vorrebbe la sicurezza senza fare i conti con la propria libertà, senza rimetterci nulla. È un concetto tutto italiano. Se ognuno fa come gli pare non va bene. Ci sono delle regole e vanno seguite. Ogni cosa ha un costo.

Tra le varie foto nel corridoio qui fuori ce n’è qualcuna di voi con i paracadutisti della Folgore. Lavorate anche con altri reparti di forze speciali?

M - Abbiamo fatto dei corsi di paracadutismo con la Folgore perché il brevetto di tipo militare era ritenuto più adeguato, anche quando ci si confronta con i reparti esteri. In Italia noi siamo associati al Gis del carabinieri con cui ci rapportiamo per tante cose. All’estero ogni sei mesi vengono fatte delle riunioni con tutti i comandanti dei reparti speciali, per il progetto chiamato "Atlas" dove ci si confronta, si preparano eventuali addestramenti congiunti, in vari Paesi d’Europa compresa l’Italia. C’è anche una normativa europea che prevede che, in caso di emergenza o criticità, un Paese che ha un suo reparto speciale insufficiente possa chiedere l’invio di reparti speciali da altri Paesi limitrofi. Naturalmente la cosa è teorica, perché tutti i reparti speciali pensano di essere migliori degli altri…

S - Il problema è la tempistica. Se capita qualcosa, prima che i vari reparti speciali si mettono d’accordo ce ne vuole e passa del tempo. Certo, se c’è gente in addestramento e succede una cosa in quel luogo, è chiaro che si può pensare a un intervento congiunto perché la squadra già c’è.

Leggi la prima parte: "Sicut Nox Silentes, "Silenziosi come la notte": nella base del N.O.C.S. - Storia ed evoluzione"

(foto: Nocs / Valerio Giannetti / autore / web)