“Osare l'inosabile”: gli “storici” Delfini d'acciaio

(di Lia Pasqualina Stani)
08/04/16

Taciti e“visibili” sono schierati nella banchina riservata all'ormeggio dei sommergibili presso il Comando Flottiglia Sommergibili di Taranto.

Quando la “classe” non è acqua: sembrano uguali visti in superficie, con un refitting che ne esalta la resistenza dell'acciaio HY80.

Appena di fronte sull'ingresso del Comflotsom guardo il logo: c'è un delfino.

Qualcuno può credere che sia un richiamo allo stemma della città di Taranto, sede del Comando presso l'Arsenale M.M, quasi un omaggio a Taras, figlio di Poseidone che cavalca proprio un delfino.

Si potrebbe interpretare quel delfino anche come un segno di buona fortuna: in realtà il primo sommergibile italiano, il “Delfino” (foto apertura), fu progettato da un ispettore del Genio Civile, l'ingegnere Giacinto Pullino.

Era un prototipo sperimentale, che dal 1890 al 1896 fu completato nell'Arsenale di La Spezia, sottoposto a continue modifiche, frutto di numerosi e successivi esperimenti. I cantieri navali italiani dislocati tra l'Arsenale di Venezia, La Spezia e Livorno, negli anni tra il 1903 e il 1913, costruirono i battelli della classe Glauco, della classe Medusa e il Foca.

L'Italia guerriera alla vigilia del 1°conflitto mondiale disponeva già di 21 sommergibili. Durante questo decennio le uniche innovazioni apportate ai sommergibili italiani furono l'irrobustimento dello scafo consentendo un'immersione sotto i 100m, l'uso di telecomandi oleodinamici e qualche perfezionamento ai sistemi di salvataggio.

La Marina Tedesca nel 1913 realizzò i primi 30 esemplari di U-Boot o Unterseeboot (battello sottomarino) con i quali silurò per tutta la durata della 1°guerra mondiale, non solo i navigli nemici ma anche le navi dei Paesi neutrali o estranei al conflitto in atto, non consentendo oltremodo agli equipaggi delle navi presi di mira da un U-Boot di mettersi in salvo con le scialuppe, per poi poter lanciare i siluri. Gli U-Boot andavano sott'acqua in fase di avvicinamento al nemico o per sfuggire ai cacciatorpediniere.

Presso l'Arsenale di Taranto nel 1920, il maggiore del Genio Navale Pericle Ferretti, realizzò un prototipo dello “Snorkel”, un sistema che forniva una comunicazione con l'atmosfera al sommergibile, immerso a quota periscopica, consentendo l'uso di motori diesel (per far ricaricare anche le batterie) permettendo anche il ricambio dell'aria nel sommergibile, senza risalire in superficie e garantendone l'occultamento. Fu sperimentato su un battello acquistato in Canada, lo “Smg H3” verso la fine del 1943. I tedeschi lo installarono sui primi loro battelli.

Nel 1915 i cantieri navali italiani, in continua sperimentazione, costruirono sommergibili “oceanici” e “costieri”, fino ad arrivare a 115 sommergibili, tra cui quelli della classe 600 che con le sue diverse serie, risultò tra le più efficienti oltre che meglio riusciti. Con questi nuovi battelli aumentarono sia il loro armamento che la loro autonomia, potendo immergersi anche fino a 130 mt, viaggiando ad una velocità di 20 nodi.

L'eroismo, il coraggio e l'abnegazione di molti sommergibilisti italiani accentuarono l'efficace impiego dei battelli italiani, che affiancarono gli U-Boot tedeschi, soprattutto durante il II° conflitto Mondiale, nell'Atlantico centro – meridionale e nell'Oceano Indiano contro la Francia ed Inghilterra prima della costituzione della base di Betasom a Bordeaux quando finalmente alcuni sommergibili riuscirono ad attraversare lo stretto di Gibilterra controllato dagli Inglesi.

Meritevoli quanto audaci furono le operazioni supportate da uno dei primi sommergibili impiegati dagli italiani: il “Pier Capponi”, sommergibile della Regia Marina costruito a Taranto presso i cantieri Tosi, varato il 20 gennaio del 1929.

Compì la sua 1° missione tra Pantelleria e la Tunisia, agli inizi della II guerra Mondiale, al comando del quale c'era il tenente di vascello Romeo Romei. Il 21 giugno 1940 avvistò il piroscafo armato svedese Heige che navigava dalla Tunisia verso Malta, che affondò con due siluri.

Gli italiani avvistarono un dragamine della vigilanza costiera maltese, che scambiarono per una nave francese, la fecero avvicinare, non appena sotto tiro delle mitragliere, aprirono il fuoco colpendo l'equipaggio. Di contro il Capponi fu bersagliato dai maltesi, per poi allontanarsi con il buio. Rientrato a Messina, lasciandola per dirigersi verso La Spezia fu avvistato da un sommergibile britannico, il Rorquai.

Non potendo tentare la fuga, i sommergibilisti italiani decisero di fingersi amici, salutando i marinai del battello inglese, che quando furono vicini alle mitragliatrici del Capponi aprirono il fuoco verso gli inglesi che curiosi si sporgevano. Contro gli italiani si aprì una pioggia di fuoco e il Capponi si inabissò, colpito da due siluri, con tutto l'equipaggio a poche miglia da Stromboli.

Alla memoria del comandante Romei fu conferita la medaglia d'oro al valor militare.

“L' Alessandro Malaspina” (nella foto a sx al Muggiano nel luglio 1940), un sommergibile oceanico appartenente alla classe Marconi, costruito a La Spezia, fu il 1° sommergibile italiano che raggiunse la base Betasom, riuscendo ad attraversare lo stretto di Gibilterra, nonostante la sua colossale stazza che l'ammiraglio tedesco Doenitz criticò, abituato alla pratica manovrabilità degli U-Boot.

L'equipaggio del Malaspina, al cui comando c'era il capitano di fregata Mario Leoni, era formato da marinai che non avevano alcuna esperienza di imbarco sui sommergibili: il loro addestramento avvenne durante le prove di collaudo del sommergibile stesso.

Il Malaspina fu anche il 1° sommergibile italiano che affondò una nave inglese “nemica”, la British Fame, con 4 siluri fino a costringere il suo equipaggio alla fuga, trattenendo come prigioniero il comandante, per poi affondare il naviglio a cannonate.

Il 23 aprile 1942 con il nuovo comandante, il tenente di vascello Giuliano Prini, con un siluro danneggiò il Lycan, un piroscafo passeggeri che riuscì, favorito dal maltempo ad allontanarsi.

Dal 6 settembre 1941, non si ebbero più notizie, fu dichiarato perduto in mare in circostanze sconosciute, anche se si attribuì la perdita del Malaspina ad una caccia con bombe di profondità da parte del cacciatorpediniere HMS Vimy oppure ad un attacco aereo da parte di un idrovolante Short Sunderland.

Al comandante Prini fu conferita la medaglia d'oro al valor militare.

Determinante fu l'impiego di un altro sommergibile italiano, il Comandante Cappellini (foto), appartenente alla classe Marcello, costruito nel cantiere di Muggiano.

Il 6 giugno 1940 salpò da Cagliari per raggiungere l'Atlantico in una zona compresa tra Casablanca, le Isole Canarie e Madera, con al comando il capitano di corvetta Cristiano Masi.

Attraversando lo Stretto di Gibilterra, un peschereccio antisommergibile lo attaccò. Fingendo delle avarie, il comandante Masi decise di rifugiarsi nel Porto di Centa per eludere le autorità spagnole con la Convenzione dell'Aja che consentiva alle navi dei Paesi belligeranti una sosta max di 24 ore in porti di Paesi neutrali. L'equipaggio e il comandante, finsero di essere scesi in franchigia, invece risalirono a bordo per ripartire durante la notte.

Appena ritornato a La Spezia assunse il comando, il capitano di corvetta Salvatore Todaro che raggiunta la base atlantica di Betasom, il 15 ottobre 1940 riattraversando lo Stretto di Gibilterra attaccò un piroscafo belga di grossa stazza che trasportava merci, il Kabalo: questo fu un episodio che rese il comandante Todaro e il suo equipaggio protagonisti di un gesto di grande umanità anche se fu interpretato, da un ufficiale tedesco come un segno di debolezza umana.

Todaro ottenne la resa e l'abbandono del Kabalo da parte del suo equipaggio, subito dopo le prime cannonate. Avendolo però, appena avvistato, silurato per tre volte per cercare di affondarlo, credendo di averlo completamente evacuato, si accorse della presenza di cinque uomini dell'equipaggio, che gettavano in mare una piccola scialuppa e chiedevano aiuto. Per motivi di spazio a bordo del Cappellini, Todaro decise di far salire solo i feriti e gli occupanti di una lancia del Kabalo, abbandonando i cinque naufraghi. Inaspettatamente Todaro, decise di invertire la rotta e trainò la scialuppa, anche se il cavo si spezzò più volte. Arrivati nelle Azzorre sbarcarono dal sommergibile - stracarico - i naufraghi raccolti (leggi articolo).

Il sommergibile Cappellini fu protagonista anche del salvataggio del Laconia, un transatlantico inglese convertito al trasporto di truppe e prigionieri affondato da un sommergibile tedesco, in cui persero la vita 1400 prigionieri di guerra italiani reduci dalla battaglia di El Alamein che erano a bordo della nave. Fu dirottato verso il luogo del disastro per recuperare i naufraghi che trovò in mare.

Il Cappellini fu catturato il 16 aprile del 1946 ed affondato al largo di Kobe.

Rimasero ad operare nell'Atlantico altri sommergibili italiani, tra cui il Calvi e il Da Vinci.

Ad un patriota e martire del Risorgimento Italiano fu intitolato il sommergibile “Pietro Calvi”, costruito presso Muggiano ed assegnato alla I flottiglia Sommergibili con base a La Spezia, a cui appartenevano i “gemelli” Finzi e Tazzoli.

Durante la sua ultima missione, affidata al comando del capitano di fregata Primo Longobardo, durante l'avvistamento del convoglio Sierra Leone–Regno Unito fu rilevato da una nave britannica, la Luiworth che lo attaccò costringendolo all'immersione. Danneggiato dalle bombe di profondità, sprofondò in via di allagamento. Il comandante Longobardo cercò di riemergere per attaccare con i cannoni, la Luiworth lo mitragliò nuovamente, e mentre Longobardo ordinava ai suoi uomini di autoaffondare ed abbandonare il sommergibile, fu ucciso proprio da una scarica di mitragliatrice. Una squadra di abbordaggio del Luiworth penetrò nel sommergibile, affiancandosi, ma ne nacque uno scontro coi superstiti, che aprirono un tubo lanciasiluri, facendo riversare l'acqua all'interno, provocandone l'affondamento. Anche al comandante Longobardo fu riconosciuta la medaglia al valor militare.

Rilevanti successi furono conseguiti dal sommergibile oceanico, appartenente alla classe Marconi, il “Leonardo Da Vinci” (foto a sx), considerato come il migliore sommergibile non tedesco della 2^ guerra mondiale.

L'equipaggio ricevette un adeguato periodo di addestramento, e dimostrò la sua efficiente preparazione durante le operazioni militari del 1940, del 1941 e del 1943.

Il tenente di vascello Gianfranco Gazzana Priaroggia al comando del Da Vinci eseguì molte missioni ed altrettanti affondamenti di navigli nemici.

Quando il 22 maggio 1943, dopo aver inviato un messaggio alla base di Betasom per informare che avrebbe iniziato la navigazione occulta, fu incrociato dal cacciatorpediniere Active e dalla fregata Ness, che lo circuirono, seppur immerso, e lo colpirono con delle bombe di profondità. Solo quando vennero a galla relitti e resti umani si capì che il Da Vinci con tutto l'equipaggio non solo era affondato ma non esisteva più.

Il comandante Gazzana Priaroggia fu decorato con la medaglia al valor militare.

Nomi come quelli del comandante Gazzana, Todaro, Longobardo ed altri non sono finiti nel “dimenticatoio” ma sono ancora famosi non solo per l'umanità ed il coraggio che li caratterizzò come valorosi Marinai degli abissi ma anche perché a loro sono dedicati i sommergibili della classe Sauro e della classe Todaro dotati di una tecnologia avanzata, che sono oggi ormeggiati e sottoposti a continua manutenzione presso il Comflotsom dell'Arsenale M.M di Taranto.