L’evoluzione della conflittualità e l’importanza dell’informazione

09/12/14

Gli avvenimenti rivoluzionari avvenuti alla fine del secolo scorso, consistenti nella caduta dell’impero sovietico e nell’acquisizione da parte degli Stati Uniti del ruolo di unica superpotenza mondiale, hanno rapidamente provocato un cambiamento radicale degli assetti geopolitici e del modo di concepire le relazioni internazionali.

Sin dal 1648, anno in cui venne raggiunta la Pace di Westfalia che poneva fine alla Guerra dei Trent’anni, le relazioni geopolitiche si erano basate sul concetto di Stato – Nazione, ragion di Stato, rispetto assoluto della sovranità nazionale ed equilibrio delle forze. Un assetto, questo, che modificava il precedente sistema basato sull’identificazione dello Stato in funzione religiosa e che sostanzialmente, seppure attraversando successive guerre e rivoluzioni, manteneva il titolo di impianto internazionale maggiormente efficace per il mantenimento della pace al punto che, successivamente alla rivoluzione francese, i rappresentanti dei maggiori Stati dell’epoca si riunirono nel famoso Congresso di Vienna al fine di ripristinare l’ordine dei rapporti internazionali precedenti la rivoluzione stessa. Anche il successivo periodo delle lotte risorgimentali continuava ad avere come sfondo gli assetti individuati con la pace di Westfalia. Fino alla Prima Guerra Mondiale l’impalcatura internazionale era rimasta la stessa. Successivamente gli equilibri si modificarono, ma le due guerre mondiali presupponevano comunque un assetto conflittuale basato sul rapporto Stato – Stato. Lo stesso confronto post – bellico tra Stati Uniti ed Unione Sovietica ha mantenuto tale impostazione seppure in una accezione più “allargata” che andava a definire, più che uno scontro tra Stato e Stato, uno scontro tra blocchi statali, identificati in quello occidentale ed in quello orientale.

Con la fine del bipolarismo U.S.A. – U.R.S.S. e della conseguente guerra fredda, fondata sul cd. gioco a somma zero dove entrambe i Paesi sulla base della minaccia nucleare tendevano a contenere i propri atteggiamenti aggressivi e quelli degli Stati orbitanti nelle reciproche aree di competenze, i principi dell’impostazione Westfaliana (anche se diversi da quelli originali) vennero sconvolti, delineando uno scenario internazionale totalmente diverso dal passato. Se prima le guerre ed i conflitti armati si svolgevano in modo convenzionale attraverso lo scontro tra due o più eserciti di Stati opposti sul classico campo di battaglia, oggi le guerre ed in conflitti sono più che altro di tipo endogeno ed assumono le caratteristiche di guerre civili piuttosto che di guerre tra Stati, in territori in cui lo Stato giuridicamente inteso non esiste più. Una situazione del genere, che attualmente si verifica soprattutto nell’area mediorientale e in Africa centro settentrionale, ha come potenziale conseguenza quella di espandersi nelle zone limitrofe pacificate, come ad esempio i Paesi europei a ridosso di tali zone conflittuali, e di trasformare quelle stesse zone in basi per il terrorismo internazionale.

In questo contesto il ruolo di leader globale, di faro e di dispensatore di democrazia e libertà autoassegnatosi dagli Stati Uniti ha portato il Paese ed i suoi alleati ad intraprendere, nel tempo, una serie di missioni “umanitarie” volte proprio alla tutela delle popolazioni civili, vittime delle faide interne di singoli Paesi o di conflitti fra Stati limitrofi, aventi come scopo parallelo la diffusione del concetto di democrazia e libertà così come interpretato dalla tradizione occidentale. Una tale ingerenza umanitaria, molto spesso fallimentare, ha contribuito ad aumentare l’insofferenza verso i Paesi occidentali in generale, e verso gli Stati Uniti in particolare, da parte delle realtà locali che hanno iniziato ad intraprendere attività di contrasto a tale intrusione negli affari interni. Attività le quali sono successivamente sfociate in quella che comunemente oggi viene definita come conflittualità non convenzionale e che trova la sua massima espressione nell’attività terroristica.

Gli eventi dell’11 Settembre 2001 confermano tale descrizione e nella loro tragicità hanno segnato l’inizio di una nuova era. Un’era in cui la guerra non è più condotta da due o più entità ben distinte, che siano Stati o gruppi umani in contrapposizione tra di loro, ma tra uno o più Stati ed un nemico invisibile, destrutturato in una rete di cellule sparse nel mondo; un nemico che agisce con metodi che esulano da quanto imposto dalle norme disciplinanti i conflitti armati; un antagonista le cui mosse e i cui mezzi risultano imprevedibili in quanto non agente sulla base di una dottrina convenzionale, ma in base ad una nuova forma di combattimento in cui la sorpresa, la clandestinità, ed il totale disprezzo per la vita umana risultano essere le linee guida di ogni azione.

Tuttavia anche in un contesto così mutato alcuni elementi restano costanti, seppure adattati alle nuove contingenze mondiali. Si fa riferimento diretto alla strategia quale canale di contatto tra la politica e l’uso della forza.

L’uso della forza e le relative operazioni militari non sono fine a se stesse ma rappresentano lo strumento adottato per realizzare il disegno politico di un soggetto giuridicamente o sociologicamente individuato. Va dunque sottolineato il cristallino rapporto di dipendenza tra forza militare ed obiettivi politici. Entrambe sfruttano la strategia per determinare i propri interessi ed il modo migliore di perseguirli, ma ognuna dovrà articolare le proprie azioni sulla base di un piano che tenga presenti differenti elementi. In un quadro del genere la strategia applicata alla forza militare sarà sempre subordinata a quella applicata alla politica che avrà come obiettivo ultimo il conseguimento di una situazione a sé favorevole e che si sostanzia nel concetto di pace e sicurezza. La subordinazione dell’azione militare al perseguimento del fine politico è chiaro, quindi, se si considera che la forza militare non può produrre la pace; il suo scopo è delineare un nuovo assetto politico che sia prodromico alla costruzione della pace (1). Nella sua opera “Della guerra” Carl von Clausewitz definisce la guerra come “la prosecuzione della politica dello Stato perseguita con altri mezzi”. Tale definizione racchiude in sé la chiara e necessaria dipendenza dell’azione militare, e del suo obiettivo, rispetto al fine politico. Tali principi sono dei pilastri nell’ambito della conflittualità, sia essa convenzionale che non convenzionale. A sostegno di ciò è pacifico affermare che la strategia militare non ha senso se non inserita in un disegno strategico di tipo globale che coordini l’uso della forza con quello degli altri strumenti dello Stato (2) anch’essi utilizzabili sulla base di una propria strategia d’impiego (3). In un contesto del genere l’obiettivo finale degli attori non è la semplice distruzione delle installazioni o strutture militari dell’avversario. La forza materiale del nemico non è l’aim ultimo dell’intera operazione. Questo rappresenta un obiettivo tattico, funzionale al perseguimento di quello strategico che si sostanzia nello scardinare le intenzioni del nemico e cioè il suo speculare piano politico – strategico.

Se il concetto di strategia è rimasto fondamentalmente identico a quello del passato è sicuramente cambiato lo scenario all’interno del quale tale pensiero trova la sua applicazione. Il mutato quadro geopolitico e l’emersione del terrorismo quale mezzo principale di aggressione da parte di entità non statali pone in risalto l’attuale inidoneità dei precedenti strumenti e delle precedenti dottrine “occidentali” utilizzate per condurre operazioni belliche. Il tradizionale confronto muscolare tra gli attori in conflitto in cui gli Stati Uniti, data la propria potenziale massa bellica, ne uscivano sempre vincitori grazie anche ad un oculato uso del soft ed hard power ha lasciato il posto ad un diverso modo di approcciare il teatro operativo. In un contesto in cui l’avversario non utilizza gli stessi strumenti e quindi non fa uso di aerei, navi, carri armati o brigate di soldati, il semplice sfoggio della muscolatura bellica, volta ad intimidire l’avversario o ad ottenere la vittoria in tempi molto brevi (o magari anche senza combattere), appare non più efficace. Ciò anche perché a causa della struttura non più verticale ma a rete dell’avversario, in cui lo stesso non occupa più posizioni ben precise ma si muove su terreni impervi di difficile mappatura ed utilizza tecniche e tattiche a – dottrinali, l’impiego di un gran numero di soldati che si muovono in plotoni o compagnie e l’impiego di mezzi particolarmente pesanti, con un conseguente impegno logistico estremamente oneroso, non è più la metodologia più efficace da utilizzare. Ad oggi infatti le FF.AA. occidentali stanno modificando ed adattando le loro dottrine e capacità operative privilegiando l’aspetto consistente nella proiezione rapida delle forze e nella loro flessibilità calato in un contesto joint and combined con gli alleati europei ed atlantici caratterizzato dalla condivisione della consapevolezza situazionale (situational awareness).

In una cornice del genere l’elemento che fa da discrimine tra il successo ed il fallimento è l’informazione.

Nella lotta al terrorismo, sia quella condotta all’interno del territorio nazionale, sia quella condotta in teatro operativo (Afghanistan ed Iraq ad esempio), il principale obiettivo da conquistare è il cd. dominio informativo. Per dominio informativo qui si intende il prodotto della somma tra quella che può essere definita superiorità informativa e quella che possiamo indicare come supremazia informativa.

Per superiorità informativa si intende la capacità di una forza in campo di imporre la propria superiorità nella ricerca, elaborazione, disseminazione e sfruttamento delle informazioni rispetto a quella dell’avversario (al quale viene così impedita la possibilità di contrastare efficacemente la condotta delle operazioni) al fine di ottenere il controllo di una determinata area tattica.

Per supremazia informativa si intende la capacità di incardinare nel contesto del teatro operativo una struttura informativa generale che sia in grado di coordinare e sincronizzare l’intero flusso di informazioni ottenibile e dalle diverse discipline di intelligence dispiegate sul campo e dalle altre fonti anche di carattere non militare. Ciò al fine di creare un quadro informativo tale da consentire al decisore di avere a disposizione una mole di informazioni analizzate e coordinate tra loro che gli permettano di avere un congruo vantaggio sull’avversario.

La somma di questi due fattori da luogo al dominio informativo dell’intera situazione conflittuale.

Dominio informativo la cui caratteristica più importante, proprio in vista di una sempre maggiore interazione operativa tra le Forze Armate dei vari Stati coinvolti, dovrà essere quella di riuscire a condividere nel minor tempo possibile, e nel modo più chiaro e razionalizzato auspicabile, l’intero flusso informativo raccolto dai vari soggetti impiegati sul campo. La materializzazione di una tale realtà è l’obiettivo del progetto che la maggior parte degli Stati occidentali stanno attuando e che viene denominato NCW (Network Centric Warfare) oppure NEC (Network enabled capability) (4).

La rivoluzione apportata dallo sviluppo incessante dell’IT (Information technology) ha condizionato vari aspetti della società tra cui quello economico e sociale attraverso la condivisione in rete, internet, di una mole ingente di informazioni acquisibili da chiunque. Il futuro è in rete. La coscienza di un tale cambiamento ha portato anche le Forze Armate a riflettere su una tale realtà assumendo la consapevolezza che il mutato contesto geopolitico e conflittuale necessita di una ristrutturazione dell’intero sistema militare. La Network Centric Warfare trova la sua musa ispiratrice nella cd. Legge di Metcalfe la quale sostiene che l’utilità di una rete è maggiore rispetto alla somma degli elementi che la compongono. Tale potenza è proporzionale al quadrato del numero dei nodi che ne fanno parte. Un sistema che permetta dunque la condivisione in rete delle informazioni acquisite da ogni unità dispiegata sul campo di battaglia (nodo) aumenta la shared situational awareness, la quale rappresenta un importante moltiplicatore di forza specie nelle operazioni joint e permette di acquisire un grande vantaggio in tutti e tre i domini in cui si svolgono le operazioni militari: fisico, informativo e cognitivo (5).

Il dominio informativo dato dalla somma tra la superiorità e la supremazia informativa in un contesto net – centrico procura il vantaggio di consentire l’attuazione delle cd. EBO (Effects Based Operations) che vengono definite dal U.S. Joint Forces Command (JFCOM) J9 come: “a process for obtaining a desired strategic outcome or effect on the enemy through the synergistic and cumulative application of the full range of military and non-military capabilities at all levels of conflict. […] Furthermore, an "effect" is the physical, functional or psychological outcome, event or consequence that results from specific military or non-military action” (6).

Il dominio informativo permette dunque di ridurre i tempi del processo decisionale e porre in essere una serie di azioni che realizzano una rapida modificazione delle condizioni iniziali dello scontro tale da non consentire all’avversario, che non possiede tale capacità informativa, di adeguarsi tempestivamente ed efficacemente alle nuove condizioni imposte. Oltre a ciò la shared situational awareness permette alle forze alleate di essere real time informate di tali cambiamenti e, sfruttando le proprie “moderne” caratteristiche di flessibilità, adattarsi alla nuova realtà operativa.

In un contesto come questo che farà da sfondo ad ogni operazione futura, sia di lotta al terrorismo sia di operazioni militari più simmetriche, un ruolo fondamentale è giocato dall’intelligence che attraverso le proprie discipline permetterà una raccolta ed analisi delle informazioni continua a favore del comandante responsabile dell’operazione ad ogni livello: tattico, operativo e strategico.

Sulla base di quanto esposto appare chiaro che la declassificazione a questione secondaria del dibattito concernente le Forze Armate, ed il comparto sicurezza in generale, risulta essere estremamente inopportuno e pericoloso. La necessità di mantenere delle Forze Armate moderne, informatizzate, pronte, modulabili e capaci di interagire con i propri partner civili e militari ad ogni livello è questione di assoluta importanza. La situazione geopolitica attuale sommata al continuo ed incessante evolversi dello sviluppo tecnologico suggerisce in modo cristallino il bisogno di dedicare parte delle risorse del Paese al contestuale continuo ed incessante aggiornamento dello strumento militare; ciò in quanto strumento di strategia politica e non fine a sé stesso.

La internet age ha assorbito anche gli avversari i quali sfruttano la rete per realizzare i propri obiettivi funzionali ed informativi e questo è un segnale molto importante da non sottovalutare.

Internet riduce le distanze ed anche i tempi ed è proprio per questo motivo che la possibilità di un sorpasso informativo, facilitato dall’incertezza politica occidentale, anche se ad oggi apparentemente remoto, potrebbe arrivare presto.

All’interno di uno scenario simile poter fare affidamento su un efficiente comparto sicurezza ampiamente inteso potrebbe impedire spiacevoli eventi.

Andrea Strippoli Lanternini

 

(foto: archivio US DoD)

(1) Jean C., Guerra, aspetti strategici, 2010

(2) Economici, tecnologici, diplomatici, psicologici e comunicativi

(3) Jean C., Guerra, aspetti strategici, 2010

(4) La differenza tra le due denominazioni riposa nel differente approccio metodologico utilizzato per raggiungere lo stesso risultato. Il concetto NCW approntato dagli U.S.A. corrisponde ad un approccio più drastico volto a surrogare in tempi molto brevi l’intero strumento militare con una capacità net-centrica diffusa. L’approccio NEC invece, di origini britannica, punta al raggiungimento dello stesso risultato mediante un percorso definito “a spirale”, più graduale, adattando le già esistenti piattaforme e sistemi ad un concetto net-centrico

(5) Stato Maggiore della Difesa, La trasformazione Net – Centrica. Il futuro dell’interoperabilità multinazionale e interdisciplinare, 2005, pag 7

(6)Effects-based Operations White Paper Version 1.0," (Norfolk, VA: Concepts Department J9, US Joint Forces Command, 2001)