La Marina del Sol Levante, tra le due guerre mondiali (1918-1941)

(di Mario Veronesi)
24/02/17

Il Giappone è il più conosciuto e il più sconosciuto tra i paesi della terra. Profondamente asiatico e occidentalizzato di là da ogni limite e d’ogni previsione, tradizionalista e guerriero. È orgogliosamente insulare, come l’Inghilterra, e il giapponese è giapponese e null’altro, fiero della sua indipendenza conservata per millenni e della sua stupenda tipicità. Il Giappone è l’unico paese che, in un periodo di circa 50 anni, sia passato da una situazione molto arretrata, paragonabile al nostro “Medioevo” alla modernità, dovuta con la forzata apertura del 1853-54, quando il commodoro americano Matthew Perry (1794-1858) apri a cannonate le chiuse porte delle civiltà giapponese al mondo occidentale, imprimendo un’accelerazione impensabile e mai verificatasi in nessun altro paese al mondo. Nel periodo Mejii il Giappone si lasciò alle spalle il medioevo, ma conservò nel Buscido o via del guerriero le antiche tradizioni dei Samurai, che impresse nella popolazione giapponese quel senso d’appartenenza d’invincibilità e di dovere verso l’imperatore, considerato figlio del cielo, quindi discendente degli dei. La storia della Marina Imperiale si è conclusa con il suo totale annientamento durante le ultime giornate della seconda guerra mondiale.

Al contrario dell’esercito, che rimase sempre molto tradizionalista nella struttura e nei mezzi, la Marina Imperiale diede prova di grande apertura e accortezza nei confronti delle realtà “esterne” all’isola del Sol Levante, cosa che la portò in relativamente poco tempo, ad essere, nel 1918, la terza forza navale al mondo dopo Gran Bretagna e Stati Uniti. Già in quegli anni il Giappone stava progettando e costruendo unità da battaglia di grande concezione e potenza che, a differenza delle unità costruite da altre marine nel medesimo periodo, avevano un buon equilibrio fra velocità, protezione e armamento. La flotta, dopo il Trattato Navale di Washington, crebbe in mezzi e preparazione divenendo un apparato bellico spaventosamente efficiente, con unità qualitativamente eccellenti, completato da equipaggi preparati e straordinariamente motivati, da un’efficiente aviazione imbarcata, e di mezzi e reparti da sbarco. Le navi vennero sempre impiegate con decisione e accuratezza, conseguendo molti successi nella prima fase della campagna del Pacifico. La Marina giapponese cercò sempre il contatto diretto con il nemico in un confronto di calibri e corazze, in un approccio alla battaglia che rispecchiò gli ideali d’onore e devozione tipici dei Samurai. Nel 1918 nessun aspetto della tecnologia navale giapponese, era significativamente al di sotto gli standard mondiali, ed era all’avanguardia in diversi campi.

Dopo le prime esperienze d’aviazione navale fatte con la portaidrovolanti Wakamiya nella guerra 1914-18, il Giappone decise di costruire due navi portaerei, o meglio classificate ufficialmente “deposito per aerei“, l’Hosho (foto a dx) e la Shokaku. L’Hosho (fenice volante) fu impostato nel dicembre 1919 e ultimato nel dicembre 1922; mentre la seconda, non fu costruita. L’Hosho, fu la prima nave portaerei progettata come tale, dato che le inglesi Furios, Argus e Eagle erano navi convertite, e l’Herme, progettata come portaerei, non entrò in servizio che nel luglio 1923. Fu la prima unità di questo tipo adottata dalla Marina giapponese prima del trattato navale di Washington, (novembre 1921-febbraio 1922). Nei progetti originali la Hosho era dotata di un ponte di volo completo e di una piccola sovrastruttura sul lato destro dove era alloggiata la plancia (foto apertura). Nel 1923 venne rimossa, con lo spostamento della plancia nella sovrastruttura prodiera sotto il ponte di volo. Su questa nave fu eseguito il primo appontaggio di un pilota giapponese, era il 16 maggio 1923, il t.v. Shunichi Kara pilotando un aereo Mitsubishi1 MFl si posò sul ponte di volo.

Il Giappone nel 1922 partecipò alla conferenza navale di Washington per il disarmo. Le maggiori potenze navali si riunirono per limitare la corsa agli armamenti, negoziando un congelamento dei rapporti di forze, espressi come rapporti tra i tonnellaggi di tutte le unità. L’inferiorità numerica e industriale nipponica, avrebbe portato negli anni successivi a delineare una politica di ricerca tecnica, meno navi, ma più veloci e più potenti, superiorità nell’addestramento del personale, e sviluppo di tattiche aggressive. Pertanto, durante il periodo fra le due guerre mondiali, il Giappone primeggiò in numerose aree di sviluppo dell’armamento navale. Fu decisa la costruzione di 4 incrociatori pesanti appartenenti alla classe Myoko: Myoko, Nachi, Ashigara, Haguro. Furono i primi incrociatori giapponesi costruiti entro i limiti del Trattato di Washington, il loro dislocamento iniziale era pari a 10.160 t.,successivi aggiornamenti portarono il dislocamento a 13.209 t. Tutte le unità combatterono pesantemente durante la seconda guerra mondiale, e nessuna sopravvisse al conflitto. Tre unità vennero affondate in combattimento, mentre il Myoko terminò la sua carriera come batteria galleggiante. Questo nuovo tipo di incrociatori impostati negli anni 1924-1925, si rilevò superiore a qualsiasi altro esistente in quel momento. Dislocavano circa 13.000 tonnellate, ed erano dotati di 10 cannoni da 203 mm, una discreta corazzatura e ben 16 siluri da 610 mm in impianti quadrupli. Su questa serie fu fatto largo impiego della saldatura e delle leghe leggere, fu potenziato l’armamento aumentando da 6 a 10 pezzi e sistemato in 5 torri binate. Furono aumentati anche i lanciasiluri fissi, 12 da 610 mm in 4 complessi trinati sistemati sul ponte principale. Ai Myoko, seguirono gli splendidi: Atago, Chokai, Maya, Takao, (classe Takao, così chiamato in onore della montagna omonima che si eleva vicino la città di Kyoto. Veri 10.000 di seconda generazione e che furono insieme agli Zara italiani e all’americano Wichita, le migliori realizzazioni dell’epoca. Tutti gli incrociatori giapponesi subirono in seguito importanti lavori di rimodernamento allo scopo di aumentare l’efficienza della difesa aerea e furono anche dotati di controcarene esterne per aumentarne la stabilità e la protezione subacquea.

Nel 1921, il Giappone ricevette per un anno e mezzo la missione inglese “Sempill”, missione aeronavale tecnica guidata dal colonnello Sempill (1893-1965), con l’obiettivo di aiutare la Marina Imperiale Giapponese a sviluppare le sue forze aeronavali. La missione consisteva in un gruppo di 30 istruttori e personale di supporto, avviando la sua attività di formazione presso la base aerea di Kasumigaura. I britannici addestrarono la Marina imperiale su diversi nuovi aerei, come il “Gloster Sparrowhawk” un caccia biplano monoposto progettato negli anni venti dall’azienda britannica “Gloster Aircraft Company” e prodotto negli anni successivi inizialmente negli stabilimenti Gloster e successivamente in Giappone dal primo Arsenale Tecnico Aeronavale di Yokosuka. Le operazioni vennero svolte inizialmente su delle apposite rampe costruite su una delle torri della nave da battaglia Yamashiro, in quanto la portaerei Hosho non era ancora stata completata. Benché utilizzati per l’addestramento sull’Yamashiro, gli Sparrowhawk non vennero mai assegnati all’Hosho, sostituiti nelle operazioni di bordo da un nuovo modello appositamente progettato, il caccia Mitsubishi 1MF (foto), prima che l’Hosho entrasse in servizio. Gli Sparrowhawk rimarranno comunque in servizio come addestratori nelle basi navali fino al loro ritiro nel 1928.

Nel 1928, varò l’innovativa classe di cacciatorpediniere Fubuki, 20 unità vennero varate tra la fine degli anni 20 e l’inizio del decennio successivo. Armate con sei pezzi da 127 mm in torrette chiuse, nove tubi lanciasiluri da 610 mm e spinte da potenti macchine, queste unità rappresentarono un notevole passo in avanti e rivoluzionarono il concetto di cacciatorpediniere in tutto il mondo come nave offensiva. Tuttavia, a dispetto dell'apparenza massiccia, la classe soffrì di problemi di stabilità a causa della concentrazione di armi e munizioni su uno scafo dal dislocamento relativamente contenuto, oltreché per gli incipienti pesi in alto. Dopo alcuni gravi incidenti in mare, tutte le navi furono ampiamente irrobustite e modificate tra 1935 e 1938. Dal 1929 furono elevati i cannoni ad un massimo di 70 anziché 40 gradi, per conferire un’effettiva capacità contraerea alle armi principali. Durante l’impiego bellico si sbarcarono i siluri di riserva e una torre d’artiglieria, per imbarcare 14 mitragliere da 25 mm, contraeree aggiuntive al posto delle 2 mitragliatrici da 13 mm. Dopo l’intenso impiego bellico questa classe si ritrovò con un solo superstite, l’Ushio, che gravemente danneggiato nella baia di Manila il 14 novembre 1944, fu rimorchiato fino a Yokosuka.

Il Giappone continuò a ricercare l’esperienza di stranieri in aree in cui era arretrato rispetto all’occidente. A norma del trattato di Londra del 1930, la Hiyei da corazzata era stata demilitarizzata ed impiegata come nave scuola. Essendo però decaduto il trattato di Londra, fu riarmata. Tutte le navi della classe Kongo: Kongo, Hiyei, Haruna (foto), Kirischima, subirono in questo periodo un profondo lavoro di trasformazione e di rinnovamento di notevole entità. La Kongo fu l'ultima grande nave giapponese costruita all'estero, essendo stato costruito in Inghilterra dalla Vickers-Armstrong. Progettato dal capo progettista, Sir George Thurston che progettò una nave da guerra riconosciuta come un ottimo progetto. Il progetto di Thruston ebbe un'influenza così grande che la Royal Navy fermò i suoi lavori sul HMS Tiger, il secondo incrociatore da battaglia della classe Lion e lo fece costruire secondo un progetto molto simile a quello del Kongo. La grande importanza riposta nelle portaerei e nell’aviazione navale si era concretizzata dal 1927 al 1930 con la costruzione delle portaerei Kaga e Akagi ottenute dalla trasformazione di una corazzata e di un incrociatore. Il Kaga, dal nome della provincia di Kaga, fu progettato come corazzata della classe Tosa, poi cancellato. Entrato in vigore il trattato di Washington sulla riduzione degli armamenti navali, fu terminato come portaerei, in grado di portate uno stormo imbarcato di 72 velivoli tra caccia aerosiluranti Aichi D3A e bombardieri. Andò perduto alla battaglia di Midway il 4 giugno 1942. L’Akagi (Castello Rosso), è il nome di un vulcano giapponese della regione del Kanto, fu progettato come incrociatore da battaglia e terminato come portaerei, in grado di portate uno stormo imbarcato di 61 velivoli tra caccia, aerosiluranti Mitsubishi B2M e bombardieri. Tra il 1935 ed il 1938 l’Akagi fu sottoposto ad una serie di ammodernamenti, a partire dall’eliminazione dei ponti di volo e dei cannoni a prora, per formare un unico grande ponte di volo rettangolare dotato di una piccola isola sul lato sinistro ed un terzo elevatore. Venne incrementata quindi anche la potenza motrice (133.000 cavalli) e la velocità (oltre 31 nodi). Fu una delle portaerei protagoniste dell’attacco a Pearl Harbor. Colpito nella battaglia di Midway il 4 giugno 1942, e affondato il mattino seguente, silurata dagli stessi giapponesi.

Dal 1933 il Giappone aveva realizzato un tipo di siluro navale con macchina ad ossigeno, capace di compiere ad alta velocità una corsa assai lunga, per questo venne chiamato “Long Lance Tipo 93-lunga lancia”. Il suo propellente era ossigeno puro, che rispetto all’aria compressa non lasciava bolle a segnalare la scia dell’arma, oltre ad utilizzare tutto il gas per la combustione. Per contro l’aria compressa essendo composta da azoto al 77% non veniva combusta tutta e garantiva un rendimento minore. Il siluro giapponese costituiva un primato, e nell’efficienza della Marina aveva molta parte la capacità tattica dei cacciatorpediniere. Non avendo il Giappone aderito al trattato navale di Londra del marzo 1936 che stabiliva la reciproca comunicazione, tra le potenze firmatarie del trattato, dei programmi di costruzione delle flotte, i dati relativi alle costruzioni navali giapponesi furono tenuti segreti.

Dal 1937 la Marina imperiale sviluppò numerosi e validi sommergibili: la classe I-15 (Tipo B1) secondo la classifi cazione giapponese, era costituita da sommergibili oceanici. Entrati in servizio a partire dal 1940, ne furono realizzati 20 unità, di cui solo uno sopravvisse al conflitto. Si tratta della più numerosa classe di sommergibili costruita dall’impero del Sol Levante. La classe I-15 erano sommergibili piuttosto veloci, e dotati di buona autonomia. Questi battelli erano in grado di trasportare un idrovolante da ricognizione Yokosuka E14Y, che poteva decollare grazie ad una catapulta posta davanti alla torre. L’aereo veniva tenuto, smontato, in un hangar. Occorre precisare che diversi esemplari furono oggetto di modifiche più o meno estese. Ad esempio, l’I-17 aveva la catapulta sistemata a poppa. Inoltre alcuni battelli vennero modificati rimuovendo l’hangar per l’aereo, montando al suo posto un ulteriore cannone da 140 mm, oppure furono predisposti per il trasporto di siluri umani Kaiten. Siluro modificato come arma suicida ed utilizzata dalla Marina imperiale giapponese nelle fasi finali della seconda guerra mondiale. Kaiten significa “rivolgersi al paradiso”. La classe I-15 vennero utilizzati intensamente dalla Marina Imperiale durante la seconda guerra mondiale, raccogliendo diversi successi. Tra questi, particolarmente rilevanti furono l’affondamento della portaerei Wasp e dell’incrociatore Juneau, oltre al danneggiamento della portaerei Saratoga e del North Carolina. L’unico superstite, l’I-36, fu affondato a cannonate il primo aprile1946 dalla nave americana per appoggio sommergibili Nereus.

Tra il 1935 e il 1937 entrarono in servizio gli incrociatori appartenenti alla classe Mogami: Mogami (foto), Mikuma, Kumano, Suzuya. Per questi incrociatori venne deciso d’installare (per la prima volta in Giappone) cinque torri trinate con cannoni da 155 mm, in grado di raggiungere un’elevazione di 55° in grado di ingaggiare bersagli sia navali che aerei. Questi incrociatori furono anche dotati di una pesante protezione antiaerea, così come di tubi lanciasiluri installati in torrette. A partire dal 1939 le unità della classe furono sostanzialmente ricostruite. Nel marzo 1937, dopo una lunga sperimentazione su modelli in scala condotta nella vasca del Centro per le Ricerche Tecniche Navali di Tokio, venne elaborato il progetto definitivo che prevedeva una nave da 68.000 tonnellate, con apparato motore di tipo classico e capace di una velocità di 26 nodi. La Yamato fu impostata presso l’arsenale di Kure il 4 novembre 1937, varata l’8 agosto 1940, ed entrò in servizio il 16 dicembre 1941 (nove giorni dopo l’attacco a Pearl Harbor). Nello stesso anno gli ingegneri del cantiere Mitsubishi di Nagasaki, ricevettero l’ordine di iniziare i preparativi per la costruzione di una seconda nave da battaglia. Costruita sotto le più strette misure di segretezza, tra cui l’erezione di grandi schermi per nascondere la costruzione all’ambasciata statunitense situata di fronte al porto, la nave fu impostata il primo novembre 1940, e trascorse quasi diciotto mesi in allestimento. Varata il 5 agosto 1942, la Musashi dal nome dell'antica provincia giapponese di Musashi, si diresse all’arcipelago di Truk, dove divenne la nave ammiraglia dell’ammiraglio Isoroku Yamamoto (1884-1943). Dopo la sua morte avvenuta il 18 aprile 1943, la Musashi trasportò in Giappone le sue ceneri. Era nelle intenzioni della Marina imperiale giapponese costruire quattro navi di questa classe, ma la Shinano, terza unità nel 1942, mentre era ancora sullo scafo, ne fu decisa la trasformazione in portaerei. Affondata nel 1944 nel suo primo viaggio, silurata dal sommergibile americano Archerfish.

Nel 1939 furono completati i due della classe Tone: Tone e Chikuma (foto), e che furono ritenuti tra i migliori incrociatori del mondo. Nel periodo 1937-39 entrarono in servizio la portaerei Soryu (drago verde), rispetto alle precedenti portaerei, che altro non erano se non riprogettazioni di incrociatori preesistenti, era stata progettata fin dall'inizio come portaerei. Al varo, con la sua velocità prossima ai 35 nodi, era la portaerei più veloce al mondo. Partecipò all’attacco di Pearl Harbor, e alla battaglia di Midway del 4 giugno 1942, lanciando la prima ondata d’aerei contro la base americana sull’isola. L’Hiryu, (dragone volante) portaerei Classe Soryu modificato in grado di trasportare uno stormo imbarcato di 57 velivoli tra caccia Mitsubishi A6M, aerosiluranti Aichi D3A e bombardieri Nakajima B5N. Partecipò all’attacco a Pearl Harbor che iniziò la guerra nel Pacifico. Venne ripetutamente colpito durante la battaglia delle Midway (4-6 giugno 1942) affondando il giorno successivo. Il comandante della 2° divisione portaerei, ammiraglio Tamon Yamaguchi (1892-1942), scelse di rimanere a bordo della nave, in ossequio alle regole del Bushido, privando la Marina imperiale di uno dei più esperti comandanti aeronavali.

Nello stesso periodo erano in fase di allestimento le portaerei Shokaku e Zuikaku. La Zuikaku era dotato di un doppio hangar sovrapposto e pesanti corazzature sulla linea di cintura (che non si estendevano al ponte di volo). Queste navi erano dotate di un apparato motore molto potente, simile a quello delle Hiryu e analogo a quello dei 4 potenti incrociatori Mogami, da poco entrati in servizio, e raggiungeva un valore addirittura superiore a quello delle corazzate Yamato da 64.000 t., sufficiente per sviluppare 34 nodi. Nella battaglia delle Marianne (19-20 giugno 1944), i piloti americani si concentrarono soprattutto su questa nave, che restava l’ultima delle sei portaerei di Pearl Harbour. L’equipaggio si radunò, come dimostrato da una foto dell’epoca, per il saluto alla bandiera che veniva ammainata, mentre il ponte della nave era inclinato oramai di oltre 10 gradi. Molti dei 1.660 uomini morirono.

Nello stesso periodo erano state messe in squadra anche la portaerei leggera Ryujo (foto) unica della sua classe, in grado di trasportare uno stormo imbarcato di 48 velivoli; tra i caccia Nakajima A4N e gli aerosiluranti Aichi D1A. La Zuiho, costruita originariamente come petroliera Takasaki nel 1934 e convertita nel 1940 in portaerei. Identica alla propria nave gemella Shoho, disponeva di 12 caccia Mitsubishi A5M e 12 Nakajima B5N armati di siluri. La Taiyo inizialmente prevista, coma una lussuosa nave passeggeri chiamata Kasuga Maru della compagnia di navigazione Nippon Yusen. Tra maggio e settembre 1941, fu acquisita dalla Marina Imperiale, subendo una conversione per diventare un vettore di scorta, portando inizialmente solo 27 aeromobili, nove di tipo Zero e bombardieri d’attacco. L’unità al momento dell’acquisto era ancora sullo scalo in fase di costruzione per cui la trasformazione avvenne senza dover intervenire pesantemente nella rimozione delle strutture ritenute non necessarie. Il ponte di volo venne costruito a tribordo ed il fumaiolo rimase incorporato nell’isola, soluzione anticonvenzionale nel panorama giapponese, venendo comunque fortemente inclinato verso l’esterno per evitare che i fumi caldi potessero interferire provocando inattese turbolenze nelle operazioni di decollo ed appontaggio dei velivoli. Al termine di questo programma l’aviazione imbarcata ammontava a circa 500 aerei, mentre il resto dell’aviazione della Marina imperiale basata a terra, assommava a 520 aerei da caccia, 420 tra bombardieri e aerosiluranti, 510 aerei d’addestramento, 140 per compiti vari, 70 idrovolanti e altri 80 destinati a bordo delle unità navali della Flotta Combinata. Negli anni precedenti la guerra si affrontarono due scuole di pensiero sul fatto se la Marina sarebbe dovuto essere incentrata su potenti navi da battaglia, che avrebbero potuto vincere su quella statunitense nelle acque giapponesi, o su una flotta aggressiva di portaerei. Nessuna delle due prevalse ed entrambi i tipi di navi vennero sviluppate, con il risultato che nessuna delle due soluzioni riuscì a diventare una forza predominante contro l’avversario statunitense. Una debolezza consistente delle navi da guerra giapponesi fu la tendenza ad incorporare armamenti e motori troppo potenti in confronto alle dimensioni delle navi (una conseguenza del trattato di Washington) portando a mancanze in stabilità, protezione e forza strutturale.

Come poi si sarebbe dimostrato, le scelte furono sbagliate, perché non si tenne conto del fatto che i nemici nella successiva guerra del Pacifico, non avrebbero dovuto seguire le limitazioni di tipo politico e geografico delle guerre precedenti, né avrebbero tollerato alte perdite in navi ed equipaggi. Nella Marina imperiale giapponese, serpeggiava una confusa, ed imprevidente mescolanza di nuovo e d’antico, tipico della mentalità nipponica del tempo. Dalla parte americana, un’incontestabile superiorità tecnicoindustriale, nelle mani d’uomini decisi a concludere in modo vittorioso, la guerra iniziata con l’attacco a Pearl Harbor.