Il reato di cattura degli ostaggi

(di Nicolò Giordana)
19/10/15

Il 18 dicembre 1979, a New York, veniva firmata la Convenzione internazionale contro la cattura degli ostaggi, poi ratificata dall'Italia solo sei anni più tardi con la Legge 26 novembre 1985, n. 718, entrando in vigore, a norma dell'art. 18 della stessa Convenzione, il 19 aprile 1986. 

La L. 26 novembre 1985, n. 718

La norma di ratifica ed esecuzione del testo internazionale sanziona con la reclusione da venticinque a trent'anni il soggetto che, fuori dai casi di sequestro di persona a scopo terroristico o eversivo (art. 289-bis c.p.) e di sequestro di persona a scopo estorsivo (art. 630 c.p.), sequestra una persona - o comunque la tiene in suo potere - minacciando di ucciderla o di infliggerle un male non necessario per costringere un soggetto giuridico terzo, come uno Stato o un'organizzazione internazionale, o fisico, persona singola o collettività di individui, a fare o non fare un determinato atto subordinando la liberazione dell'ostaggio a tale azione. Se dal sequestro deriva la morte del sequestrato, a norma dell'art. 586 c.p., purché sia provato che tale conseguenza non fosse voluta direttamente dal sequestratore, la reclusione è di anni trenta, se la morte è cagionata in modo volontario la pena applicata sarà quella dell'ergastolo. Ponendo il caso di un concorso di persone nel reato, ovvero di più soggetti sequestratori, il concorrente che, dissociandosi dagli altri, favorisce la fuga del sequestrato sarà punito con la reclusione da due a otto anni. In caso di morte della vittima del reato dopo la sua liberazione, stante la prova della sussistenza del nesso causale che prova che il decesso sia conseguenza diretta del sequestro, è prevista la reclusione da otto anni a diciotto. Nel caso in cui ricorra una delle circostanze attenuanti comuni o generiche previste agli artt. 62 e 62-bis c.p., le sanzioni sono così rideterminate: nel caso di morte derivata e non voluta la pena applicata sarà la reclusione da venti a ventiquattro anni, nel caso di omicidio del sequestrato la cornice edittale della reclusione sarà da ventiquattro a trent'anni. Nel caso ricorrano più circostanze attenuanti, la pena, così rideterminata in senno alle diminuzioni ex lege,  non potrà comunque essere inferiore a dieci anni nel primo caso e quindici nel secondo. D'ogni buon conto la disciplina delle attenuanti e delle aggravanti va’ sempre ragguagliata con gli artt. 1 e 4 del Decreto Legge 15 dicembre 1979, n. 625, convertito nella Legge 6 febbraio 1980, n. 15, recante misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica.

Se il reato di cattura dell'ostaggio è di lieve entità la legge di ratifica ed esecuzione rimanda all'art. 605 c.p. rideterminando le sanzioni con un pluris dalla metà ai due terzi così ridefinendo la pena per il fatto generico di mera privazione della libertà personale nel caso specifico sopra generalizzato nella reclusione da nove anni a tredici anni e quattro mesi. Nel caso in cui il fatto è commesso in danno di un ascendente, di un discendente o del coniuge, ovvero nel caso in cui il fatto è compiuto da un pubblico ufficiale, definito a norma dell'art. 357 c.p., con abuso dei poteri inerenti alle sue funzioni, la pena è la reclusione da un anno e sei mesi a sedici anni e otto mesi. 

L'art. 3, co. 29, lett. a), della Legge 15 luglio 2009, n. 94, ha inserito all'art. 605 c.p. una serie di previsioni che riguardano le sanzioni nel caso in cui la vittima del sequestro di persona sia un minore. Pur intervenuto successivamente alla legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione di New York del 1979, a rigore logico è da ritenere come tali sanzioni innovative, nell'alveo del delitto di sequestro di persona, debbano trovare riscontro ampio e certo anche nel reato di cattura degli ostaggi per i fatti compiuti dopo l'entrata in vigore di tale modifica normativa. Essa prevede che, se la vittima dell'ostaggio è un minore ed il reato commesso è quello generico si applica la reclusione da quattro anni e sei mesi a sedici anni, nel caso in cui il reato è commesso in danno del minore discendente, sul minore dal pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni, ovvero del minore di anni quattordici o ancora se il minore è condotto all'estero durante la prigionia, la pena è della reclusione da quattro anni e sei mesi a venticinque anni. Se poi il minore decede a seguito del delitto di cattura dell'ostaggio la pena prevista è l'ergastolo. 

La norma esecutiva della Convenzione sulla cattura degli ostaggi ha previsto che, fatti salvi i principi generali dell'ordinamento penale italiano - vale a dire il diritto ad un equo processo, il principio secondo cui nulla poena sine lege, il diritto al rispetto della vita privata e famigliare e le libertà di pensiero, coscienza, religione, espressione, riunione ed associazione - il cittadino italiano che commette all'estero il reato di cattura di ostaggi, e lo straniero che commette il medesimo delitto in Italia e non ne è disposta l'estradizione ovvero abbia commesso il fatto al fine di costringere un organo dello Stato a compiere o astenersi dal compiere un atto, sono puniti dalla legge italiana a richiesta del Ministro della Giustizia.

La Convenzione di New York del 1979

La Convenzione internazionale contro la cattura degli ostaggi è un asset normativo composto da venti articoli che mirano ad essere ampiamente attesi da tutti gli Stati firmatari di detto atto giuridico. Per quanto definito da tale testo legislativo commette reato di cattura di ostaggi, a norma dell'art. 1, "chiunque catturi una persona o la detenga e minacci di ucciderla, ferirla o di continuare a detenerla per costringere una terza parte, cioè uno Stato, un'organizzazione internazionale intergovernativa, una persona fisica o giuridica o un gruppo di persone, a compiere un atto qualunque o ad astenersene quale condizione esplicita o implicita per la liberazione dell'ostaggio". Come si può facilmente ravvisare con quanto sopra riportato, la definizione coincide perfettamente con quella prevista successivamente dalla Legge di ratifica ed esecuzione italiana n. 718/1985. Per la Convenzione commette altresì un reato il soggetto attivo che tenta di catturare l'ostaggio ovvero che concorre con un terzo soggetto che cattura, o tenta di farlo, un ostaggio. Queste fattispecie trovano anch'esse riscontro nella nostra normativa nazionale per mezzo dell'art. 56 c.p., che sanziona il tentativo di delitto, e dell'art. 110 c.p., che punisce il concorso di persone nel reato. La previsione di specifiche pene da parte della normativa italiana per il reato di cattura degli ostaggi è un ossequio alla condizione posta dalla stessa Convenzione che ha imposto un obbligo, nei confronti degli Stati firmatari, di sanzionare i reati previsti dall'art. 1 "con pene adeguate che tengano conto della natura grave di detti reati ". 

L'art. 3 prevede poi che lo Stato del territorio in cui l'ostaggio è detenuto debba adottare tutte le azioni necessarie per migliorare le condizioni della vittima specificatamente volte alla sua liberazione ed a facilitarne la partenza dopo la liberazione. Nel caso in cui lo Stato venga in possesso di un oggetto di proprietà della vittima che l'autore del reato ha ottenuto dalla sua cattura, dovrà restituirlo al legittimo titolare o alle autorità competenti. Gli obblighi in capo ai singoli Stati, però, non sono solo quelli di provvedere singolarmente a tali reati, bensì anche un vincolo di cooperazione volta alla prevenzione dei fatti di cattura degli ostaggi, prevenzione che si attua mediante la previsione ed attuazione di misure idonee ad impedire i preparativi funzionali al reato vietando altresì, ognuno nel proprio territorio nazionale in rispetto del principio della sovranità statuale, ogni attività illegale di persone, gruppi ed organizzazioni che incoraggino, fomentino o commettano atti di cattura di ostaggi. La cooperation si attua anche mediante lo scambio di informazioni ed il coordinamento delle attuazioni delle misure di prevenzione di tali reati.

In materia di giurisdizione statuisce l'art. 5 il quale prevede che ogni Stato debba prevedere ad ogni necessità volta a stabilire la propria giurisdizione per i reati di cattura degli ostaggi commessi nel suo territorio - è da intendersi come territorio dello Stato anche la nave o l'aeromobile immatricolato in detto Stato - o da qualunque suo cittadino ovvero apolide che abbia la residenza abituale nel territorio di detto Stato, ovvero a danno di un proprio cittadino (nel caso in cui venga ad essere ritenuto opportuno a livello politico), o infine se il reato è stato commesso collo scopo di costringere l'Ente nazionale a compiere, o astenersi dal compiere, un qualsiasi atto. In questa materia il nostro Paese non ha previsto nulla di specifico nella L. 718/1985, rimandando così de jure ai criteri generali di determinazione della giurisdizione italiana del codice penale. In tal contesto è punito dalla legge italiana il reo che compie il fatto nel territorio dello Stato, esso inteso come l’area della Repubblica Italiana ed ogni altro luogo soggetto alla sovranità dello Stato a norma dell'art. 4 c.p.. Il reato si considera comunque commesso nel territorio dello Stato quando l'azione, o l'omissione, è avvenuta in tutto o in parte all'interno di esso, o qui si è verificato l'evento conseguenza dell'azione o omissione. Per i reati commessi all'estero trova comunque spazio la giurisdizione italiana nel caso in cui il reo sia un cittadino italiano o uno straniero che ha commesso uno dei seguenti reati: delitti contro la personalità dello Stato italiano1, delitti di contraffazione del sigillo - ed uso del medesimo - dello Stato italiano, di falsità di monete in corso d'uso ovvero di valori bollati italiani, e delitti commessi dai pubblici ufficiali a servizio dello Stato italiano che abusano o comunque violano le proprie funzioni. L'art. 7, co. 1, n. 7 c.p. determina poi la giurisdizione italiana anche nei casi in cui specifici reati prevedano disposizioni ad hoc in merito o nel caso di convenzioni internazionali che stabiliscono l'applicabilità della legge penale italiana. Fuori da questi contesti è comunque punito dalla nostra legge il reo che commette in territorio estero un delitto per cui essa prevedrebbe la pena dell'ergastolo o la reclusione non inferiore nel minimo a trent'anni se tale reo si trovasse nel territorio dello Stato. Nell'ipotesi in cui sia prevista una pena restrittiva della libertà personale inferiore, vi è spazio per la procedibilità italiana previo richiesta del Ministro della Giustizia.

L'art. 6 della Convenzione di New York prevede che ogni Stato sul cui territorio si trovi il presunto autore del crimine di cattura degli ostaggi adotti, in conformità della propria legislazione, misure detentive - o comunque di sorveglianza - fini all'avvio di un procedimento penale ovvero all'estradizione in ossequio al principio dell'aut dedere aut judicare, vincolo cui è sottoposto in forma specifica lo Stato dall'art. 8 della Convenzione. Senza ritardo, poi, detto Stato dovrà procedere con le necessarie indagini preliminari. I provvedimenti di detenzione o di altro genus di cui al primo comma di detto articolo debbono essere immediatamente notificate in modo diretto, o tramite il Segretario Generale delle Nazioni Unite, allo Stato del luogo in cui è stato commesso il reato, allo Stato o all'Organizzazione internazionale oggetto della costrizione ovvero allo Stato di cui la persona fisica o giuridica è stata oggetto della costrizione2, allo Stato di cui l'ostaggio è cittadino, allo Stato di cui il reo è cittadino, e ad ogni altro Stato interessato. Ogni destinatario di misure personali ha diritto di comunicare con il rappresentante - accreditato presso il Paese che ha emesso la misura - dello Stato di origine dell'indagato3, e di ricevere la visita di detto rappresentante. Tali diritti devono essere esercitati in conformità alle leggi ed ai regolamenti dello Stato procedente ben inteso che comunque dette norme non possono contrastare con gli obiettivi della Convenzione internazionale contro la cattura degli ostaggi. È comunque sempre possibile invitare il Comitato Internazionale della Croce Rossa a mettersi in contatto e visitare il presunto reo e le risultanze delle indagini preliminari dovranno poi essere comunicate agli stessi soggetti di cui sopra. Dell'epilogo del procedimento penale adito nei confronti del reo dovrà poi essere, a norma dell'art. 7 della Convenzione, notificato senza ritardo al Segretario Generale delle Nazioni Unite il quale provvederà a darne comunicazione agli Stati ed alle Organizzazioni internazionali intergovernative interessate. 

Sulla possibile estradizione richiesta da uno Stato terzo a quello ospitante il reo, la domanda potrà essere disattesa nei casi previsti dall'art. 9, ossia se essa è stata presentata al fine di perseguire o punire un soggetto per la sua religione, nazionalità, razza, etnia o opinioni politiche, ovvero se può essere arrecato un pregiudizio a tale soggetto. L'art. 10 funge poi da pilastro alla convenzionalistica internazionale statuendo che il reato di cattura degli ostaggi sarà soggetto ad estradizione in ogni futuro trattato concernente materia processualpenalistica concluso tra gli Stati firmatari. Nel caso in cui l'estradizione venga ad essere richiesta da uno Stato parte della Convenzione di New York ad un altro Stato firmatario il quale, riconoscendo l'estradizione possibile solo in presenza di uno specifico trattato tra le parti internazionali eccepisce l'inesistenza di una specifica convenzione in tale materia tra i due soggetti giuridici, il primo Stato potrà porre quale base giuridica per l'estradizione la Convenzione del 1979 nel caso in cui il reato in oggetto è previsto dal novero dell'art. 1. Per tali fini questi reati evidenziati dall'atto newyorkese verranno considerati tra gli Stati firmatari come se fossero stati commessi non solo nel luogo dello loro perpetrazioni ma anche sul territorio degli Stati che devono stabilire la loro giurisdizione a norma dell'art. 5, co. 1. In materia giudiziaria chiosa poi l'art. 11 che prevede un vincolo di collaborazione tra i soggetti pattuendi il Trattato su qualunque procedimento penale relativo all'oggetto della materia stipulata, cooperazione che avverrà mediante lo scambio di ogni elemento di prova a loro disposizione necessario al procedimento, ben inteso che tali obblighi non pregiudicano comunque eventuali vincoli in materia di cooperazione giudiziaria previsti da altri trattati. La Convenzione non potrà poi trovare applicazione, a norma dell'art. 13, se il soggetto attivo e quello passivo sono entrambi cittadini di uno Stato nel cui territorio è stato compiuto il reato di cattura degli ostaggi, fatto de jure sanzionato dall'art. 3 L. 718/1985. Al contempo nessuna disposizione internazionalista oggetto della citata Convenzione potrà essere addotta a giustificazione della violazione dell'integrità territoriale e dell'indipendenza politica di uno Stato previste dalla Carta delle Nazioni Unite.

L'art. 16 dispone in ordine alle controversie generate da problematiche relative all'interpretazione e applicazione del Trattato. Ogni controversia deve trovare risoluzione, in primis, tramite un negoziato e solo nel caso questo fallisca si aprirà la via dell'arbitrato che dovrà comunque essere richiesto da uno degli Stati in lite. Se per i successivi sei mesi dalla richiesta di questo le parti non si accordano sull'organizzazione del giudizio, uno qualunque dei convenuti può deferire la controversia innanzi la Corte Internazionale di Giustizia depositando all'uopo un'istanza in conformità allo Statuto della medesima Corte. La Convenzione prevede al capoverso dell'art. 16 la possibilità di non aderire a tale clausola compromissoria della lite. Ogni Stato firmatario che formula la riserva potrà comunque ritirarla in qualsiasi momento inviando una notifica al Segretario Generale delle Nazioni Unite.

Si ritiene di dover terminare la trattazione con l'art. 12 della Convenzione internazionale contro il reato di cattura degli ostaggi il quale esclude l'applicabilità di detto testo normativo ai casi di atti di cattura di ostaggi commessi durante conflitti armati o durante quelle azioni ed essi parificate dall'art. 1, par. 4, del I Protocollo addizionale del 19774. In tale caso faranno stato le Convenzioni di Ginevra del 1949 per la protezione delle vittime della guerra ed i Protocolli addizionali.

 

Note

1) Se il reato non rientra in questo genus ma è comunque un reato politico, è punito dalla legge italiana su richiesta del Ministro della Giustizia. Nel caso in cui vi sia come condizione di procedibilità la querela, essa deve essere allegata alla richiesta di procedere. A norma dell'art. 8, co. 3, c.p. è da definirsi "politico" quel reato che offende un interesse politico dello Stato o un diritto politico del cittadino tutelato dagli articoli del Titolo V, Parte I, della Costituzione Italiana ovvero un qualsiasi delitto comune commesso spinto da motivi politici.

2) La costrizione, come già evidenziato in apice, è dall'art. 1 della Convenzione di New York del 1979 prevista come elemento costitutivo del reato di cattura degli ostaggi.

3) Se è apolide si fa riferimento al rappresentante dello Stato in cui l'indagato risiede abitualmente.

4) La lotta del popolo contro il dominio coloniale, l'occupazione straniera o i regimi razziali nell'esercizio del loro diritto all'autodeterminazione così come definito dalla Carta delle Nazioni Unite.