Doge 107, tre secondi per morire

(di Francesco Bergamo)
09/01/18

Tre secondi e il nemico è morto! Il coltello militare da combattimento Doge 107, della categoria Combat-Survival Knife, studiato e creato per i corpi speciali dal progettista Sandro Martinelli, è la sintesi perfetta di un'arma letale e di quanto serva in una azione reale. Nei combattimenti non esistono seconde opportunità risolutive e il momento buono è uno solo e irripetibile. Mancandolo si metterebbe a rischio la propria incolumità e la missione stessa. Secondo Martinelli, valente oplologo (studioso delle armi), “Qualsiasi coltello è una arma letale e nell'ambito militare deve possedere specifiche tecniche ed ergonomiche adeguate al combattimento e alla sopravvivenza. Il percorso che serve ad ideare, progettare, testare e produrre un coltello da combattimento è molto lungo e nulla nasce a caso e tutto viene studiato nei minimi particolari”. Difesa Online raccolta come e perché si è arrivati a concepire il prototipo del Doge 107.

Scelta del nome

Doge 107 incarna perfettamente lo spirito del combattente già dal nome, in quanto "Doge" in veneziano significa anche comandante, soprannome dello scomparso luogotenente Francesco Finzi, considerato dai Lagunari di Venezia come il più bravo formatore ed istruttore di sopravvivenza degli esploratori di sempre. 107 è il codice che distingue gli esploratori anfibi col basco verde. In questo caso il progettista rende così onore e omaggio al suo maestro.

Inquadrare le priorità d'uso

La vasta esperienza marziale e militare del progettista, istruttore qualificato di FISFO, Kali Eskrima, Tradizione Militare Italiana (Arditi), Modern Arnis, esploratore dei Lagunari ed istruttore degli stessi per tre anni, ha influito notevolmente sul prodotto finale. I parametri valutati sono spaziati dalla velocità di estrazione alla letalità in termini di tempo. Un lavoro di ricerca e analisi durato due anni con molti scambi di opinione col Gran Master Bram Frank (molto conosciuto dagli specialisti militari di coltello americani ed israeliani). Tutto ha portato il progettista ad indirizzarsi verso un coltello dal doppio impiego, perché i corpi speciali hanno bisogno di un coltello da combattimento puro ma che garantisca anche la sopravvivenza.

Difficoltà dell'operatore delle forze speciali

Attaccare su pochi punti scoperti senza errori, perché strumentazioni, body armour e armi riducono le aree da colpire. Dunque, il coltello deve essere sufficientemente duro da non spezzarsi o danneggiarsi nell'eventuale impatto con una piastra balistica del giubbotto antiproiettile o altro, ossa comprese, ma non troppo duro perché deve permettere una certa morbidezza nelle parate per assorbire gli impatti. Deve inoltre essere antiriflesso e di facile recupero. Secondo il progettista: “E' principalmente uno strumento letale, sempre e comunque, e solo in subordine di sopravvivenza”. L'operatore delle forze speciali in azione ha pochi secondi utili e richiede armi affidabili. In sopravvivenza il pugnale viene affilato in velocità sui sassi del posto. Tutto questo è cruciale!

Letale in tre secondi

Con un solo colpo, ben indirizzato e nel posto giusto, in tre secondi si muore! Secondo il maggiore W. E. Fairbairn, che ha studiato a fondo il problema (vedere sintesi tabella libro “Get Tough”, edizione dl 1943) ci sono vari punti dove colpire.

In pratica, molti punti sono coperti da strumenti e body armour: punti 4, 5 e 6, che corrispondono alla subclavicolare (perdita di coscienza in 2” e morte i 3” e mezzo), al cuore e allo stomaco: letali in 3 secondi. La copertura crea notevoli problemi perché viene a mancare il fattore chiave: morte in 3”. Si può colpire alla subclavicolare pur essendo in presenza del giubbotto antiproiettile, ma agendo da dietro ed entrando dal colletto con assoluta precisione.

Gli altri punti sono l'arteria brachiale che garantisce la perdita di coscienza in 14 secondi e la morte in 1'30”; l'arteria radiale porta alla perdita di coscienza in 30”, alla morte in 2'; infine la carotide in 5” per perdere i sensi e 12” alla morte. Tempi troppo lunghi! Così l'operatore delle forze speciali si troverebbe troppo esposto e non avrebbe nessuna garanzia che l'avversario non possa emettere rumori o segnalare l'avvenuto attacco. Esistono altri punti come l'aorta femorale, il cervelletto, l'occhio, ma ai fini dell'agguato o del combattimento non sono assolutamente pratici da colpire per vari motivi.

Quale tipo di ferita?

Secondo il manuale della Polizia scientifica, di Rocco Paceri -Terza edizione riveduta e corretta da Salvatore Montanaro- le ferite incise o da lama sono quelle prodotte dal taglio netto ben definito. Possono ledere soltanto l'epidermide, ma spesso arrivano fino al derma oppure al sottocutaneo raggiungendo anche gli organi sottostanti. Sono considerate ferite da scannamento quando interessano le regioni antero-laterali. Nelle ferite da punta e taglio: la punta apre la via ma il vero lavoro lo fa il filo che taglia i tessuti.

Analizzando altra documentazione e nello specifico solo la ferita da taglio, essa interessa cute e sottocute, e solo eccezionalmente gli organi interni in profondità. Tre tipi di ferite: lineari, a lembo e mutilanti. Le prime due tagliano i tessuti, mentre il terzo tipo amputa il nemico solo con diametri ridotti (es. naso e dita). Il taglio crea dunque una lesione più o meno larga e la stessa può variare con l'inclinazione dell'impatto della lama con la pelle.

Il taglio generato su una superficie piana viene chiamato “codetta” ed è più profondo e deciso in entrata che a fine corsa. Ma se il taglio viene fatto su una superficie curva si produce “l'inversione delle codette” con la ferita interna più profonda a fine corsa che non all'inizio. Di questo aspetto bisogna tenerne conto soprattutto nei colpi al collo perché questo si spiega con l'angolo d’impatto della lama, che si trova in posizione tangenziale, rispetto alla pelle. Secondo questo principio l'area più indicata in azione, e facile, è il collo: vi passano strutture vascolari importantissime come l'arteria carotide, la vena giugulare, il nervo vago, la laringe, la trachea in ultima i corpi cerebrali. Un taglio in questa area porta anche alla morte per annegamento interno da sangue per occlusione delle vie respiratorie. Tali ferite vengono chiamate da scannamento e se interessano anche la trachea impediscono che la vittima emetta suoni o lamenti.

Nel caso dei polsi, per quanto si tenda a pensare il contrario, la ferita mortale con shock emorragico-ipovolemico è rara, perché l'arteria radiale è in profondità e non facilmente raggiungibile. I polsi vengono tagliati per recidere i tendini dei muscoli flessori, in modo da disarmare ed impedire di proseguire il combattimento con l'arma in pugno.

Le lesioni da punta e taglio bitagliente sono indirizzate in profondità piuttosto che in superficie. Sono quelle più indicate allo scopo per generare una morte rapida, in quanto entrano in gioco due distinte forze: compressione e taglio. In questo caso si recide in profondità. Ecco quanto può variare la ferita in base ai seguenti fattori:

  • trazione delle fibre elastiche e intracorporee con la parziale o totale entrata della lama;
  • possibili ulteriori danni da extrarotazione in fase di estrazione della lama dovuti ai muscoli flessori (bicipite-brachiale) del braccio.

In azione col coltello la parte vitale più indicata è l'area in alto a sinistra del tronco: cuore e aorta. Ma sono protetti dalle costole e dallo sterno e raggiungerli richiede una particolare abilità tecnica perché al momento della puntata si deve ruotare la mano e portare il filo e la costa orizzontali al terreno così da passare tra le costole e raggiungere gli obiettivi.

Acciaio, lama, impugnatura e cambio di attacco

Secondo la filosofia di progettazione del Doge 107, la lama, che è la parte deputata all’offesa o al lavoro, (si divide in terzo prossimale, che possiamo definire "forte" in quanto vicino al manico, in terzo mediano, ovvero la parte centrale del coltello e in terzo distale o "debole" che si riferisce alla punta) è in acciaio 440C con durezza (Rockwell) HR 57/58. Si può affilare con pietra bagnata in velocità nei teatri operativi. Mentre l'angolo di affilatura è 19°. Il coltello rientra nella categoria pugnali perché lungo 27,4 cm in totale e suddiviso in 15 cm lama, 4 mm guardia,12 cm manico. Peso 305 gr. Sopra i 35 cm diventerebbe daga. A protezione della mano c'è la guardia con il braccio di guardia (forward quillon) dalla parte del filo; e il braccio di parata (rear quillon) dalla parte della costa. Quest'ultimo spostato in avanti per un maggior controllo e comodità al pollice. La guardia deve assorbire e frenare “impastando” la lama avversaria, evitando così scivolate o salti. Per questa ragione viene usato un acciaio più morbido.

Il progettista ha dato più importanza ai colpi di punta perché l'esperienza degli Arditi fornisce da sola la spiegazione alla forma della punta a lancia (Spear Point) che ha il profilo ogivale spinto e l'apice un po' sopra il centro del bisello, pertanto è una variante perfetta per le forze speciali. La punta è robusta per tutti i tipi di puntate eseguite impugnando il pugnale alla maniera Ice Pick Hold, Oriental Hold, Straingh Hold, Slash Hold.

Il bisello (bevel) è concavo e all'incontro dei due forma il filo di taglio. Appena sopra la metà del bisello si può notare una interessante spina (spine) o arista o nervo di rinforzo. Lo spessore massimo è 4,5 mm. Nella parte superiore si vede il dorso (spine o back) che per metà della lunghezza è ad angoli vivi di 90°, utilissimi alla sopravvivenza per la creazione delle scintille. L'altra metà è a mezzo filo, utile al combattimento nel passaggio tra i vari angoli di attacco e nelle puntate perché penetra con più facilità. Degno di nota osservare che il terzo distale e il terzo prossimale superiore e inferiore della lama hanno accavallato il terzo mediano. Il controtaglio (False Edge) situato nel terzo distale è stato ricavato dalla costa con una sfrondatura in maniera da aumentare le possibilità di taglio nella extrarotazione corporea. Cosa invece che un falso taglio, (Swdge), non avrebbe garantito.

La parte inferiore è a filo taglio combinato (Combo Edge). Anche in questo caso i terzi sono stati accavallati diventando metà a filo piano (Cutting Edge) e l'altra metà a filo seghettato (Serrated Edge) ad arco. Il filo Combo è utilissimo in azione perché la parte seghettata, notevolmente più lunga del normale, con filo a scalpello permette di tagliare con assoluta efficacia qualsiasi tipo di tessuto naturale o sintetico soprattutto adattandosi alla morfologia fisica del polso. Questo accorgimento è stato adottato per tagliare i tendini flessori del polso (parte interna) quando coperti dal guanto o dalla mimetica, in modo da far cadere l'arma all'avversario.

Il bilanciamento del pugnale si trova spostato verso il manico per consentire maggiore roteabilità in azione.

L'impugnatura (Grip) è composta da due guancette in G10 o in micarta fissate al codolo integrale (codolo passante) da due rivetti. Ad esempio, la scelta del micarta, materiale di resine fenoliche e strati di tessuto o carta è adatto allo scopo perché resiste agli urti ed è anticorrosivo. Il manico ergonomico ha un accenno particolare dove posiziona l'indice, al fine di migliorare la presa soprattutto in estrazione.

Alla fine del manico si trova il rompi testa allargato (Skull Crusher) con l'occhiello per la dragona (Lanyard Hole o Thong Hole) per assicurare l'impugnatura alla mano.

Il problema dell'estrazione dal corpo

Quando si pugnala in profondità una persona si penetra dai 3 ai 5 cm tra pelle, grasso e muscolo. Una volta passati oltre questa soglia critica, si incorre nell'effetto ventosa e il recupero del coltello diventa difficoltoso. È un problema serio e dibattuto a lungo tra gli esperti del settore per parecchi motivi, ma il principale è il mancato recupero immediato del pugnale. Secondo la filosofia del progettista, questo problema viene risolto con il teflon.

Trattando la lama con lo speciale film si aumenta la scorrevolezza superficiale. Pertanto ha optato per uno strato di 0,010 mm di KG Gun-Kote che non solo è protettivo alla corrosione e all'usura, ma ha una notevole componente di teflon (PTFE). In questa maniera il pugnale diventa antiriflesso, resistente all'usura e scorrevole. Basti pensare che il sottilissimo strato resiste a 1000 ore di nebbia salina, a 1000 ore in immersione in acqua a 37°C e a 60 giorni di immersione in acqua di mare. Ha la rottura termica a 500°.

Realizzazione del prototipo e test reali

Il prototipo (custom) è stato realizzato artigianalmente coinvolgendo due maestri coltellinai: Stefano Trentini per il prototipo acciaio lucido; Riccardo Caregnato per quello teflonato. Il risultato della loro opera artigianale è stato poi testato per tre mesi dal maggiore Vito Pansini dei Lagunari di Venezia. Un collaudo vero ed importante per lo stress dei materiali usati. Per quanto riguarda la parte del taglio della carne, tendini, ossa, arterie ed “effetto ventosa” il progettista ha utilizzato degli scarti di produzione di un amico macellaio.

Ultima fase

Il pugnale proseguirà il suo iter andando in produzione. Le scelte dei materiali potrebbero essere diverse o forse no, ma questa è un'altra storia...

(foto: Stefano De Grandis / Sandro Martinelli / U.S. Marine Corps)