Da Lawrence d’Arabia una lezione per gli strateghi di oggi

(di Roberto Giambrone)
02/10/15

Ottant’anni fa moriva, per le conseguenze di un incidente motociclistico, Thomas Edward Lawrence, il mitico Lawrence d’Arabia. Il peso della leggenda, consacrata dal kolossal cinematografico di David Lean, ancora oggi rende difficile una valutazione chiara e corretta del suo ruolo sul fronte mediorientale durante la Prima Guerra Mondiale. Si è scritto molto sulle sue imprese, sulla conquista di Aqaba nel 1917 e sull’ingresso trionfale a Damasco l’anno dopo, sul “tradimento” degli arabi da parte degli inglesi e il conseguente disappunto di Lawrence, che sarebbe all’origine del suo rifiuto di qualunque onorificenza e del desiderio di espiare nei bassi ranghi della RAF sotto falso nome.

Il primo a tracciare un quadro ponderoso e certamente non neutrale, oltre che irresistibilmente letterario, di queste incredibili imprese, fu proprio T. E. Lawrence nei celeberrimi Sette pilastri della saggezza. Poi, grazie al lungimirante giornalista Lowell Thomas, che già nell’immediato dopoguerra esaltò le imprese del colonnello Lawrence in una specie di conferenza-spettacolo, la leggenda prese il sopravvento influenzando ogni cronaca futura.

Soltanto in anni recenti gli studi sulla vicenda storica di Lawrence hanno assunto un punto di vista meno condizionato dalla mitologia, grazie anche ai cosiddetti postcolonial studies. Parallelamente a questi, nelle analisi di storia e strategia militare ha preso piede una tesi molto interessante, secondo la quale non solo Lawrence sarebbe stato il massimo fautore della moderna guerriglia, fatto questo di per sé assodato, ma sarebbe stato addirittura profetico nell’indicare una innovativa linea di condotta nella strategia geopolitica mediorientale. È risaputo che i suoi scritti sono materia di studio nelle scuole militari americane e che sono stati seriamente presi in considerazione da ufficiali e strateghi dei più recenti conflitti, tra gli altri dal generale Stanley A. McChrystal.

Mentre l’Europa faticava a contare le sue vittime nel mattatoio della guerra di trincea, che ha lasciato a terra oltre nove milioni di soldati, Lawrence sperimentava la sua “guerra chirurgica” ante litteram nel deserto dell’Hegiaz per sfiancare le truppe dell’impero ottomano. Interventi mirati, imboscate, attentati ai convogli ferroviari per tagliare le linee di rifornimento, insomma quelle tecniche di guerriglia che avrebbero fatto scuola e che Lawrence teorizza in un breve saggio scritto per l’Encyclopædia Britannica.

Ma è soprattutto la capacità di penetrazione nel tessuto culturale del mondo arabo il punto di forza delle imprese di Lawrence, la carta vincente nel “grande gioco” mediorientale. Conoscendo, rispettando e sostenendo la causa degli arabi, Lawrence riuscì ad ottenere la loro fiducia e il presupposto per la loro unità nella causa comune contro l’impero ottomano. Fu proprio questa simbiosi con la lingua, i costumi, le usanze e la cultura del popolo arabo che consentì a Lawrence di diventare “uno di loro”, addirittura un loro leader, e di poter avere al suo fianco, nella campagna contro i Turchi, il principe Feisal, figlio del re Hussein. Anche se, alla promessa dell’indipendenza degli arabi, il governo inglese dovette aggiungere non pochi lingotti d’oro per convincere i capi delle diverse tribù beduine a far fronte comune contro l’esercito turco.

Il risultato è noto: l’impero ottomano capitolò, ma Gran Bretagna e Francia, a parziale insaputa di Lawrence, si erano già spartite a tavolino il Medio Oriente col famoso accordo “segreto” Sykes-Picot del 1916. L’eroe del deserto non si arrese facilmente. Deciso a far rispettare il patto con gli arabi, si presentò alla conferenza di pace di Parigi del 1919 con l’“amico” Feisal, nella speranza di inchiodare i governi alle loro responsabilità. Alla conferenza del Cairo del 1921 i giochi saranno fatti: per acquietare Feisal e Lawrence, che nei giorni precedenti la conferenza aveva discusso animosamente la questione con Churchill, furono creati lo stato dell’Iraq e la Transgiordania perché venissero affidati agli Hashemiti, cui appartenevano Feisal e il fratello Abdullah, figli del re Hussein. Feisal, cui il colonnello Lawrence, forte della promessa degli inglesi, aveva garantito il controllo della Siria e dei territori limitrofi, si dovette accontentare del poco più che onorifico titolo di Re del neonato stato dell’Iraq, mentre il reale e strategico controllo del territorio passò agli europei, che tracciarono a tavolino i confini del Medio Oriente, più o meno come quelli attuali, che i fanatici dell’Isis stanno rimettendo in discussione.

Imperdonabile miopia quella del potere imperialista occidentale, che di lì a poco avrebbe innescato la miccia dei contrasti interetnici e il rovinoso crescendo del conflitto israelo-palestinese. La creazione a tavolino, con squadretta e compasso, dei nuovi stati non teneva conto dell’accorpamento di Sciiti, Sunniti e Curdi, oltre che di Palestinesi ed Ebrei nel territorio che sarebbe diventato lo stato di Israele. Il disastro è ancora sotto gli occhi di tutti.

Lawrence ne uscì distrutto; la resa alle ragioni della politica e del potere coloniale infrangeva il suo sogno della sovranità del popolo arabo, così descritto nei Sette pilastri: «Io intendevo creare una nazione nuova, ristabilire un’influenza decaduta, dare a venti milioni di Semiti la base sulla quale costruire un ispirato palazzo di sogni per il loro pensiero nazionale». Avvilito e ferito nella sua dignità (anche una spia ha un suo codice d’onore), desiderò espiare arruolandosi ben due volte come soldato semplice sotto falso nome, prima nella RAF e poi nell’esercito. Smascherato, si ritirò a vita privata, peraltro molto discussa, nelle campagne del Dorset, dove trovò la morte in un banale incidente di moto, intorno al quale si ricamarono congetture complottiste.

Lawrence, mitico leader di una guerra sanguinosa eppure paradossalmente più “umana” se rapportata agli attuali conflitti, segna lo spartiacque tra la vecchia concezione della guerra, sostanzialmente fondata sugli eserciti mandati allo sbaraglio, e le nuove strategie belliche basate sull’intelligence e su interventi mirati. Ma Lawrence è anche l’ultimo eroe romantico, l’idealista che univa la penna alla spada, metafora che avrebbe poi recuperato, fuori tempo, un altro visionario come Yukio Mishima.

C’è un che di mitico nella sua biografia e nella storia delle sue imprese, la cui potenza evocativa è racchiusa in alcune frasi dei Sette pilastri, a cominciare dalla celebre riflessione sui sognatori: «Tutti gli uomini sognano, ma non allo stesso modo. Coloro che sognano di notte, nei recessi polverosi delle loro menti, si svegliano di giorno per scoprire la vanità di quelle immagini: ma coloro che sognano di giorno sono uomini pericolosi, perché possono mettere in pratica i loro sogni a occhi aperti, rendendoli possibili».

Il giovane introspettivo e solitario Ned, come era chiamato in famiglia, aveva cominciato a coltivare il suo sogno sin dall’infanzia. Naturalmente si trattava di un sogno vago e dai contorni imprecisi, più che altro di un indefinito quanto fatale desiderio di imprese leggendarie, di riscatto da un’infanzia segnata dalla convivenza non canonica dei suoi genitori, che non potevano sposarsi in quanto il padre non aveva ottenuto il divorzio dalla prima moglie. La sensazione di clandestinità e vergogna che quella situazione provocava all’animo sensibile del giovane Thomas Edward era compensato da una vitalità senza freni, che si sfogava nell’attività all’aria aperta, il più delle volte in solitaria, a piedi o in bicicletta. Il senso dell’avventura, dell’esplorazione e della scoperta, uniti all’amore per la storia forgiarono la personalità e il fisico di Lawrence, quest’ultimo decisamente esile e di malferma salute. Ma sarà soprattutto la distanza profonda da una società nella quale Lawrence non si riconosceva a spingerlo verso quella ricerca di assoluto che si sarebbe concretizzata nel sogno orientale. L’Arabia e la sua gente rappresentavano agli occhi di Lawrence quell’essenzialità, semplicità e purezza che l’Occidente aveva perduto. Un’attrazione fatale.

La guerra, così concreta e terribile nella sua materialità, fu per Lawrence l’occasione per andare incontro ai suoi sogni, mentre il rigore e la frugalità della vita militare sembravano corrispondere al suo ideale di vita. Ma tanto più la fede nella possibilità di concretizzare i suoi sogni lo sospingeva verso l’ignoto, tanto più la brutalità della guerra e soprattutto la falsità degli uomini lo trascinavano nel torbido della realtà. Il deserto, che aveva attraversato a piedi o dorso di cammello, non era bastato a placare la sua sete di assoluto e di giustizia.

Schifato dalla propria identità, così compromessa con l’ipocrisia di chi pure gli aveva consentito di abbracciare l’Oriente, il colonnello Lawrence rinunciò ai suoi titoli e al suo nome e si arruolò come aviere semplice nella RAF, sottoponendosi a mesi di umiliazioni e dura disciplina. Una «discesa all’ultimo gradino della scala», che racconterà ne Lo stampo, pubblicato postumo nel 1955. Qui Lawrence potè ritrovare, per un breve periodo, quella dimensione ascetica che sembrava appartenergli profondamente: «Gli avieri non hanno beni di sorta, hanno pochi legami, poche cure quotidiane». Smascherato, cambiò nuovamente identità per entrare nel Royal Tank Corps. Riuscì a rientrare nell’amata RAF per pochi anni prima di ritirasi a vita privata nel 1935, poco prima di lasciare definitivamente questo mondo, disarcionato da una delle sue amatissime Brough Superior SS100.

Ci ha lasciato in eredità una storia affascinante, da raccontare ai ragazzi che amano ancora l’avventura, e non pochi spunti di riflessione per chi oggi è alle prese con il ginepraio del Vicino Oriente.